China Mieville: immaginario urbano, città immaginarie

 

Forse in Italia non ce ne siamo accorti, ma nel mondo dei generi non-realistici (e qui dentro ci metto fantascienza, fantasy, noir, horror, e tutte le loro forme ibride, denominate sempre più frequentemente New Weird o Slipstream) c’è qualcosa di nuovo. Non ce ne siamo accorti forse perché finora China Miéville è stato pubblicato da un editore di genere come  Fanucci, e non da un editore più  importante e non così collegato al fantastico; mettiamoci anche traduzioni non proprio smaglianti di alcuni dei romanzi già pubblicati, soprattutto per la cosiddetta Trilogia di Bas-Lag (Perdido Street Station, La città delle navi, Il treno degli dèi). Eppure Miéville è, come dicono gli americani, the next big thing; provare per credere.

Ho avuto occasione di incontrare Miéville a Riverside, in California, durante l’Eaton Conference del 2011. Per chi non lo sapesse è un congresso che si svolge non proprio tutti gli anni, dove si incontrano studiosi di fantascienza di tutto il mondo conosciuto (qualcuno, sospetto, non era di questo mondo). Quell’anno c’erano francesi, inglesi, polacchi, giapponesi, e ovviamente un esercito di americani (italiani, me compreso, solo due…). L’evento clou della manifestazione era proprio la presenza di Miéville. Tenete conto che allora ai romanzi sopra citati ne andavano aggiunti altri due, l’originalissimo noir La città & la città e la commedia fantastica Kraken, due sbalorditivi tour de force stilistici che avevano manifestato una considerevole maturazione dello scrittore; ed era annunciato il suo primo romanzo di “pura” fantascienza, Embassytown(uscito qualche mese dopo, e finalmente tradotto in italiano per i tipi di Fanucci). Miéville ci ha fatto un figurone; disinvolto, colto però alla mano, ha dimostrato una considerevole conoscenza della fantascienza (confrontandosi con gente che ne sapeva praticamente tutto) e una grande consapevolezza dei meccanismi narrativi. Ha anche mostrato di possedere quel senso dell’umorismo che gli inglesi probabilmente hanno nei cromosomi. Aggiungiamo un fisico atletico e i vari piercing, e si capirà che è stato lui la star della conferenza – nonostante, come ho potuto verificare per l’ennesima volta, le relazioni tra americani e inglesi non siano mai una cosa semplice.

Miéville, insomma, non è solo uno scrittore provvisto di una fantasia inesauribile, alimentata anche da un’enciclopedica conoscenza della letteratura di genere (e non un solo genere: come già ho scritto, lui gioca altrettanto bene al gioco della fantasy, del giallo, della fantascienza…), cosa che gli ha permesso di inventare le agghiaccianti falene di Perdido Street Station, l’avanc di La città delle navi, o il golem di tempo che Judah Low crea alla fine di Il treno degli dèi. La sua è un’inventiva che s’alimenta della storia di una tradizione talvolta decisamente antica: dietro il personaggio di Judah Low, per esempio, s’intravede la figura storica del rabbino Judah Loew ben Bezalel, che secondo la leggenda creò a Praga il primo golem nel diciassettesimo secolo. Nella Città delle navi ci sono i vampiri; niente di nuovo sotto il sole, dirà qualcuno, ma immaginare un governo di vampiri al quale i cittadini sono tenuti a versare una tassa di sangue è qualcosa che a Bram Stoker non era proprio capitato. Insomma, Miéville ha il supremo talento di saper reinventare storie e figure che sembravano aver detto già tutto. Non è cosa da poco.

