Alfred Bester: scrittore coi botti

Metto le mani avanti: non è mia intenzione fare un ritratto di Bester con tutta la sua produzione. Mica sono matto. Lo so che se state leggendo queste righe siete fantascientisti, e a voi ovviamente interessa il Bester da L’uomo disintegrato (1953) a Psiconegozio (1998); magari se siete esigenti vi fermerete a Connessione computer (1975), visto che Golem100 (1980) non è amato da tutti e Psiconegozio in pratica l’ha scritto Zelazny. Però anche così, è tanta, troppa roba, un uomo solo non ce la fa. E non venite a dirmi che Bester ha scritto solo otto romanzi, anzi sette perché il primo, L’inferno è per sempre (1942) è un romanzo breve e Psiconegozio nella migliore delle ipotesi è per metà di Zelazny. No, non è tutto qui. C’è molto altro.

Tanto per incominciare: ma lo sapete che Bester è nato nel 1913? Quindi vince il primo premio Hugo della storia (nel 1953, con L’uomo disintegrato) ha già quarant’anni. Non è un ragazzino. Aveva cominciato a scrivere e pubblicare fantascienza molto prima, nel 1939. In pratica Bester è un autore che si fa le ossa nel mezzo della Golden Age, quando furoreggiavano Heinlein, Asimov, Van Vogt, ecc. ed esplode tardi, quando il mercato è dominato negli Stati Uniti dalla fantascienza sociologica lanciata da Pohl e Gold (quest’ultimo, guarda un po’, era amico di Bester, che gli dedicò L’uomo disintegrato). Insomma, a parte i romanzi Bester ha scritto parecchi racconti, alcuni molto interessanti. E anche un romanzo giallo. Ma non è tutto qui. Già negli anni Quaranta Bester aveva attaccato a scrivere storie per i fumetti della DC Comics: tanti episodi di Superman e Lanterna verde li ha ideati lui; e poi scriveva anche per l’Uomo mascherato e Mandrake. Non basta: nel 1946 comincia a scrivere anche per la radio, producendo sceneggiature per serie di grande successo come Nick Carter, The Shadow, Charlie Chan, Nero Wolfe (tutte legate a personaggi che fanno ancora parte del nostro immaginario, chi più chi meno, coll’eccezione di The Shadow, interpretata dall’immenso Orson Welles, che in Italia non ha avuto gran popolarità). Ma non possiamo fermarci neanche qui; quando, nei primi anni Cinquanta, la televisione decolla in America, Bester, che già è inserito nell’ambiente radiofonico, passò a lavorare anche per il nuovo medium; e poi dovremmo pure aggiungere tutti gli articoli tra il narrativo e il turistico che scrisse per la rivista patinata Holiday, della quale fu anche caporedattore negli anni Sessanta (un lavoro che gli rendeva talmente bene che in quel decennio di fantascienza non ne scrisse quasi per niente, sarà un caso).

Come dicono gli inglesi, un uomo dai tanti talenti: un professionista dell’immaginario, capace di tirare fuori idee narrative per qualsiasi medium e qualsiasi formato. Suppongo che se fosse campato più a lungo avrebbe sicuramente inventato anche videogames e tirato fuori idee per siti web. Comunque, capirete che pretendere di offrire un ritratto completo di un personaggio come Bester nello spazio di quest’articolo sarebbe follia. Preferisco concentrarmi su quelli che a mio modesto avviso sono i suoi due migliori romanzi di fantascienza, e lasciare da parte fumetti, radio, televisione, giornalismo eccetera.

Affermare che L’uomo disintegrato sia un bel romanzo è un po’ la scoperta dell’acqua calda: il semplice fatto che sia stato il primo a portarsi a casa il premio Hugo la dice lunga. Ma vale la pena di vedere come mai il romanzo funziona così bene. Bester in effetti mise a frutto tutta la sua poliedrica attività di sceneggiatore, e quel fatto biografico (i quarant’anni d’età dell’autore) va tenuto sempre presente: non è la creazione di un giovanotto di talento alle prime armi, ma il prodotto di una vecchia volpe con vent’anni di esperienza professionale nel mondo dell’intrattenimento. Bester combina il romanzo di fantascienza al poliziesco, ma non alla detection story (quella, per intenderci, stile Sherlock Holmes: c’è un delitto all’inizio e la trama consiste nell’individuazione del colpevole che avviene alla fine) quanto al police procedural (ricostruzione delle indagini che portano la polizia a inchiodare il colpevole, spesso sapendo già chi è stato e come). A ben vedere, L’uomo disintegrato somiglia a uno di quei gialli del tenente Colombo (che a dire il vero in America si chiama Columbo): dalle primissime pagine sappiamo che Ben Reich vuole uccidere il suo concorrente Craye D’Courtney, e assistiamo alla preparazione del delitto e alla sua esecuzione. Sappiamo già chi è il colpevole. Quel che ignoriamo è come l’investigatore, il prefetto di polizia Lincoln Powell (curioso che Bester usi un titolo che esiste da noi ma non negli Stati Uniti, però è anche vero che lo scrittore conosceva l’Italia, tanto che scrisse Tiger, Tiger! a Roma) riuscirà, se ci riuscirà, a dimostrare la colpevolezza di Reich e ad assicurarlo alla giustizia. In pratica il romanzo, che è indubbiamente di fantascienza (attrezzato con astronavi, poteri psi, tecnologie futuribili di ogni tipo, anche una diversa organizzazione della società dovuta alla diffusione della telepatia), ha un motore giallo, che assicura suspense e una trama che prende il lettore senza mai lasciarlo andare.

