Assurdo universo, di Fredric Brown

Keith Winton è un trentunenne di discreto successo. Dirige una delle riviste di fantascienza più lette del suo gruppo editoriale, ha una discreta forma fisica (sebbene cominci a sentire il fiatone dopo una bella partita a tennis), è innamorato. Sì, gli succede spesso di innamorarsi. Stavolta, però, la cosa sembra davvero seria. Lei ha il passo leggero e la testa bionda delle ragazze in gamba, fa girare la testa con quello sguardo vivace e le labbra morbide da svenire. Certo, Keith non può dire davvero di non essere un uomo fortunato. Lì, nella villa del suo editore, il week end sembra scorrere fin troppo tranquillo. Unica sfortuna, la sua bella biondina deve lasciarlo per tornare immediatamente a New York. Peccato. D’altra parte anche lei ha una rivista da dirigere, un lavoro da fare al meglio. Keith, invece, si è portato il lavoro alla villa ed è costretto a rimanere per osservare il lampo sulla luna. Fra un’ora, quando il razzo spedito sulla luna cozzerà sulla sua superficie…

 

Questo romanzo del 1949 rappresenta l’esordio letterario dell’autore nel mondo dei romanzi di fantascienza. Un esordio da romanziere col botto, si potrebbe dire. Brown, in effetti, si era già segnalato al grande pubblico con numerose storie brevi da considerare oggi come veri e propri gioielli della narrativa del genere. Con questo suo primo romanzo non si smentisce lanciandosi, anzi, in maniera definitiva nell’olimpo dei maestri della fantascienza. La storia trabocca di invenzioni narrative di ogni genere. Chi, del resto, non ricorda la “totalnebbia” (ripresa insieme ad altre invenzioni del romanzo perfino in un episodio del fumetto Dylan Dog) o i “lunari” o le insidiosissime “spie arturiane”? Perfino Federico Fellini ne rimase tanto affascinato da firmare un accordo con De Laurentiis, in cui si impegnava a realizzare un film proprio da questo romanzo. Del film, purtroppo, si perse poi ogni traccia e rimase solo una suggestiva intenzione. Cosa sarebbe potuto nascere dall’incontro fra l’immaginazione di Brown e la vena onirica di Fellini? Il romanzo, comunque, nasce dal concetto dell’esistenza di infiniti universi possibili. Da questo punto di vista, se ne possono esistere infinite versioni, ogni immaginazione può tramutarsi in realtà. Lontano da ogni genere di tecnicismo scientifico, eppure di una consistenza e credibilità unica, l’universo alternativo di Brown è insieme densamente colorato e desolante per chi lo osserva dall’esterno. Solo in superficie simile al nostro, questo universo ha il potere di destabilizzare il lettore. L’autore qui raggiunge un risultato interessante: l’identificazione fra protagonista e lettore. Le peripezie e disavventure di Keith Winton sono anche le nostre. I continui fraintendimenti che lo mettono sempre in pericolo, sono i nostri. Questo meccanismo qui funziona talmente bene da esaltare la credibilità di una pura costruzione letteraria. Brown, però, utilizza anche ben altre due fra le sue micidiali armi da scrittore. Il ritmo narrativo e l’arguzia satirica. Il linguaggio è al contempo semplice, diretto e molto arguto, punge più di uno spillo. Ideale per ciò che l’opera vorrebbe essere: storia dinamica e ricca di azione ma, al contempo, satira acuta e divertente del mitico mondo delle riviste pulpche tanto hanno dato alla letteratura americana fantastica. Il protagonista è un giovane, brillante direttore di una rivista che pubblica storie di fantascienza. Sportivo, un po’ farfallone, eppure serio e competente nel suo lavoro, forse una personificazione del mitico Campbell? Di certo, non manca la caricatura del classico appassionato lettore. Ostenta competenze, offre consigli non richiesti, pretende di essere sempre ascoltato. Brown, insomma, ne ha per tutti e non risparmia nemmeno le trame FS più acclamate. La struttura del romanzo, del resto, non è innovativa: l’eroe si trova lí per caso, affogato nelle peripezie che lo trasformeranno in qualcosa di più dell’uomo comune. Questa, insieme all’immancabile romanzetto sentimentale, la ricetta fondamentale di quegli anni. Brown, però, la ripropone in chiave satirica. Le disavventure del protagonista spesso hanno del paradossale, quasi ai limiti della ragione. Lo stesso tema sentimentale qui è molto sfumato e anch’esso alquanto desueto (non dico di più per non spoilerare). Non si discute il ritmo narrativo. I colpi di scena e le invenzioni dell’autore si snodano rapide e sicure. Una dopo l’altra, nel breve giro di poche pagine, il lettore vede cadere ogni certezza e si ritrova a girare le pagine per il puro gusto di vedere cosa succederà dopo. Lungi dallo stancare o appesantire, insomma, il romanzo sembra attizzare e rinfocolare l’immaginazione di chi legge. Non solo a causa delle meraviglie presenti in questo assurdo universo, ma anche grazie ai continui colpi di scena. Pur rimanendo consistente, l’intreccio è reso vivido dall’azione e dalla densità delle svolte narrative. Dote assai rara negli scrittori di ogni epoca, questa capacità di rendere la lettura leggera e scorrevole rende Brown perfettamente godibile ancora oggi. Tornare a leggere oggi questo romanzo, può risultare intrigante all’appassionato lettore per varie ragioni, una in particolare: tornare a guardare la fantascienza per quel che essenzialmente è, un genere popolare. Una lettura sempre da consigliare anche a chi desidera avvicinarsi alla fantascienza come ottima introduzione al genere.