Ma aggiungiamo a questo la capacità di leggere vecchie leggende e venerandi miti come metafore politiche, perché Miéville ha, come si dice oltreoceano, un’agenda politica, ed è tutt’altro che nascosta. Militante trotzkista, nonché studioso di diritto internazionale, il nostro inventa una metropoli immaginaria dopo l’altra (New Crobuzon, Armada, e in La città & la città ben due città sovrapposte e coabitanti, Besźel e Ul Qoma, in un virtuosismo di immaginazione urbanistica senza precedenti); le popola con una profusione di razze immaginarie (i tanati, i rifatti, le khepri, i garuda, i vodyanoi, c’è un articolo su Wikipedia per aiutare i lettori a non perdersi…) da far impallidire Tolkien coi suoi miseri elfi, nani e hobbit; e poi scatena tra queste razze e all’interno di esse le dinamiche sociali che oppongono chi ha a chi non ha, chi appartiene a chi non appartiene, chi comanda a chi subisce. Nei suoi romanzi, per fantastici che possano essere, si tratta spesso e volentieri di argomenti quali l’imperialismo e il colonialismo, il dominio delle multinazionali (ci sono anche quelle…), il terrorismo (nelle varietà più esotiche), l’odio razziale, l’omosessualità, lo shock derivante dal contatto tra culture diverse, i diritti dei lavoratori (spesso calpestati) e la guerra; e tra una riga e l’altra s’intuisce che sullo sfondo del fantastico universo alternativo di Bas-Lag c’è sia la globalizzazione che il movimento no-global. E ogni tanto scoppia anche una rivoluzione: del resto, tutto Il treno degli dèi è un omaggio ai movimenti rivoluzionari dell’Ottocento, dagli anarchici ai primi socialisti, alla Comune di Parigi e via così.

Quel che trovo più interessante in Miéville è la sua capacità di restare fedele alla tradizione britannica del fantastico urbano innovandola radicalmente. Che l’immaginario della perfida Albione sia spesso ambientato in città è difficile da negare: basti pensare alla Londra del Dottor Jeckyll e mister Hyde di Stevenson, la stessa Londra teatro delle gesta di Jack lo squartatore (posto che sia esistito), trasposta in chiave fantastica e massonica da Alan Moore in From Hell; la Londra di un capolavoro del gotico purtroppo mai tradotto da noi, Hawksmoordi Peter Ackroyd; la Londra in cui si aggira il Dracula di Bram Stoker, ma anche il Dorian Gray di Wilde. La capitale britannica è città negromantica e misterica, teatro delle gesta di Aleister Crowley, che Miéville ha riletto anamorficamente con la sua megalopoli multietnica New Crobuzon (dove sono ambientate due parti della Trilogia di Bas-Lag); e ha poi esplorato nei suoi angoli più reconditi in Kraken, un divertente romanzo (ancora inedito in questa Italietta alla periferia di tutti gli imperi), dove la megalopoli sul Tamigi diventa campo di battaglia dei più strani culti misterici e di una malavita armata di poteri magici. Insomma, per Miéville la capacità di immaginare le strane città nelle quali si svolgono invariabilmente i suoi romanzi scaturisce da una tradizione di immaginario urbano, in cui alla città reale si sovrappongono miti, leggende, favole, sogni e chimere che possono essere vecchi di secoli; per cui ogni conurbazione umana è al tempo stesso (Italo Calvino docet) la città che vediamo e quella che sogniamo, o che ci raccontiamo. Come in The City & The City, nello stesso spazio di Ul Qoma c’è anche Besźel, la stessa piazza, lo stesso giardino, il medesimo marciapiede può appartenere a entrambe le città ma visto da ognuna di esse è un luogo diverso che significa cose ben diverse.

Ma andiamo a vedere come Miéville spiega Miéville.

Prima di tutto, ho notato che c’è una curiosa simmetria tra la trilogia di Bas-Lag e i tuoi tre romanzi più recenti, anche se questi ultimi appaiono indipendenti l’uno dall’altro. La trama di Perdido Street Station si basa su un’indagine; lo stesso avviene in La città & la città. La città delle navi è un romanzo marittimo, di viaggi oceanici; e al centro di Kraken c’è un calamaro gigante, e l’annesso culto misterico (e poi il mare stesso è uno dei personaggi). Ultimo, ma non in ordine d’importanza, Il treno degli dèi tratta di una rivoluzione immaginaria e repressa; ed Embassytown tratta anch’esso di una rivoluzione, in realtà due, in competizione tra loro. Ci vedi solo l’amore per le simmetrie del critico, in tutto questo, oppure c’è qualcosa di deliberato da parte tua?

