La forma dell’acqua: i veri mostri siamo noi

La Forma dell'Acqua
La Forma dell'Acqua

Scoprire che un film che hai atteso tanto, come La Forma dell’Acqua, riesce a vincere l’Oscar ti riempie d’orgoglio. Ancor di più quando viene premiato dopo pochi giorni che l’hai visto al cinema rimanendone toccato.

Lo confesso, qualche mese fa sono stato tentato di vederlo in lingua originale, ma sono stato paziente e ho voluto aspettare la distribuzione sul grande schermo per il puro piacere di vederlo al cinema.

Sapevo che Guillermo Del Toro stava tramando qualcosa da molto, molto tempo. Un’opera alla quale aveva cominciato a lavorare prima di Pacific Rim e per la quale aveva rinunciato a dirigerne il secondo episodio (d’imminente uscita).

Pertanto, sì, l’aspettativa era tanta, soprattutto sapendo che ci sarebbe stato un ritorno al suo primo amore, il fantastico e il mostruoso, che era mancato nell’ultimo Crimson Peak. Certo è che non mi sarei aspettato di vedere un Del Toro così maturo da essere da Oscar, nonostante il Leone d’Oro a Venezia e i numerosi altri premi.

La Forma dell’Acqua conserva molti temi cari al regista messicano, primo fra tutti il ribaltamento del rapporto tra uomini e mostri, dove sono gli uomini a essere i veri mostri (si veda ad esempio il sottovalutato Hellboy II), così come già fece Clive Barker con il suo Cabal (Nightbreed, del quale suggerisco il romanzo e la director’s cut).

Se vogliamo, il film è una rielaborazione de La Bella e La Bestia o de Il Mostro della Laguana Nera, se preferite, visto dal punto di vista del mostro, così com’era nelle intenzioni di Del Toro.

Film nel quale una donna muta, che lavora in un laboratorio di massima sicurezza del governo durante la guerra fredda, si innamora di un anfibio umanoide sul quale stanno conducendo crudeli esperimenti.

La Forma dell'Acqua

Il ruolo del cattivo è stato cucito su Shannon, così come quello di tutti gli altri attori sui rispettivi personaggi, in particolare quello di Elisa su Sally Hawkins.

A detta del regista, sarebbe dovuta essere bellissima “a suo modo” e non nel convenzionale e commerciale modo di essere. Infatti, così è stato, risplendendo di una luminosità eterea e di un’aurea quasi magica, così come lo sono le atmosfere alle quali Del Toro è capace di dare vita.

Non so quanti si sarebbero aspettati una sua vittoria anche agli Oscar, ma dopo che Del Toro è stato capace di emozionarci con il suo stile poetico e visionario in più di un’occasione (Cronos, Il Labirinto del Fauno, Hellboy II, solo per citarne alcuni), possiamo dire che ricevere la giusta consacrazione era ormai doveroso.

Si conferma la sua capacità di toccare corde sensibili all’animo umano, che suonano come la melodia della xenofobia (dei neri, dei gay, dei comunisti, dei portatori di handicap, dei freak) ai quali tutti abbiamo assistito almeno una volta nella vita.

Ma qui (come nel già citato Cabal), il protagonista è il diverso, è l’antieroe, è quell’eroina non convenzionale e dall’animo puro unita a quell’orribile creatura che si rivela essere molto più sensibile e umana degli umani. Un essere meraviglioso nella sua unicità, che ci spaventa e ci terrorizza solo per l’atavica paura di ciò che non conosciamo annidata nell’animo umano.

Per quel che mi riguarda, consiglio a tutti di vedere questa favola moderna, nonostante il finale scontato per chi conosce Del Toro e la sua passione per Lovecraft. Non solo per la bravura del regista, per la storia, per le scenografie, musiche o tutto il corredo che ha reso La Forma dell’Acqua un film evocativo e di per sé toccante, ma soprattutto perché se avrete la sensibilità giusta vi porterà, con la sua carica evocativa e metaforica, a riflettere.

Sarebbe un peccato lasciarselo sfuggire.

Buona Visione da Marc Welder