Hunger Games, i film

La trilogia letteraria di Hunger Games, scritta da Suzanne Collins, viene pubblicata tra il 2008 e il 2010. Considerata un’opera YA, quindi per adolescenti, ottiene un grande successo e dopo alcuni anni dai romanzi nasce una quadrilogia cinematografica. Siamo passati a quattro perché, come già capitò con Harry Potter e altre opere, l’ultimo romanzo viene diviso in due film.

Ho di recente rivisto i film in rapida successione, apprezzandoli maggiormente rispetto alla scansione di uscita (uno all’anno), che tende ad annacquare abbastanza i ricordi e il pathos della vicenda.

Il primo film, Hunger Games (The Hunger Games), è del 2012 con la regia di Gary Ross, segue quindi Hunger Games: La Ragazza di Fuoco (The Hunger Games: Catching Fire), del 2013, regia di Francis Lawrence e si arriva alla conclusione, appunto suddivisa in due, con Hunger Games: Il Canto della Rivolta – Parte 1 e Parte 2 (The Hunger Games: Mocking Jay – Part 1 e Part 2) del 2014 e 2015, entrambi ancora per la regia di Francis Lawrence.

I film hanno un cast di tutto rispetto, Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Donald Sutherland, Stanley Tucci, Julianne Moore e Philip Seymour Hoffman che scompare nel 2014, ma viene ancora ugualmente utilizzato anche nell’ultimo film.

Non voglio soffermarmi più di tanto sulla trama, che penso sia nel complesso ben conosciuta, quindi darò solo alcuni cenni.

E’ una distopia, ci ritroviamo in un futuro opprimente neppure lontanissimo, in cui la nazione di Panem (che vedremo ben si accosta come nome ai Circenses) a seguito di una guerra interna viene suddivisa in 12 distretti, sarebbero 13, ma quest’ultimo è stato ufficialmente distrutto, anche se ricomparirà negli ultimi due film per condurre la rivolta. Panem è governata da Capitol City, una città avveniristica, dove stanno i benestanti, l’elite, dove il cibo e le cose superflue abbondano, al contrario del distretti, ridotti alla fame e in condizioni penose. Nella capitale risiede anche il Presidente Snow, una figura dittatoriale che governa per mezzo dei suoi Pacificatori, tenendo nell’oppressione con un pugno di ferro gli altri abitanti. Ogni anno, per ricordare la fine della rivolta e il “benessere e la pace” successivi vengono tenuti gli Hunger Games, giochi dati in pasto ai ricchi di Capitol City, ma subiti dai distretti che devono fornire due partecipanti ognuno, quindi 24 in tutto, che si sfideranno in una tecnoarena per il piacere degli spettatori. Dei 24 uno solo risulterà vincitore e tornerà con tutti gli onori a casa. I partecipanti alla Mietitura, sono ragazzi tra i 12 e i 18 anni, vengono sorteggiati e la partecipazione al sorteggio consente di avere tessere per sfamare la famiglia.

Questo in una rapida sintesi, ma cosa troviamo poi nei film?

Già alla prima visione si riconoscono molte influenze dalla narrativa SF o da altri film, come riportato dalla stessa autrice, ad esempio ritroviamo anche un forte accenno al mito del Minotauro, quando i giovani ateniesi dopo la guerra persa con i cretesi dovevano essere inviati nel Labirinto per trovarvi la morte. Salta subito all’occhio anche il riferimento a L’Uomo in Fuga di Stephen King che ebbe una versione cinematografica purtroppo mediocre.

Ma quello che mi è piaciuto in questi film è stata la sapiente fusione dei molti temi, passando da quelli più vecchi fino a arrivare ad una visione vicina ai nostri giorni. Il tutto in un’atmosfera estremamente cupa e tragica, secondo me appunto molto più matura del target che si pensa di solito associato a questi film. Mentre ad esempio le saghe di Divergent e Maze Runner sono decisamente più adolescenziali, a volte in modo abbastanza irritante per un adulto.

Ma quali sono gli elementi che mi hanno affascinato maggiormente nella saga?

Visivamente direi il forte contrasto tra il distretto della protagonista, che ricorda una città mineraria dei primi del ‘900, povertà, case vecchie, cadenti, gli abitanti vestiti ancora come in quell’epoca, e lo sfarzo bizantino di Capitol City, eccessivo e decadente. E nelle scene finali una curiosa ambientazione alla Via col Vento, in una casa che ricorda profondamente quelle del Sud degli Stati Uniti. E in fin dei conti siamo veramente alla fine di una sanguinosa guerra civile. Forse.

La nostra eroina è in realtà un eroe suo malgrado, una prescelta che non vuole esserlo, sulla scia del Neo di Matrix, del Paul Atreides di Dune. Una ragazza urticante, piena di spigoli, solitaria, che si trova a fare quello che non vorrebbe assolutamente fare. Ma anche assolutamente fedele ai suoi principi, tanto da risultare scomoda per tutti, alleati ed avversari, che la eliminerebbero volentieri, se non fosse che un martire diventa ancora più pericoloso.

Perché il discorso di Hunger Games è basato molto non solo sui giochi cruenti, sulla guerra che seguirà, ma soprattutto sull’importanza della propaganda. Capitol City mantiene un pugno di ferro con l’esercito, ma usa i media con somma abilità, i giochi sono una sanguinosa variante dei reality, lo spettacolo dato in pasto (il panem et circencenses cui accennavo più sopra) alla elité avida della capitale, ma anche alla visione obbligata dei distretti che sono obbligati ad offrire i tributi.

Notevole il riferimento al regime nazista, che si era dato molto da fare a livello di propaganda e di scenografie e nei film queste cose vengono riprese e riproposte.

E Katniss Everdeen è perfetta per il pubblico, inizialmente per il regime, con la sua storia romantica fasulla, poi per la ribellione, perché è l’eroina combattente che porta la fiaccola della libertà.

In realtà il regime e la ribellione la vorrebbero solo sui set delle riprese, un bel personaggio di cartone, creato per i loro fini, che non deve pensare, che non deve ostacolare quelli che comandano.

I tentativi di condizionamento falliranno, Katniss, più costretta che di sua iniziativa, diventerà la persona che affosserà la dittatura e che, accorgendosi che la ribellione stava semplicemente sostituendo il regime, arriverà a eliminare anche il nuovo presidente. Un’eroina tutta d’un pezzo, non interessata al potere, ma decisamente scomoda da prendere in giro. E che alla fine, moderno Cincinnato, scomparirà dalle scene, anche se il mondo che sta risorgendo dalle macerie lascia intuire già preoccupanti crepe.

Ed è proprio sapientemente mischiando i temi del reality show televisivo e della distopia (le scene dei distretti distrutti ricordano tristemente quelle che vediamo ultimamente da molte città del medio oriente) che secondo me Hunger Games si rivela come una serie di film da vedere.

Cupo, oscuro, premonitore, spesso duro. Per adolescenti? Non tanto e se così dovesse essere, ben vengano, può essere un’ottima introduzione a temi nobili di cui la fantascienza si occupa da anni.