Posso dire che non è niente di deliberato – anche perché l’ordine di pubblicazione non è in effetti l’ordine in cui sono stati scritti i libri. Ma questo non significa che tu abbia torto, o che la tua lettura sia tendenziosa. Capita spesso che i critici e i lettori siano in grado di vedere cose che sfuggono agli scrittori stessi. Penso che in realtà molte delle cose che mi affascinano restino le stesse, libro dopo libro, così non mi sorprende che ci siano delle risonanze – e se queste sono risonanze di una specie più strutturata di quanto io sia capace di notare, be’, credo che tu abbia colto qualcosa. Non di deliberato. Però qualcosa di possibile sì.

Spingendo un po’ oltre la mia simmetria: le tre parti della trilogia di Bas-Lag sono assoluto slipstream, una miscela di fantascienza (varietà steampunk), fantasy e romanzo d’avventure. Negli ultimi tre romanzi hai dato prova (mi chiedo quanto consapevolmente e deliberatamente) che sai scrivere un giallo (La città & la città), una commedia soprannaturale (Kraken) e un romanzo di fantascienza al tempo stesso classico e innovativo come Embassytown. Ancora una volta: allucinazione del critico, oppure…?

Ancora una volta, vedi sopra. Non è che io avessi un programma, che desiderassi dare una certa forma particolare alla mia opera: tanto per dirne una, la prima stesura di Embassytownrisale a molti anni fa. Ma ciò che è sicuramente vero è che la mia relazione con i generi letterari, pur restando caratterizzata dalla fascinazione e dal rispetto, cambia di momento in momento. Qualche volta sono interessato a mettere mano a un certo genere letterario mettendo fortemente in discussione i suoi tropi e le sue tradizioni – ma sempre dall’interno. Qualche volta, e questo è successo in particolare con La città & la città, tento di fare qualcosa di nuovo pur dimostrando un’assoluta e incrollabile fedeltà ai vari protocolli, forse proprio a causa di questa fedeltà – in quel caso, ai protocolli del romanzo giallo. Allo stesso modo, Embassytown è un romanzo di fantascienza molto ma molto più “regolare” di quanto la trilogia di Bas-Lag fosse fantasy “regolare”. Mi riservo il diritto di riposizionarmi all’interno di questa relazione col genere, indietro, o avanti, o di lato, per cambiare il tono della conversazione che intrattengo coi generi.

New Crobuzon è Londra, o comunque questa è la sensazione che ho sempre avuto leggendo i tuoi romanzi. Ma quando hai scritto un romanzo che è realmente ambientato a Londra (Kraken) hai inventato un’altra Londra (operazione che avevi già compiuto se non sbaglio in Un regno in ombra e Il libro magico). Pensi che uno scrittore debba inventarsi un’altra Londra per parlare di Londra, o il fatto è che c’è sempre un’altra Londra?

Qualunque sia la ragione, Londra è una città che si rispecchia particolarmente bene attraverso il fantastico, il fantasmagorico. Per la stessa ragione, la Londra nella quale abito, e tutte le altre, sono per così dire contaminate anche da tutte le altre città che amo. E la Londra che è in me è la Londra raffigurata, rifratta, tanto quanto quella concreta dove abito, sulla quale cammino. Non so se la metterei nei termini di una necessità da parte degli scrittori di inventare un’altra Londra (e anche tutte le altre città) – direi che lo fanno inevitabilmente ogni volta che le raffigurano. Inevitabilmente. Inesorabilmente. Va bene così, non c’è niente di male. Significa che le Londre dove abitiamo e che leggiamo sono in un costante processo di frattalizzazione. E questa è una cosa emozionante.

