Elric di Melniboné di Michael Moorcock

Un post dedicato a un classico della fantasy ogni tanto ci sta, e il ciclo di Elric di Michael Moorcock è uno dei cicli più importanti del genere. Originale e dirompente con le regole del tempo, la serie di Elric si staglia ancor oggi come una delle più valide e controverse, come è stato appunto il suo eclettico autore, rockettaro e controcorrente nel mondo spesso tradizionalista del fantastico e della fantascienza.

Michael Moorcock è uno degli scrittori più controversi, illogici e multiformi che siano esistiti nel campo della fantascienza. Autore impegnato, d’avanguardia, esplosivo (a lui si deve praticamente la nascita della New Wave con la sua direzione coraggiosa e spregiudicata della rivista inglese «New Worlds»), è al tempo stesso commerciale, diremmo quasi venale, quando si getta a corpo morto nella produzione di innumerevoli cicli di fantasia eroica.

Non si può in ogni caso negare, anche in quest’ultimo campo, l’importanza della sua opera di rinnovamento di un genere che andava facendosi sempre più trito e ripetitivo.

Moorcock è nato a Londra il 18 dicembre 1939. Il suo primo interesse per la fantasy nacque in lui dalla lettura dei libri di Edgar Rice Burroughs, durante la metà degli anni ’40.

Moorcock era  un lettore vorace: oltre alla fantascienza, leggeva anche molti romanzi «gotici» e dell’orrore. Il suo scrittore prediletto nel campo fantastico era Mervin Peake, il raffinato stilista autore della trilogia del castello di «Gormenghast»; Moorcock riusci poi anche a conoscerlo di persona, nel 1958, quando Peake era già sofferente per una grave malattia che l’avrebbe portato alla morte. La dipartita di Peake fu per Moorcock un duro colpo. Cosi scrisse in un necrologio apparso su «New Worlds»: «quando ho saputo che era morto, il mio animo si è riempito prima di rabbia e poi d’amarezza».

Fu tuttavia Edgar R. Burroughs l’autore che ispirò maggiormente Moorcock all’inizio della sua carriera letteraria: in seguito lo ripudiò, e in un articolo apparso su «Science Fantasy» (la rivista consorella di «New Worlds») nel 1964 affermò di trovarlo addirittura illeggibile.

Il suo primo racconto di fantascienza venduto  fu «Going Home», su «Science Fiction Adventures» del marzo 1962.

Nonostante ammettesse pubblicamente di non apprezzare molto le storie di Robert Howard e di E.R. Burroughs, Moorcock si era mantenuto in contatto con Hans Stefan Santesson, curatore della rivista americana «Fantastic Universe» e noto appassionato di fantasia eroica, e con Sprague De Camp, autore del ciclo del «Castello d’acciaio» (pubblicato dalla Nord nel numero 11 della Fantacollana). A entrambi aveva prospettato l’idea di scrivere alcune nuove storie imperniate sul personaggio di Conan.

Poco dopo «Fantastic Universe» cessò le pubblicazioni, ma Moorcock aveva già buttato giù del materiale. Questo fatto venne alla luce durante una conversazione con John Cornell (che all’epoca dirigeva ancora «New Worlds» e «Science Fantasy»), il quale gli chiese di poter leggere il materiale e poi di riscrivere la storia con un nuovo protagonista. Moorcock fu entusiasta dell’ idea: nacque cosi Elric di Melniboné.

La prima storia di Elric, «The Dreaming City», pubblicata su «Science Fantasy» nel giugno 1961, narra come Elric, con l’aiuto delle flotte dei Regni Giovani, riesca a distruggere la propria nazione, Melniboné. Il trono di Melniboné gli era stato infatti usurpato dal cugino Yyrkoon, che lo stesso Elric aveva in precedenza lasciato a guida di Imrryr, la «città sognante» capitale di Melniboné. Non c’era nulla di particolare o di strano per un racconto di heroic fantasy: capita spesso che un eroe (primo fra tutti Conan) debba ricatturare con le armi il suo regno; ma questa era la prima volta che nel riprenderlo lo distruggeva totalmente.

