Avventura nello spazio, di Edmond Hamilton

Esce in questi giorni il volume “Avventura nello spazio”, per la collana La Botte Piccola delle Edizioni della Vigna (dell’amico Luigi Petruzzelli). Il volume comprende due romanzi brevi inediti del primo periodo del grande scrittore americano e nasce da un’idea del sottoscritto come il precedente volumetto dedicato a Jack Williamson. Riporto qui di seguito la mia introduzione all’opera, che inquadra le storie nel preciso periodo storico di riferimento. Consigliato vivamente a tutti gli appassionati del “sense of wonder” e di Edmond Hamilton, ovviamente.

E’ molto difficile scrivere questa introduzione a pochi giorni di distanza da quella composta per il volume “Xandulu” di Jack Williamson ed uscito in questa stessa collana. Si tratta in effetti di autori e di storie che risalgono più o meno allo stesso periodo storico e che hanno in comune moltissime caratteristiche. Pur avendo poi seguito ognuno un’evoluzione diversa che li ha portati a realizzare percorsi abbastanza differenti, è innegabile che Jack Williamson ed Edmond Hamilton siano stati protagonisti di una stessa epoca della fantascienza, e siano spesso collegati nei discorsi critici sulla storia di questa forma letteraria.

Come dicevo in quella introduzione, questi due volumi nascono da un’idea del sottoscritto e dell’amico Luigi Petruzzelli un paio di anni fa: io e Luigi siamo grandi appassionati, esperti, e – perché negarlo?- anche collezionisti di fantascienza e dei meravigliosi pulps americani degli anni trenta e quaranta.

Ciò nonostante, per motivi casuali imposti dal vivere in città diverse (lui a Milano, io a Roma) non avevamo mai avuto occasione di incontrarci né di parlare delle nostre passioni comuni. Ma il mondo del web e dei social network sconvolge ormai tutti i ritmi relazionali del tempo che fu. E così, come mi soffermo spesso a dire, la meraviglia positiva di FB ha stavolta avuto la meglio sulla violenta, sconclusionata, spesso polemicamente convulsa vita amicale del web, e mi ha spinto ad approfondire la conoscenza del simpatico editore milanese.

Luigi ci teneva in maniera particolare a pubblicare qualcosa di quel periodo magico, il periodo d’oro dei pulps, e quali autori meglio di Jack Williamson e di Edmond Hamilton hanno incarnato lo spirito di quei tempi? E, dato che c’è ancora molto di inedito in Italia di questi due scrittori, non è stato poi così difficile mettere assieme questi due volumi. Permettetemi di citare anche l’amico Piergiorgio Nicolazzini, agente di entrambi gli autori, senza la cui indispensabile ed affettuosa collaborazione non sarebbe stato possibile realizzare questo progetto.

Questi due volumi, come ho già detto, sono un omaggio esplicito alla fantascienza degli anni d’oro e al senso del meraviglioso che la contraddistingueva, quel decantato «sense of wonder» che tanto ci ha fatto sognare durante la nostra fanciullezza. Opere come Guerra nella galassia di Edmond Hamilton, La legge dei Varda di Leigh Brackett, La gemma della stella verdedi Jack Williamson, John Carter di Martedi Edgar Rice Burroughs, Gli abitatori del miraggio e Il pozzo della Lunadi Abraham Merritt rimarranno sempre nel mio cuore e in quello dei tanti appassionati che hanno iniziato a leggere fantascienza con questi autori.

Da Wells e da Burroughs in poi (ma in fondo anche daVerne, perché chi potrebbe mai negare il «sense of wonder» di opere come Ventimila leghe sotto i mari o Viaggio al centro della Terra, del suo Nautilus e del Capitano Nemo?) la fantascienza è vissuta per trent’anni in una sorta di magico fulgore fantastico dove tutto era possibile, un’epoca di sfrenato romanticismo e di grandiosa immaginazione piena di storie che facevano sognare o lasciavano sbalorditi per la magnificenza delle idee. Poi l’avvento di John W. Campbell alla guida di Astounding, un Campbell ormai maturo, ben diverso dal Campbell che aveva scritto fino a qualche anno prima eccezionali storie di «superscienza», portò pian piano una visione nuova in questo genere letterario: una visione forse più matura, più razionale, più attenta ai problemi tecnici, scientifici e sociali, forse anche più valida letterariamente, ma certo anche meno spontanea, meno sognante.

Tra i tanti autori di quell’epoca favolosa, ricordata ancor oggi con molta nostalgia, un posto di spicco spetta di sicuro a Jack Williamson e a Edmond Hamilton.