The City & The Citymi ha aiutato a mettere a fuoco un semplice fatto della vita quotidiana a Roma, qualcosa di troppo semplice e troppo grande perché fosse visibile (almeno per me): la gente che abita in una metropoli (anche in una formato ridotto come Roma) vive in luoghi diversi in ore diverse. Gli immigrati a Roma abitano negli stessi spazi dove abitiamo noi, ma è come se vivessero in una città diversa; ci si incontra in luoghi che sono “intersezionati”, come le vie, le piazze e i parchi in comune tra Ul Qoma e Besźel nel tuo romanzo, ma viviamo per la maggior parte del tempo ognuno nella sua città.

Niente punto interrogativo! Posso solo dire sì, be’, forse, lo spero. Con questo romanzo ho sempre avuto l’intenzione non tanto di inventare una logica sociale radicalmente nuova e diversa, ma di esagerare la logica sociale che ci circonda continuamente, estrapolandola appena un po’ oltre la sua realtà quotidiana. Se lo scopo è la defamiliarizzazione, l’accento è sia sul familiare che sul “de-”.

Che ruolo gioca l’anno che hai trascorso in Egitto nella tua immaginazione letteraria? Ha qualcosa a che fare col modo in cui costruisci spazi urbani (forse solo apparentemente) immaginari?

Sospetto di sì. Come saprai anche troppo bene, gli scrittori sono spesso le peggiori persone cui fare domande su come sono arrivati dove stanno, voglio dire domande su quello che li ha influenzati e formati. Certamente ero ben consapevole delle particolari politiche dello spazio che operavano al Cairo, e nelle città egiziane, e dalla continua battaglia tra spazi vuoti e l’aggrovigliata pienezza dell’architettura. C’è una parte di Perdido Street Station che è un’esplicita improvvisazione basata su quel fatto. Mi sono anche interessato a diversi aspetti della politica, della cultura e della letteratura egiziana. Come queste cose abbiano avuto un impatto su quello che scrivo, però… probabilmente mi trovo nella posizione peggiore per giudicare. Un grande impatto, penso, molto forte – ma non sono sicuro di sapere in che modo.

Certi aspetti dei tuoi romanzi mi suonano un po’ enigmatici. Torniamo indietro a Perdido Street Station. Le falene non hanno qualcosa a che fare coi media? Uno dei miei film horror preferiti, The Ring, è in realtà un apologo sulla televisione, ed è molto più serio di quel che sembra. Le falene nei tuo romanzo, che svuotano la mente delle loro vittime, mi sembrano simili, fatte di una sostanza non tanto psicologica quanto sociologica. Immagini anamorfiche di qualcosa di anche troppo concreto.

Ma c’è qualcosa che non abbia a che fare con i media, oggi come oggi? Possiamo far finta che non ci siano? Non penso. In effetti le falene sono una versione di uno dei miei tropi preferiti, il motivo della sensazione dannosa, con il quale ho giocato più di una volta (l’ultima volta che l’ho cercato c’era una voce sull’argomento nella Wikipedia) [Per chi sia interessato, la voce – in inglese – si trova all’indirizzo http://en.wikipedia.org/wiki/User:David_Gerard/Motif_of_harmful_sensation N.d.A.]. L’idea è che ci sono motivi in grado di esercitare un’influenza sulla mente di quelli che li vedono (oppure “intonano” la mente di quelli che li ascoltano, eccetera). Naturalmente per me questa idea non è affatto originale. Ciò che volevo fare era ibridare quella tradizione con quella delle entità organiche mostruose, concentrandomi sull’entomologico. In particolare, la naturale trasformazione in un’arma del motivo della sensazione dannosa – che è anche un omaggio a “Il bozzolo”, un racconto sottovalutato e straordinariamente terrificante di John Goodwin.

E poi, se ci sono sviluppi o ramificazioni del concetto del mangiare la mente, bene; accetto tutto quello che ne verrà fuori.