Inoltre, a parte i due simpatici compari delle storie di Fritz Leiber del Mondo di Newhon, Fafhrd e l’Acchiappatopi Grigio, i protagonisti delle opere di heroic fantasy, da Conan in poi, erano stati fino ad allora tutti superuomini barbari, alti, possenti, rozzi, incolti. Non cosi Elric: è un debole albino, civilizzato (non per niente è imperatore di un regno che ha dominato il mondo per millenni), decadente. La sua forza, all’inizio data da erbe speciali e pozioni magiche, viene poi a riposare sulla sua spada fatata, Tempestosa, che uccide e poi sugge le anime delle sue vittime. L’essenza vitale degli uccisi si trasmette, tramite la spada, a Elric, rendendolo virtualmente invincibile. Ma Tempestosa è portatrice, oltre che di forza vitale, anche di un destino cupo e funesto che spingerà il suo possessore a uccidere anche donne amate e amici

Elric è quindi un eroe malinconico, infelice, trascinato da un fato a lui superiore, dai desideri degli dèi, dagli equilibri superbi della Legge e del Caos, in guerre, avventure, «quest», che egli sostanzialmente rifiuta.

È questa sua tragica personalità, il suo continuo riflettere sugli eventi, il suo filosofeggiare sui destini umani, sulla sua sorte infame e sul destino oscuro che incombe su di lui e su tutto ciò che gli si avvicini, che fa di Elric uno dei pochissimi personaggi di heroic fantasy dotati di una certa qual individualità e non ricalcati sullo stereotipo classico di Conan.

Elric si comporta come un essere umano: pensa, ragiona, piange anche. E la sua battaglia contro le forze del Caos è intelligente e affascinante.

È interessante notare che, nell’articolo conclusivo di una serie intitolata «Aspects of Fantasy» (Aspetti della Fantasy) e scritta per «Science Fantasy», Moorcock affermò di aver tentato, con le storie di Elric, di scrivere opere di fantasy che avessero un ‘attinenza con il mondo attuale. Elric riflette dunque parte del carattere insoddisfatto di Moorcock, l’insoddisfazione e l’irrequietezza delle persone che si trovano ad affrontare i molteplici problemi che ci opprimono e ci assillano quotidianamente: il lavoro, la sovrappopolazione, la paura del futuro, della bomba, della fame.

Potrà sembrare forse strano o almeno un po’ esagerato voler vedere nella figura di Elric uno specchio del travaglio dell’esistenza odierna, e probabilmente ben pochi lettori hanno compreso le intenzioni dell’autore, rimanendo invece colpiti dai tratti più ad effetto e tralasciando di notare i temi meno escapisti.

È tuttavia innegabile il valore dell’opera di rinnovamento che Moorcock ha operato sull’heroic fantasy con i suoi cicli principali: questo appunto di Elric, quello di Corum, il principe dal Mantello Scarlatto, e quello di Dorian Hawkmoon e della Bacchetta Magica.

Ma torniamo ad Elric. La sua personalità viene sempre più alla luce e si fa sempre più viva e delineata man mano che le storie procedono. «Elric di Melniboné», il primo romanzo del ciclo (in ordine cronologico, perché l’opera è stata scritta successivamente ad altre del ciclo), introduce i personaggi chiave e descrive l’ambiente, l’impero decadente di Melniboné, abitato da esseri umanoidi ma non proprio umani, che sta lentamente cedendo di fronte all’attacco energico dei barbari Regni Giovani Elric, simbolo di questo mondo in disfacimento, già presagisce la catastrofe futura.

Ma in «Elric di Melniboné» manca Tempestosa; è l’alleanza magica e ambigua tra il principe albino e la sua spada che fa del ciclo un classico dell’heroic fantasy.

In «Sui mari del fato», e soprattutto in «Il fato del lupo bianco», Elric è ormai una figura piena e viva, scolpita in rilievo dall’abile prosa di Moorcock: un uomo condannato alla ricerca di un fato di morte. Tutte le sue avventure lo porteranno di fronte alla triste realtà del suo destino segnato; è cosi che in «Mentre gli dèi ridono» la sua ricerca del Libro del Dio Morto, un libro mitico e leggendario contenente conoscenze sacre ed immense bramate da ogni mago e stregone, lo condurrà soltanto ad un mucchio di ceneri. «Mentre gli dèi ridono» (che è la terza parte di «Il fato del lupo bianco»), fu in effetti il secondo racconto di Elric scritto da Moorcock. Apparve su «Science Fantasy» nell’ottobre del 1961.