Ma c’è anche la scrittura di Bester a costituire un valore aggiunto di L’uomo disintegrato: accurata, veloce, piena di trovate (come nella resa tipografica delle comunicazioni telepatiche), densa di citazioni, ammiccamenti, allusioni. Uno tra tanti: Lincoln Powell, che sarebbe lo sbirro, è un eroe quasi senza macchia e senza paura, ma un vizietto ce l’ha; ogni tanto, quasi contro la sua volontà, gli viene da dire con suprema disinvoltura bugie perfettamente congegnate. Quando gli accade, sostiene di essere posseduto da una specie di spirito, che lui chiama (in inglese) Dishonest Abe, con un gioco di parole su uno dei nomignoli del presidente Lincoln, Honest Abe, l’onesto Abramo (risalente al tempo in cui gestiva un negozio con una correttezza che a noi italiani sembrerebbe fantascientifica). Di simili allusioni ce ne sono in ogni pagina, e si tratta di quelle cose che inevitabilmente stabiliscono una complicità tra lettore e autore.

Ancor più metaletterario è La tigre della notte (1956, pubblicato da noi anche come Destinazione stelle). Lo è fin dal titolo: mentre l’edizione americana si chiama The Stars My Destination, quella inglese s’intitola Tiger, Tiger!, citazione dell’omonima poesia di William Blake (tra i poeti più fantascientifici, visto l’uso che ne ha fatto Farmer…), che in un certo senso s’incarna nel protagonista, Gulliver Foyle (e nel suo nome, un omaggio a Jonathan Swift). Blake immagina una tigre talmente terrificante da non riuscire a immaginare chi possa averla creata, chi abbia incorniciato la sua paurosa simmetria, ovvero le righe sul suo volto; e Gully Foyle si ritrova un terrificante tatuaggio sulla faccia praticatogli a sua insaputa, e anche dopo averlo fatto cancellare dovrà tenere a freno il suo carattere irascibile, altrimenti la maschera della tigre riapparirà rossa sul suo viso, a spaventare il prossimo. Ma c’è ben altro, come i riferimenti al Conte di Montecristo di Alexandre Dumas (del quale il romanzo, soprattutto nella prima parte, è una riscrittura); oppure gli evidenti debiti che la figura di Gully, specie dopo la sua evasione dal carcere sotterraneo di Gouffre Martel, ha con i supereroi che Bester conosceva anche troppo bene grazie al suo lavoro con la DC Comics.

A tutti gli effetti Gully, che si fa modificare il corpo per raggiungere una velocità di movimento tale da rendere impossibile a qualsiasi persona normale sopraffarlo, è un superuomo; e, ossessionato com’è dalla vendetta, non si può fare a meno di chiedersi se per caso non abbia contribuito a ispirare Alan Moore nella sua invenzione di V., il supereroe di V. for Vendetta (anche lui caratterizzato da una sbalorditiva rapidità di movimenti e da un maniacale spirito di rivalsa; e la sua fede anarchica è assai prossima al gesto finale di Gully, quando mette nelle mani dell’uomo qualunque il supremo strumento di distruzione, il PyrE). Ma il protagonista di La tigre della notte, in lotta contro tutti e contro tutto, e sempre più lacerato da sensi di colpa e dubbi morali, non può non essere visto come anticipatore (e non escludo ispiratore) anche del Batman fuorilegge nel Ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller; o dei super-eroi paria in Watchmen di Alan Moore (specialmente Rohrschach, che è una sorta di avatar di Gully, fino al punto di ritrovarsi anch’egli chiuso in una prigione…).