Edmond Hamilton (1904-1977), in particolare, era un bambino prodigio. Prese il diploma all’età di quattordici anni, e poi andò per tre anni al college prima di laurearsi. Con un solido background in fisica e in ingegneria elettronica, e una immaginazione tra le più fertili e con la ricca ispirazione proveniente dalla lettura dei coloritissimi romanzi di Abraham Merritt, Hamilton riuscì a fondere al meglio queste due anime nelle sue storie apparse su Weird Tales: una base scientifica estrapolata in maniera selvaggia ed esaltata dalla sua sfrenata immaginazione.

I due romanzi brevi presenti in questo volume ne sono un esempio assai calzante.(Una precisazione bibliografica su questo volume e sui due romanzi brevi qui inclusi. Come per Jack Williamson mi sono avvalso dell’opera meritoria della piccola casa editrice americana Haffner Press, che si dedica alla pubblicazione dell’opera omnia dei grandi autori dell’età d’oro della sf (Henry Kuttner, C.L:Moore, Leigh Brackett, e appunto Jack Williamson ed Edmond Hamilton). Da questi bellissimi volumi ho tratto gli inediti più corposi e più importanti, come appunto “Locked Worlds “ e “Across Space”.)

Across space, in particolare, mi sembra davvero emblematico. Si tratta del secondo racconto di Hamilton ad apparire su WT (uscì a puntate nei numeri di Settembre , Ottobre e Novembre del 1926). Racconta di eventi scientifici grandiosi e sbalorditivi: Marte è stato spostato dalla sua orbita e si muove in rotta di collisione verso la Terra. Un astronomo solitario riesce però a mettere insieme una serie di fatti apparentemente scollegati e si dirige alla volta dell’isola di Pasqua, dove sta avvenendo qualcosa di molto strano. Da qui alla scoperta di un’antica civiltà marziana il passo è breve. Il resto lo lascio al nostro pubblico. Basti dire che la novella si snoda tra le avventure più incredibili e mirabolanti, narrate col tipico stile schietto e romantico di Hamilton (l’incontro con la moglie, Leigh Brackett, e la sua influenza avrebbero poi contribuito a migliorare ancor più questo aspetto e questa caratteristica delle sue opere).

Nell’altra abbiamo invece un classico esempio di dimensioni parallele, risonanti con la nostra attraverso le vibrazioni universali atomiche. In una storia di Hamilton, disse una volta un critico americano, scomporre l’universo conosciuto in vibrazioni separate al suono di frequenze diverse, e poi rimescolarle, era un po’ come per un chimico miscelare i diversi elementi per creare un nuovo composto, e gli permetteva di inventare raggi mortali capaci di fare praticamente tutto ciò che voleva.

Così Hamilton crea e inventa le armi più micidiale e meravigliose, basandosi sulle vibrazioni elettriche e sulle manipolazioni elettrochimiche e magnetiche, che consentono di attraversare l’etere e raggiungere Marte o gli altri pianeti dalla Terra, o addirittura altri universi e altre dimensioni cosmiche. E tutto ciò in tempi molto antecedenti la televisione, o anche prima della scoperta di Plutone (che avvenne nel 1930). Quando gli Stati Uniti erano ancora una popolazione agraria e rurale con a disposizione solo i giornali e la radio. Quando Hamilton scriveva di micro o macro dimensioni, o di robot con intelligenza artificiale, l’America non era ancora unita da una rete autostradale e l’industria del cinema era ancora nella sua infanzia.

Si tratta di storie spesso semplici, basate anche su formule ripetitive (gli alieni cattivi, l’eroe che si sacrifica sempre, le astronavi gigantesche, le battaglie stellari..), “pulpish” direbbero gli americani. Leggere oggi queste storie è un po’ come ascoltare un concerto rock dal vivo. Forte, violento, non sofisticato, ma con un’energia cui è impossibile resistere. La musica registrata in uno studio è di certo più sofisticata e gradevole all’orecchio, con le note rese perfette dal mixaggio e remixaggio, ma manca la qualità, la vitalità di una performance spontanea.

Ed è così anche nelle storie del primo Hamilton: a volte sono poco sofisticate, è vero, ma ciò è ampiamente compensato dalla immaginazione vivace, dalla continua esaltazione dell’avventura infinita, dalla gioiosa freschezza dei personaggi e delle vicende, tanto ingenui e vitali da risultare spesso indimenticabili. Come disse appunto di lui il suo amico fedele Jack Williamson: “le sue prime storie erano rozze, ma si muovevano a ritmi frenetici, ed erano eccitanti e piene di senso del meravigliso. Di qualcosa che la sf di oggi ha forse perso.”

Per l’acquisto del libro, sia in versione digitale che cartacea potete verificare a questo indirizzo web

http://www.edizionidellavigna.it/collane/LBP/022/LBP022.htm