Anna, di Niccolò Ammaniti

Quello di Niccolò Ammaniti non è certo un nome sconosciuto ai lettori italiani, ma non credo di sbagliare poi tanto nell’affermare che fra gli appassionati di fantascienza i più lo conosceranno per sentito dire e non per aver realmente letto le sue opere. Con Anna (Einaudi, 2015) l’autore fra gli altri di Io non ho paura tenta di portare le qualità che lo hanno resto così famoso nell’ambito del fantascientifico e, più precisamente, nel sottogenere post-apocalittico.

La vicenda si svolge in Sicilia nell’Anno Domini 2020. La Rossa, una malattia infettiva terrificante, ha sterminato gli esseri umani in età postpuberale, lasciando il pianeta ai soli sopravvissuti: i bambini. Sembra infatti che il morbo contagi qualunque essere umano, ma rimanga latente fino alla pubertà e solo allora manifesta tutta la sua virulenza segnando in maniera inequivocabile il destino del malcapitato.

Anna, la protagonista di questo romanzo, è la sorella maggiore di Astor. Dopo la morte della madre si è presa cura del fratellino cercando di vivere una vita tutto sommato anche fin troppo normale e serena. Ma la loro tranquillità verrà interrotta quando un gruppo di bambini farà irruzione nella villa e, mentre Anna è lontana in cerca di cibo, rapiranno il povero Astor costringendo la sorella maggiore ad abbandonare la casa per ritrovare il fratellino. Anna farà nel suo viaggio la conoscenza di Pietro, alla ricerca di un modello di scarpa che a suo dire garantisce l’immunità dal virus, e comincerà un pellegrinaggio che, tra violenze e ineluttabilità, non sarà privo di una briciola di speranza.

Il romanzo, che può in effetti essere considerato uno Young Adult, si può forse riassumere in una semplice frase: “la vita non ci appartiene, ci attraversa”. Questa è in effetti l’impressione che rimane dopo aver terminato la lettura. La storia rimane inconcludente, il finale completamente aperto lascia ipotizzare un possibile seguito, sembra quasi che una volta finito il libro ci si renda conto di aver letto una storia come mille altre, del tutto insignificante e priva di un qualunque valore che non sia quello soggettivo dei suoi protagonisti.
Il personaggio di Anna è discretamente caratterizzato, ma tutti gli altri bambini sono nulla più che macchiette finite nelle pagine del romanzo per uno scopo preciso. Non c’è profondità, non c’è patos. E questo è forse il tasto più dolente: la narrazione non raggiunge mai quei livelli di coinvolgimento che ci si potrebbe aspettare. Ammaniti è conosciuto per essere uno scrittore che conquista i suoi lettori di pancia, ma in questo romanzo di emozioni pure ce ne sono poche. I bambini sembrano privi di anima, quasi assenti nel manifestare ansie e paure, speranze e affetti. In questo senso rimane un’opera piuttosto mediocre come Young Adult, e in quanto al paragone con altre opere post-apocalittiche non regge certo il paragone con i capolavori del genere o con il neppure troppo recente La Strada di McCarthy. Qualunque paragone con Golding e il suo Il Signore delle Mosche è fuorviante e impietoso, in Anna non c’è tensione, non c’è orrore, non c’è evoluzione della personalità, non c’è paura e perfino la speranza che a tratti compare nel romanzo è qualcosa che sembra capitata lì per caso e non certo sentita e vissuta dai protagonisti.

In effetti la parte migliore del romanzo è l’inizio. Le prime pagine, che di fatto costituiscono la premessa, sono quelle più riuscite. In esse Ammaniti descrive il diffondersi dell’infezione e gli eventi che portano i due bambini a rimanere soli in una villa fuori città, mostrando tutto il suo talento nel catturare il lettore e obbligarlo a rincorrere le pagine nell’affamata voglia di sapere come andrà a finire. Poi, purtroppo, tutto questo viene a mancare e la narrazione diventa un semplice racconto di eventi senza troppo significato.

Inutile dire che ci si aspettava di più da un’opera tanto pubblicizzata e che rappresentava la prima incursione nel mondo della fantascienza da parte di un autore ben conosciuto al pubblico e che si dichiara lettore di fantascienza.

Una curiosità per i lettori più attenti: la madre di Anna era una studentessa di lettere che una volta ottenuta la laurea comincia subito a lavorare come supplente nei licei del palermitano e finisce per ottenere una cattedra nel giro di pochi anni. Forse è questo il vero elemento fantascientifico nel romanzo: è infatti abbastanza noto come in Sicilia sia praticamente impossibile non solo ottenere una cattedra in un liceo nel giro di pochi anni (ecco il motivo per cui così tanti docenti del Nord-Italia vengono dal Sud), ma perfino per ottenere delle supplenze è necessario prima fare la gavetta per acquisire punteggio. Ma, del resto, è pur sempre fantascienza. Questa è ovviamente una chicca di nessuna importanza per la storia. Nulla toglie al romanzo, che purtroppo resta un’opera mediocre e di scarso valore letterario.

In conclusione l’opera presenta degli spunti validi che però non sono sufficientemente sviluppati, le premesse iniziali vengono infatti disattese da uno sviluppo di trama e personaggi non all’altezza. Non aggiunge nulla a un tema che nell’ambito fantascientifico è stato sviscerato da fiori di scrittori, ma che forse risulta ancora fresco a chi la fantascienza l’ha sempre vista da lontano con la puzza sotto il naso.
È forse questa l’unica spiegazione di un fenomeno mediatico che, a conti fatti, delude completamente le aspettative.