Giallo, romanzi d’appendice, storie di supereroi, poesie romantiche: Bester riesce a mescolare gli ingredienti più eterogenei per dare impulso alle sue storie. Anche le simbologie religiose, presenti specialmente in La Tigre: come non vedere infatti nelle peripezie di Gully una ripetizione del motivo della morte e resurrezione? Prima chiuso in un piccolo vano di un relitto spaziale; poi sepolto nel carcere sotterraneo di Gouffre Martel, vera e propria tomba buia e infernale; quindi sepolto, ancora una volta, dalle macerie della cattedrale di St. Patrick a New York; ogni volta Gully è spacciato, ogni volta risorge, in qualche modo trasformato. La sua esperienza di naufrago spaziale gli dà una forza di volontà inarrestabile; la detenzione a Gouffre Martel sviluppa il suo intelletto; la sepoltura nella cattedrale crollata (dove la simbologia religiosa è letteralmente sbattuta in faccia ai lettori) gli consente di acquisire una consapevolezza etica.

Ma se andiamo a cercare gli “eredi Bester” potremmo avere belle soprese. Per esempio, L’uomo disintegrato è la storia della rivalità tra due miliardari, ciascuno alla guida di un impero finanziario e industriale, uno dei quali a un certo punto arriva alla convinzione che non c’è posto per tutti e due; e nel mondo in cui si svolge la vicenda, i poteri psi sono stati non solo dimostrati ma messi sotto controllo e si sono trasformati in una vera e propria professione; non vi ricorda niente? Magari la storia della concorrenza spietata tra Leo Bulero e Palmer Eldritch, in un mondo nel quale i precog, in grado di predire il futuro, sono professionisti che lavorano per le grandi aziende prevedendo gli andamenti del mercato? Insomma, anche Dick qualche idea da Bester l’aveva presa.

Ma anche Bester ha i suoi debiti: sia Ben Reich che Gully Foyle sono superuomini afflitti dall’incapacità di conoscersi completamente; nella loro vita ci sono dei segreti che neanche loro conoscono, episodi perduti a causa di amnesie o di rimozioni operate dal subconscio a causa di traumi subiti. Non ricordano i superuomini amnesiaci di A.E. Van Vogt, in primis il Gilbert Gosseyn di Non-A? E anche questo si ritrova puntualmente in Dick, che con i soggetti scissi, frammentati, scombinati ci andava a nozze (lo era anche lui). D’altronde, sia Ben Reich che Gully Foyle sono due fuorilegge, due paria, due reietti: non si sono adattati alla società, e le hanno praticamente dichiarato guerra. Reich verrà sconfitto, e riadattato alle leggi della società; ma Gully non si piegherà, e in questo sarà vicino ai personaggi del primo Dick, quello sociologico di Lotteria solare, Tempo fuor di sesto, o anche L’uomo variabile.

Questo ci consente di apprezzare quanto Bester fosse in sintonia coi suoi tempi, ma anche in anticipo, per altri versi: gli anni Cinquanta americani, cominciati con la leggendaria caccia alle streghe del senatore McCarthy e le inchieste della commissione HUAC dove operava un certo Richard Nixon, furono oppressi dalla paura del conformismo, dell’omologazione, dell’irreggimentazione. Non a caso nella fantascienza spuntano personaggi che non stanno al gioco, che si ribellano, che rivendicano la propria diversità, che non vogliono stare col gregge. Nel primo romanzo Bester sta dalla parte della società contro la pecora nera; ma nel secondo qualcosa è cambiato, e lo scrittore simpatizza con l’outsider, con l’anticonformista, con l’anarchico e ribelle Gully, soprattutto nel momento in cui comprende che c’è qualcosa di più importante della sua vendetta personale. Tra un colpo di scena e l’altro Gully acquisisce anche una coscienza, che si tramuta in consapevolezza politica; di qui il suo spiazzante gesto finale. Si potrà obiettare che questi superuomini anticonformisti alla fine svolgono sempre una funzione consolatoria, che le loro mirabolanti avventure servono a far star meglio chi poi, nella vita reale, si adegua all’andazzo del momento, si adatta alla società e alle sue svariate storture. Anche questo è un modo di vedere la faccenda; ma se si pensa che l’anno dopo la pubblicazione di La tigre della notte il presidente Eisenhower manda l’esercito a Little Rock, nell’Arkansas, per consentire a nove studenti di colore di entrare a seguire le lezioni in una scuola superiore fino a quel momento riservata ai soli bianchi, si capirà che questi romanzi si collocano in un periodo nel quale il rifiuto delle regole stabilite e la lotta per la libertà non erano chiacchiere. Anche questo, a ben vedere, c’è nei romanzi di Alfred Bester.