Un altro aspetto enigmatico lo trovo in La città & la città, ed è la Violazione, la polizia segreta che mantiene la separazione tra le due città, impedendo in ogni modo che si confondano. Dovrebbe essere l’apparato repressivo definitivo, eppure tu lo descrivi quasi come fosse una comunità utopica. Nonostante sia una forza di polizia, tutte le decisioni vengono prese democraticamente, votando. La Violazione non sembra avere una vera e propria gerarchia, è qualcosa di anarchico, ma è comunque efficiente, ed efficace…

Certo che è una democrazia, ed è anche di base – ma al servizio di cosa? Certamente non di qualcosa che io approvi. Ma in fin dei conti Borlú, il detective protagonista del romanzo, non è me, e le sue opinioni non sono le mie, nonostante mi possa piacere come persona. I metodi della Violazione sono una cosa; ma sono al servizio di una mostruosità quotidiana.

(Tu non hai detto che sono d’accordo con i miei personaggi, ne sono ben consapevole, ma consentimi di fare una digressione. Mi sento particolarmente frustrato quando, di tanto in tanto, certi lettori, particolarmente quelli di sinistra, deducono che io condivido le idee dei miei personaggi. Per esempio mi chiedono “Come mai Borlú è un poliziotto? Non sei scettico sui metodi della polizia?” Oppure “Perché hai fatto così alla fine di Perdido? Non sono d’accordo con la decisione che hai preso.” Ma parlano della decisione che prende Isaac, un personaggio del romanzo. E così via. Si tratta di un modo di esprimersi sbalorditivamente rozzo; ma quanto è comune!)

Kraken è un’anatomia, ma anatomia di cosa? Dell’irrazionalità, della pazzia, delle mitologie? La trovo particolarmente appropriata proprio perché Londra è considerata una delle capitali della magia nera, per cui la faccia irrazionale della città mi sembra fare comunque parte della sua identità, eppure ho la sensazione che il tuo romanzo non sia semplicemente un divertissement, che dietro la commedia ci sia qualcosa di serio. Volevi solo divertirti a prendere i giro certe paranoie millenaristiche ricorrenti (la prossima sarà quella dei calendari Maya nel 2012), oppure…

Ah, sono contento che non ti sia sfuggita la questione dell’anatomia. Sì, questa è una cosa molto ma molto importante per me. Il romanzo in effetti non s’intitola Kraken, ma Kraken: Un’anatomia. Nel senso che ha dato al termine Northrop Frye, e cioè l’anatomia come satira menippea. Ma penso anche alla tela di Rembrandt, “Lezione di anatomia del dottor Tulp”. Spero che sia una presa in giro molto rispettosa e sincera di fede, estasi e illuminazione religiosa, per le quali nutro un immenso rispetto e dalle quali sono immensamente affascinato, ma che non condivido. Se vuoi è anche un pizzocotto che do a un certo modo di mettersi in relazione con esse, diciamo una gomitata alla svolta teologica della teoria critica [La tradizione di studi nata con la Scuola di Francoforte N.d.A.].

In Embassytown la citazione di Walter Benjamin posta a epigrafe del romanzo mi ha indotto a sospettare che la figura di EzRa abbia molto a che fare con i media. Dipendenza dai media, l’ipnosi dei simulacri, la fascinazione di una voce che non ha veramente niente da dire… sicuramente il romanzo scaturisce dalla tradizione della fantascienza linguistica (non si può non pensare a Babel-17 di Samuel Delany, oppure Il grande anello di Ian Watson), ma dentro c’è anche molto Orwell.

Non dubito che ci sia Orwell, oltre agli altri nomi che hai citato, ma penso che ci sia molta più Bibbia.

Quando hai disinvoltamente usato il tedesco per coniare diversi termini usati in Embassytown stavi pensando a Philip K. Dick?

Non a lui in particolare, per quanto abbia fatto uso di Dick e l’abbia citato ripetutamente nella mia narrativa. In Embassytown ero spinto più che altro dalla delizia per la scoperta del termine tedesco immer, che vuol dire “sempre”: è semplicemente perfetto, in inglese lo puoi usare per infiniti giochi di parole che indicano direzioni diverse, tanto da generare a sua volta ulteriori germanismi.

Hai già parlato dell’impatto che i giochi di ruolo hanno avuto sulla tua narrativa, ma sbaglio o c’è tanto che deriva dai fumetti? Per esempio, la trilogia di Bas-Lag ha sicuramente il tuo tocco particolare e inconfondibile, però ci sono anche atmosfere che ricordano i fumetti di Alan Moore, soprattutto la Lega degli straordinari gentlemen.

