Il collasso dell’impero, di John Scalzi

Le leggi della fisica che governano il mondo sono destinate a essere riscritte. Una scoperta sensazionale – il Flusso – ha cambiato per sempre la concezione spazio-temporale dell’universo, aprendo al progresso scenari inimmaginabili. Assecondando il Flusso, gli esseri umani sono ora in grado di raggiungere pianeti e stelle lontani anni luce, creare reti tra mondi remoti ma interdipendenti, costruire un impero interstellare in cui il pianeta Terra rappresenta ormai solo un insignificante avamposto. Il Flusso è come un fiume: scorre placido, eterno, ma non è statico, cambia il suo corso e abbandona il suo letto originario. A ogni sua mutazione intere fette di universo vengono però isolate, abbandonate a loro stesse in una deriva cosmica catastrofica per interi sistemi stellari. Quella che doveva essere la via verso la nuova era intergalattica si rivela dunque la più pericolosa delle minacce per la sopravvivenza stessa del genere umano.

 

Così la Fanucci ci descrive Il collasso dell’impero, ultima fatica di John Scalzi, autore tra i più interessanti tra quelli emergenti nel variegato mondo della science fiction anglosassone. Il romanzo, che è solo il primo di una serie (ed è corretto avvisare i lettori perché il finale rimane abbastanza aperto e lascia chiaramente intendere qualche seguito), si inquadra nel filone della fantascienza spaziale moderna e riprende tematiche classiche. Scalzi si ispira chiaramente ai maestri della space opera tradizionale: i suoi personaggi si muovono all’interno di una cornice galattica simile a quelle dei grandi cicli di Isaac Asimov, Robert Heinlein e Frank Herbert, con astronavi interstellari che si muovono entrando e uscendo da un iperspazio, il Flusso, che ha permesso lo sviluppo di un impero governato da una dinastia millenaria. Anche gli altri ingredienti sono piuttosto tradizionali: un imperatore morente che lascia il governo della galassia a un’erede giovane e inesperta, un gruppo di famiglie mercantili che si contendono il potere e complottano alle spalle dell’imperatrice, un giovane scienziato che scopre la terribile minaccia che potrebbe portare al crollo dell’impero e alla fine della stessa civiltà galattica.

Scalzi è tuttavia un autore estremamente moderno e smaliziato, figlio dei suoi tempi e abbastanza originale, e soprattutto capace di sfruttare al meglio le proprie caratteristiche narrative e la lezione di altri maestri, più attuali di quelli citati in precedenza, come Lois McMaster Bujold e Alastair Reynolds.

Fin dalle prime opere infatti, a partire dall’ottimo e spassosissimo ciclo del Vecchio (Old Man’s War, The Ghost Brigades, The Last Colony, Zoe’s Story, ecc.) e dagli inediti Agent to the Stars e The Android’s Dream, John Scalzi ci ha mostrato di saper scrivere, ma soprattutto di saper divertire il lettore con un senso dell’umorismo piuttosto spiccato, fatto di un linguaggio fresco e moderno, spiccio e anche un po’ sboccato, ideale per accattivarsi l’animo di chi affronta questi romanzi.

Questa nuova serie, in particolare, ricorda un po’, come ambientazione e anche come tono narrativo, la serie di Miles Vorkosigan della Bujold, con cui condivide appunto una narrazione vivace, spiritosa, e sempre godibile.

Personalmente ritengo il ciclo della Bujold uno dei massimi successi della fantascienza spaziale moderna, soprattutto in opere come A Civil Campaign, Barrayar e Mirror Dance. Il collasso dell’impero non è a questi livelli, ma rimane comunque una lettura sostanzialmente gradevole e gratificante.

Infine una giusta citazione per l’ottima traduzione di Annarita Guarnieri (raccomanderei alla Fanucci di continuare a sfruttarla al massimo: le traduzioni sono importanti quasi quanto le opere proposte) e un suggerimento alla casa editrice romana. Perché non riprendere il ciclo del Vecchio e pubblicare anche i vari inediti della serie?