Hunger Games: La ragazza di fuoco

Flavio Alunni, sempre vigile sulle uscite cinematografiche, ci parla stavolta del secondo capitolo di un saga fantascientifica tra le più riuscite e di successo (confesso di avere letto con molto piacere il primo romanzo della serie).

Volendo essere obiettivi, Hunger games è un film largamente apprezzato. E’ lecito ritenere che la carta vincente del film diretto da Gary Ross non sia l’originalità: in fondo è l’ennesima distopia, portata all’inverosimile mettendo sul piatto della bilancia carne da macello freschissima, ragazzini che devono uccidersi a vicenda in un’arena supertecnologia. Sicuramente, a far riuscire il film ci mette del suo la bravissima attrice Jennifer Lawrence nei panni di Katniss Everdeen. Non dimentichiamo che la Lawrence ha vinto l’Oscar come migliore attrice per la sua interpretazione nel film Il lato positivo.

Hunger games: La ragazza di fuoco, il secondo capitolo della trilogia, si potrebbe definire la «classica operazione commerciale». D’altronde, nei panni del regista Francis Lawrence, che non è parente di Jennifer Lawrence, avremmo fatto la stessa cosa. Ai soldi non si comanda. Inoltre, al cinema ci si va lo stesso, col rischio di prendere una cantonata, visto che a molti di noi piacciono i sequel. Ci piacciono perché non ne abbiamo mai abbastanza, perché se una cosa ci soddisfa ne vogliamo ancora e ancora, cosicché nella gran parte di queste «operazioni commerciali» ci caschiamo sempre, volontariamente o meno. Altrimenti come si spiegherebbero i successi delle fiction, che ripropongono sostanzialmente gli stessi schemi per un numero incommensurabile di puntate televisive? Hunger games: La ragazza di fuoco è il preparativo a un capitolo finale, il terzo, in cui dovrebbe scoppiare una specie di rivoluzione degli oppressi. Rivoluzione che dipende interamente da cosa deciderà di fare Katniss Everdeen, eroina molto realistica nella sua paura di mettersi in gioco per una causa così grande.

I primi due capitoli della trilogia sono costruiti su una struttura fantascientifica classica arricchita di piccoli nuovi particolari. Quei particolari che, in fin dei conti, rendono Hunger games (e seguito) nient’altro che la versione fantascientifica de Il gladiatore. Le piccole novità dei due film sono ad esempio gli sponsor pubblicitari a sostegno di questo e quell’altro partecipante, le api geneticamente modificate, le nebbie chimiche velenose e altri piccoli particolari. In ogni caso le idee innovative sembrano essere poche. Del resto è sempre più difficile trovare idee nuove in un genere cinematografico che sforna idee da quasi un secolo. Per non parlare del mondo fantascientifico letterario dove ormai sembra sia stato inventato tutto l’inventabile, per questo è assai difficile, da parte dell’industria cinematografica, soddisfare un buon lettore di fantascienza.

Si possono muovere tante critiche ai due film che compongono questa trilogia ancora incompleta, però, in qualche modo, la visione lascia soddisfatti. In minima parte ciò è dovuto al ritmo vivace, che tiene sempre gli spettatori sul chi vive. Tuttavia non basta a spiegare il successo dell’opera. I  registi Gary Ross e Francis Lawrence inseriscono nei rispettivi film elementi di una crudezza tale da avvicinare le due pellicole a Schindler’s list. Il regime che spadroneggia in Hunger games è mostrato senza veli. Ad esempio, un vecchio che osa intonare un canto di ribellione durante un comizio viene trucidato seduta stante davanti a migiaia di persone. E l’elité dei telespettatori che guardano i giochi truculenti come se fossero parte di un normalissimo reality show fanno accapponare la pelle nella loro miserabile ipocrisia. Da un lato, infatti, i telespettatori si godono la carneficina di ragazzini innocenti, dall’altro si emozionano quando viene annunciato a reti unificate l’amore impossibile tra Katniss Everdeen e il biondino. Poi, come s’è detto all’inizio, ci sono dei ragazzini costretti ad ammazzarsi l’un l’altro. Crudezze così realistiche, seppur mai mostrate esplicitamente, sono un’amara novità per un film di genere fantastico.

Il problema dei due film sta nel fatto che si sa ben poco sui dettagli del regime e dei distretti ad esso soggiogati. Da questo punto di vista i due registi si mantengono piuttosto vaghi, ponendo un limite alla completa riuscita dell’opera.

E ora veniamo a quella che potrebbe essere davvero la carta vincente della coppia Hunger games/Hunger games: La ragazza di fuoco, vale a dire l’approfondimento della protagonista, a cui viene dedicato l’intero sequel che, per quanto inconcludente, si fa apprezzare lo stesso. Nel primo capitolo della trilogia, Katniss sacrificherà se stessa in favore della sorellina, mentre nel secondo capitolo saranno altre persone a sacrificarsi per lei cosicché il cerchio si chiuderà attorno alla sua persona, e la ragazza sarà costretta a prendere una decisione importante. Nel secondo capitolo della trilogia, Katniss si comporta con viltà, seppure morsa dai dubbi. Il secondo film è dunque completamente incentrato sulla figura di questa ragazza, sui suoi tormenti, sui dubbi che l’attanagliano, le sue paure, la lotta con se stessa, e solo nella parte finale ci sarà la solita arena tecnologica, la carneficina tanto attesa, che stavolta riserverà dei risvolti imprevisti.

In un’ambientazione spietata, dove il male regna sovrano, assistiamo a piccoli grandi momenti di umanità attorno alla figura di questa ragazza. Katniss Everdeen prenderà parte ai giochi, così come gli altri ragazzi, ma ucciderà soltanto quando sarà costretta a farlo e ammazzerà solamente gli appartenenti a un gruppetto di ragazzi cattivissimi, presentati come tali sin dall’inizio. In una spiacevole situazione del “tutti contro tutti”, farà addirittura amicizia con una diretta concorrente. Alla fine ne esce pulita.

In breve, sembra ribadire Hunger games come altri film hanno fatto in passato, finché ci sarà una Katniss Everdeen a perseguire i nobili valori dell’amicizia e della solidarietà, finché ci sarà qualcuno a credere nel rispetto del prossimo, nella libertà e nella giustizia, anche la peggiore distopia possibile potrà essere sconfitta. O forse no? Lo vedremo nella terza ed ultima parte della trilogia. Non dimentichiamo, come insegna lo stesso Hunger games e come disse il maestro Mario Monicelli, che la speranza può rivelarsi una trappola micidiale.