Cinque storie di Elric apparvero nel 1961; una sesta fu poi inclusa da Sprague De Camp nella sua antologia di fantasia eroica «The fantastic swordsmen» (I fantastici spadaccini). Queste prime cinque storie vennero poi raccolte in un libro intitolato «The stealer of souls» (Il ladro di anime) che conteneva appunto: «The dreaming city», «White the gods laugh», «The stealer of souls», «Kings in darkness» e «The flame bringers».

Altri quattro racconti apparvero su «Science Fantasy» negli anni 1963-64, e poi in volume con il titolo «Stormbringer»; questi racconti narrano la battaglia finale e decisiva tra la Legge e il Caos. Elric, strumento del Caos fin dal primo incontro col suo patrono, il dio Arioch, si trova a combattere dalla parte della Legge. Bellissimo e possente è soprattutto l’ultimo capitolo della saga, «Doomed Lord’s passing».

Un altro interessante aspetto della mentalità di Moorcock è il tentativo di dare un background comune a tutte le opere dei vari cicli che è andato scrivendo; tramite la concezione del «multiverso», cioè dei molteplici universi paralleli, lo scrittore inglese unisce e collega tutti i personaggi basilari delle sue serie. Erekosè, alias John Daker, il Campione Eterno protagonista del ciclo omonimo, si trova, come lo stesso Elric, intrappolato in una catena di eventi che non può alterare nonostante tutti i tentativi che faccia, ed è quindi costretto a rassegnarsi al suo destino di Campione Eterno; Eterno perché appare sotto diverse incarnazioni in più di un mondo e di un tempo, nella sua figura di vendicatore di torti. Elric è una delle tante incarnazioni passate e future di Erekosé, cosi come lo sono Rackhir (che troviamo sempre nel ciclo di Elric), Aubec di Maldor (vedi inizio di «Il fato del lupo bianco»), Jerry Cornelius (l’eroe più controverso di Moorcock, protagonista di «Il programma finale»), Dorian Hawkmoon del ciclo della Bacchetta Magica, altro lord senza terra di un mondo futuro simile al nostro ma post-atomico, Corum Jhaelen Irsei, il principe cieco da un occhio del ciclo delle Spade, Konrad Arflane di «Il veliero dei ghiacci», e lo stesso Karl Glogaurer del premio Nebula d.N.R.I».

Essi sono tutti al servizio della Legge contro il Caos nel difficile e mutevole equilibrio cosmico. Il concetto del «multiverso» ha origine e spiegazione in «The Mood red game» («Science Fiction Adventures», maggio 1963), dove Renark e Asquiol, nella loro ricerca degli Originatori, creature superiori e onniscienti che hanno creato i mondi, scoprono che non esiste un solo universo, ma un’infinità di universi tutti più o meno in fila come una serie di dischi da grammofono. Da qui nasce la mitologia particolare di Moorcock.

E cosi che spesso Elric viene a incontrarsi con i suoi alterego, quando è necessaria la cooperazione tra loro per vincere un nemico particolarmente ostico. In «Sui mari del fato», ad esempio, Elric deve unirsi a Corum, Erekosè e Hawkmoon e formare una singola entità a otto braccia (una specie di ragno umano) per poter sconfìggere i due temibili maghi Agak e Gagak; e ancora, in una sequenza di «King of the Swords» (il terzo volume del ciclo di Corum), Elric, Corum ed Erekosè si ritroveranno per pochi attimi nella «Torre svanente», che passa da un piano temporale all’ altro fermandosi in ognuno solo per breve tempo. La stessa sequenza, descritta dal punto di vista di Elric, appare in «The sleeping sorceress» (reintitolato poi «The vanishing tower»). Il punto di contatto di tutti questi mondi alternati è Tanelorn, la città eterna, che esiste in forme diverse in tutti i piani della realtà: è Tanelorn la città che Erekosè cerca per risolvere i suoi problemi, e a Tanelorn che Elric troverà un fugace periodo di pace.

Ci sembra, in definitiva, che Moorcock abbia svolto un buon lavoro nel campo della fantasy, contribuendo a risvegliare gli interessi del pubblico per un genere che si stava facendo sempre più stancamente ripetitivo. Ha forse poi esagerato nel suo continuo sfornare romanzi su romanzi, e cicli su cicli, ma questa è una colpa minore in un campo, quello della fantascienza, che, a quell’epoca, non permetteva certo di arricchirsi agli scrittori che vi si dedicavano.