I fumetti, ma certo, assolutamente. In particolare, Moore, sì, come anche ovviamente tutti i supereroi, ma sono altrettanto importanti tre altre tradizioni fumettistiche, per limitarmi a quelle di cui sono consapevole, che sono profondamente radicate in me. Allora, tanto per cominciare certi fumetti britannici per bambini degni anni Settanta e Ottanta, come Whizzer and Chips, per non parlare dell’opera di Leo Baxendale e soprattutto Ken Reid. Secondo, 2000AD [La rivista di fumetti sulla quale sono nate le storie del Giudice Dredd, che sono servite da palestra ad artisti del calibro di Alan Moore e Neil Gaiman N.d.A.]; un artefatto culturale che incombe sull’universo di tanti scrittori britannici. Terzo, la tradizione dei fumetti artistici o d’avanguardia pubblicati da una rivista come Raw o da una casa editrice come Drawn and Quarterly, e così via. Queste tre pietre di paragone vorticano nella mia testa e penso che siano presenti dovunque nella mia opera.

E adesso? Voglio dire, ti godrai un meritato riposo? Sono impressionato dal tuo ritmo produttivo, otto romanzi in tredici anni di attività è un bel record. O già stai lavorando attorno a un altro romanzo?

Mi fa piacere che tu la pensi così – invece io sento di essere terribilmente lento, e di non fare abbastanza, di non avvicinarmi nemmeno alla sufficienza. Sto lavorando su un altro romanzo, e poi voglio scrivere saggistica, e prendermela comoda, metterci più tempo a scrivere il romanzo successivo. Pubblicherò qualcosa nell’estate prossima (un romanzo) e poi spero di potermi dedicare ad altre cose: racconti, saggistica, chissà, forse fumetti e anche giochi. Ma sai, io vivo di speranza.

 

Bibliografia annotata

Un regno in ombra (1998) Fanucci

Romanzo fantasy d’esordio di Miéville, ha come protagonista Saul Garamond, un giovanotto che viene incolpato dell’omicidio del padre. Viene fatto evadere dal Re Ratto, uno strano personaggio che lo introduce in una Londra parallela dove vivono personaggi di favole e leggende, dal pifferaio magico di Hamelin ad Anansi, l’uomo-ragno narratore del folklore africano, per non parlare di Loplop, il re degli uccelli inventato dal pittore surrealista Max Ernst. Saul e Re Ratto dovranno fronteggiare la minaccia del pifferaio, intenzionato a stabilire il suo dominio sulla metropoli.

Trilogia di Bas-Lag

  • Perdido Street Station (2000) Fanucci
  • La Città delle Navi (2002) Fanucci
  • Il Treno degli Dèi (2004) Fanucci

Bas-Lag è il continente immaginario sul quale sorge la metropoli di New Crobuzon: questa è l’ambientazione in comune dei tre romanzi, che raccontano però vicende diverse. Nel mondo di Bas-Lag magia e scienza sono altrettanto efficaci e diffuse, e decine di razze diverse convivono, anche se in modo non sempre pacifico. Nel primo romanzo un eterogeneo gruppo di personaggi si raccoglie attorno allo scienziato Isaac Dan der Grimnebulin per fronteggiare la minaccia delle falene, predatori notturni in grado di paralizzare le loro vittime con la semplice visione dei disegni sulle loro ali, e di fagocitarne la mente, lasciando i loro corpi come gusci vuoti. Nel secondo quattro personaggi originari di New Crobuzon, tra cui la linguista Bellis Coldwine, si trovano a bordo di una nave assaltata da pirati e vengono sequestrati e deportati su Armada, una metropoli galleggiante governata da una coalizione di bucanieri; il destino dei quattro verrà determinato da una titanica impresa concepita dagli Amanti, governanti di Armada, che vogliono spingersi ben oltre i confini del mondo conosciuto, verso la misteriosa Cicatrice. Nel terzo romanzo una vera e propria rivoluzione scoppia nella metropoli di New Crobuzon, e la narrazione della lotta tra il dispotico governo della città e i rivoltosi si alterna alla vicenda del treno ammutinato che si nasconde vagando nelle terre selvagge dell’ovest.

