Gravity

Tre astronauti fluttuano allegramente nei pressi di un telescopio orbitante. Uno canticchia legato a una corda spingendosi qua e là, un altro vola beato intorno alla struttura coi suoi piccoli propulsori, e un’altra ancora cerca di riparare il costoso apparecchio stando attenta a non farsi sfuggire qualche bullone lasciandolo andare nello spazio profondo. Poi avviene l’imprevisto e da quel momento cesseremo di respirare per circa novanta minuti.

Non è affatto un’esagerazione affermare che con Gravity viene segnata l’alba di una nuova era cinematografica. Un’era che sostituisce quella iniziata molto tempo fa con 2001: Odissea nello spazio, i cui effetti speciali sembravano mostrarci la versione più realistica possibile del vuoto cosmico. Passano i decenni e le meraviglie della tecnica giungono a questo fatidico 2013, un anno di cui serberemo il ricordo. Già con Elysium abbiamo avuto un assaggio di cosa il cinema odierno sia capace di fare, mostrandoci le immagini mozzafiato della mastodontica stazione spaziale da cui la pellicola prende il nome. Con Gravity, merito forse anche del 3D, si ha per la prima volta nella vita la sensazione di trovarsi nello spazio insieme a quegli sventurati astronauti alle prese con la riparazione del Telescopio Spaziale Hubble, prima che si scateni il finimondo. Quando l’opera prende il via, si viene proiettati a decine e decine di chilometri dalla superficie terrestre. I pop-corn vanno di traverso, le mani si stringono ai braccioli della poltrona e si scapperebbe fuori dalla sala se non fosse per quell’ultima, debole scintilla di razionalità a ricordarci che quell’abisso pieno di stelle davanti a noi è soltanto frutto di un film.

Per via del suo stretto realismo scientifico e dell’assenza totale di elementi fantastici, l’opera diretta da Alfonso Cuaròn non dovrebbe classificarsi come fantascienza. La squadra che ha dato vita a questo manufatto non ha trascurato i dettagli aerospaziali e tutto fa pensare che sia stata assistita dalla NASA in persona o comunque da qualche addetto ai lavori molto importante. Ovunque si ambienti la storia, siamo letteralmente sommersi da questi dettagli.

Il regista ha fatto un gran lavoro nel dirigere George Clooney e Sandra Bullock, in genere non proprio il massimo che si possa sperare di vedere ma che stavolta fanno una gran bella figura, magari proprio perché (a voler essere cattivi) Cuaròn ne ha limitato l’azione dando più spazio all’ambiente intorno a loro. Grazie anche (volendo essere buoni) all’interpretazione dei due attori, il film lascia spazio ad alcuni elementi di poesia e a qualche scena strappalacrime, senza perdere di vista la colonna portante della storia, vale a dire la lotta per la vita espressa nei suoi limiti più estremi, quelli del vuoto spaziale inabitabile ad eccezione dei microscopici tardigradi.

Con Gravity si finisce per credere fermamente in quello che si vede in sala, forse per la prima volta nella vita. E questo non è che l’inizio di un’epoca in cui se ne vedranno delle belle.