Chirurgia creativa, di Clelia Farris

Tutto prende inizio con un annuncio sulla bacheca dell’Istituto di Chirurgia Creativa: Cerco saldatore per microrganismi. Solo ottime prestazioni. Pagamento in cipolle e legumi freschi. Presentarsi laboratorio Stern.

Vi, la donna che ha messo l’annuncio, è un genio della chirurgia creativa, una disciplina «all’apice del progresso tecnico» che consente di creare nuove forme di vita mettendo insieme i pezzi di vari organismi.

L’elevato sviluppo della nanotecnologia e della biotecnologia permette agli scienziati di maneggiare la vita a proprio piacimento. Ma attenzione, nel racconto non vengono mai nominate le parole nanotecnologia e biotecnologia, riconoscendone la superficialità rispetto ai fini della narrazione.

La strana coppia di lavoro, composta da Vi e il suo assistente, si metterà subito al’opera. L’obiettivo? Costruire nuovi animali il più possibile brutti perché «il repellente è il nuovo fascino», almeno secondo quanto sostiene la squinternata direttrice delle operazioni di laboratorio. Lei taglia, affetta, seziona, e lui ricuce i pezzi con il solo tocco delle dita ingegnerizzate (altro prodigio della tecnica).

In un mondo dove la materia organica vivente può essere manipolata a totale piacimento, in cui basta spruzzare una sospensione di batteri modificati sul viso di un vecchio per farlo tornare giovane, i difetti fisici sono stati banditi e in giro si vede solo una massa omologata di volti fatti con lo stampino, «giovani e sciocchi» in ugual misura.

L’essere se stessi è quanto di più trasgressivo e originale si possa fare. Ma l’essere se stessi è un processo attivo, bisogna «scegliere di essere qualcuno che non si conosce», bisogna esserlo non solo dal punto di vista fisico ma anche e soprattutto da quello mentale.

«Siamo tutti un po’ Frankenstein: il naso del padre, la bocca della madre, le sopracciglia del nonno, gli occhi della nonna». E siamo talmente concentrati sull’aspetto fisico da non accorgerci che «è nel substrato psichico che si compiono le vere nefandezze» ereditarie insieme alle peggiori contaminazioni dall’ambiente esterno. L’aspetto fisico è il fattore meno importante nella costruzione di noi stessi. Come possiamo riuscire ad avere pensieri e comportamenti davvero autonomi? Questo è il problema.

Il racconto lungo “Chirurgia Creativa” di Clelia Farris non è solamente la storia strampalata di due scienziati pazzi che costruiscono tartagatti e altre diavolerie, è l’elogio della bruttezza come simbolo della diversità, è il manifesto della personalità espresso con un mezzo potentissimo, quello della narrativa di immaginazione.