Il libro magico (2007) Fanucci

Romanzo fantastico per bambini, incentrato sulle avventure di due ragazzine dodicenni, Zanna e Deeba, che si ritrovano in una Londra alternativa e soprannaturale, intessuto di ironici rimandi alla storia reale della capitale britannica: le due protagoniste dovranno vedersela col mostruoso Smog, scacciato dalla Londra storica e rifugiatosi in quella anamorfica dove si svolge la vicenda.

La città & la città (2009) Fanucci

Anomalo giallo ambientato in una doppia città, o meglio in due città che coesistono nello stesso luogo, Ul Qoma e Besźel, forse nei Balcani, forse in Asia Minore. Le due città-stato sono intrecciate l’una con l’altra: una strada fa parte di Ul Qoma, ma la piazza in cui sbocca può far parte di Besźel; metà di un parco pubblico può trovarsi in una delle due città e il resto nell’altra; singoli edifici lungo una strada di Besźel possono appartenere a Ul Qoma. A complicare il tutto, il fatto che certi spazi urbani, le Intersezioni, appartengono a entrambe le città (anche se con nomi diversi); e che le due città sono nazioni indipendenti, animate entrambe da un gretto nazionalismo e divise da odio e rivalità vecchi di secoli. In questo contesto l’umano e ragionevole ispettore Tyador Borlú deve indagare sull’assassinio di una studentessa americana, trovata in un giardino di Besźel, ma probabilmente uccisa a Ul Qoma. Dietro il delitto c’è forse un intrigo politico, o forse una leggenda che potrebbe non essere tale: l’esistenza di una mitica terza città, Orciny, che forse vive negli interstizi tra Ul Qoma e Besźel senza che le due metropoli sovrapposte se ne accorgano.

Kraken (2010)

Un esemplare imbalsamato di Architeuthis dux, il calamaro gigante che vive negli abissi oceanici, scompare dal Natural History Museum di Londra. Billy Harrow, lo zoologo che si è occupato dell’imbalsamazione del prezioso esemplare, viene rapito da una setta di krakenisti, o adoratori del calamaro gigante (detto kraken in inglese). Scopre così che nella Londra parallela della magia nera e del soprannaturale, dove proliferano decine di culti misterici ognuno dei quali è convinto di conoscere la data dell’apocalisse incombente, si è sparsa la voce che sta per arrivare la fine del mondo quella vera, e che il calamaro sparito ha qualcosa a che vedere con essa. Commedia surreale e al tempo stesso indagine poliziesca (esiste anche una squadra di Scotland Yard specializzata nella repressione della malavita negromantica), questo romanzo è soprattutto una divertita anatomia delle tante sette religiose misteriche e millenaristiche.

Embassytown (2011)

Ultima fatica di Miéville, è un solido romanzo di fantascienza ambientato sul remoto pianeta Arieka, dove gli umani hanno incontrato degli alieni del tutto speciali: gli ariekei, estremamente progrediti nelle biotecnologie, che parlano una lingua nella quale è impossibile mentire. Questa lingua, inoltre, è fatta di parole pronunciate simultaneamente, perché gli ariekei sono provvisti di due bocche: per comunicare con loro coppie di umani, gli Ambasciatori, vengono addestrati a comunicare simultaneamente e soprattutto a non mentire mai, pena l’incomprensione totale da parte degli alieni. Ma l’arrivo dell’ambasciatore EzRa, il primo che non sia nato e cresciuto su Arieka, provoca strane e sempre meno controllabili reazioni da parte degli alieni. Come in tutti gli altri romanzi di Miéville, un mondo strano e a malapena comprensibile viene scosso da una crisi che ne rivelerà la vera logica, e porterà a un mutamento catastrofico, inarrestabile e spietatamente consequenziale. Che ovviamente non sarà indolore.