DUNE (2021): impossibile un confronto

Per Dune (2021) due saranno i principali motivi di discussione: il confronto con la precedente versione di Lynch e il confronto con il romanzo di Herbert; ma diciamolo subito e togliamoci il dente, questi raffronti non hanno alcun senso, quindi non perdete tempo in sterili diatribe.

Tanto per cominciare la versione di Lynch venne ridotta di troppa quantità di girato per poter essere ritenuta completa, tant’è che nella sua durata di poco più di due ore è “palesemente” mutilata, ragion per cui accettiamo l’errore dei produttori e non consideriamo la versione distribuita al cinema. Quanto alle versioni estese, già il fatto che ce ne siano diverse dimostra la brutalità dei tagli sulla versione distribuita e quella nota come “The Alternative Edition V2” non solo resta molto più fedele, ma restituisce all’opera di Lynch quella compiutezza rubata in origine.

Se poi il reboot del 2021 sia o meno una buona trasposizione del romanzo, anche qui i puristi si dessero una calmata, perché il mezzo è diverso, così come lo sono la modalità di fruizione e le capacità tecniche di cui dispone. Un libro può svilupparsi in un tempo infinito o contenere così tanti avvenimenti da necessitare ore e ore di girato, un film, invece, non può azzardarsi a superare i 120-180 minuti e noi stiamo parlando già di un film diviso in due parti; un libro usa l’immaginario del singolo come senso dominante, mentre il film ti mostra una scenografia e un casting che non potranno mai accontentare l’intimo immaginario di ognuno di noi. Un adattamento, in sostanza, solo in rari casi riuscirà ad essere fedele (si veda Rosemary’s Baby).

Ma che dire del film in sé? Bravo il regista, gli attori, i musicisti, i costumisti e in particolar modo la resa delle scenografie e dell’apparato tecnologico, che restano molto fedeli (fantastici gli Ornittotteri). In sostanza, bravi tutti, anche solo per l’impegno profuso in un’impresa che aveva sempre messo all’angolo l’ambiente cinematografico e che forse doveva attendere quest’era affinché la tecnologia fosse al passo con la grandezza dell’opera.

Ovviamente, tanti sono gli elementi assenti o limitati: i temi ambientalisti e mistici, la storia che ha portato ai Mentat (con annessa l’invettiva contro i computer e le I.A.), Feyd-Rautha, Gurney menestrello,  la Principessa Irulan e così via; sacrificati/posticipati per tutta una serie di motivazioni più che comprensibili. Vuoi per scelta narrativa, confidando che abbiano più spazio nella seconda parte magari per caratterizzarla rispetto alla prima; vuoi per consapevolezza dei limiti di tempo, limitandosi  solo con cenni nei dialoghi. La stessa presenza dei vermi si lascia attendere, in perfetto stile Lo Squalo, è proprio per questo confidiamo nel loro ruolo predominante nella seconda parte.

Sono queste scelte che caratterizzano la trasposizione di Villeneuve che resta comunque notevole e forse, ci voleva proprio lui per tentare l’impresa dopo che si era reso meritevole di enorme rispetto non solo per i suoi eccellenti film, ma soprattutto per essere stato capace di creare un seguito di Blade Runner che, per quanto possa essere o meno piaciuto, è di per sé un’impresa averlo reso quantomeno accettabile.

Pecche, ovviamente, ce ne sono, come per il casting, là dove una Bene Gesserit con le labbra “rimpolpate” (come mi è stato giustamente fatto notare) non è molto credibile; per non parlare di una Chani con uno sguardo un po’ da rincoglionita torbida, ma vabbè, non mi stupirei se Villeneuve fosse stato “invogliato” a scegliere l’attrice suo malgrado. Quello, però, che è peggio, è che il film manca di ritmo, è lento, c’è poco da fare, e c’è chi ha dormito in sala, ma forse, per non stravolgere troppo la storia, non si poteva fare altrimenti.

Comunque, che sia il film di Lynch, che sia la versione estesa, che fosse stato quello di Jodorowsky, che sia quello di Villeneuve, Dune è bello perché è Dune. Punto. C’è poco da fare.
Una space opera meravigliosa, con la sua storia, i suoi temi, le sue riflessioni, invettive e pensieri, che le trasposizioni non saranno mai in grado di rappresentare appieno proprio a causa dei loro limiti intrinsechi, se non attraverso una miniserie ad alto budget (non come quella del 2000, comunque degna di rispetto).

Ognuna, pertanto, non può che far emergere solo alcuni elementi in modo più o meno predominante e più o meno reinterpretati in virtù del periodo di uscita, del contesto culturale, della sensibilità del regista, del mercato e, perché no, della politica. Proprio per questo, quello che mi sento di consigliare ai lettori è di sfruttare l’occasione per (ri-)leggere il romanzo, così da arricchire e approfondire tutti i temi meno trattati e di prendere i film come “riassunti” di un qualcosa che, se ci è piaciuto, merita di essere approfondito in tutte quelle sfumature che il cinema non è in grado di trasporre.

Infine, solo una è la domanda che resta sospesa: come sarebbe stato il Dune di Jodorowsky con Dalì, i Pink Floyd, Moebius e con la carica psichedelica degli anni 70?
… ma questo, purtroppo, non lo sapremo mai.

Buona visione da Marc Welder.