I nuovi orizzonti della fantascienza

  1. Necrologio?

La fantascienza è morta. Sentite le campane? Lo affermano in tanti già da tempo, più con rabbia che con tristezza, e non solo sulla scorta della sparizione dalle librerie degli scaffali a essa dedicati, ovvero della colonizzazione degli stessi da parte di pattuglie di libri pseudo-fantasy o neo-distopici. Per il resto il grosso delle briciole sembrano essere sempre quelle di Isaac Asimov e di Philip K. Dick, con qualche incidente di percorso tra Robert Heinlein e Ursula K. Le Guin, Dan Simmons e Frank Herbert. Questo per restare nei territori delle grandi case editrici generaliste, perché il sottobosco editoriale specializzato, si sa, è ben altro, ma non è detto che negli scaffali delle grandi librerie approdi tanto facilmente. Eppure dall’altro chi parla di “morte della fantascienza” lo fa anche e soprattutto in senso tematico, come se la fantascienza non avesse più niente davvero di nuovo da dire, come se una delle letterature per sua natura più dirompenti per idee e argomenti (pensate a Frankenstein, a Noi, a 1984, a Fahrenheit 451, a Neuromante solo per citarne alcuni), capace di anticipare cambiamenti, speculare su conseguenze e possibilità, offrire nuove prospettive sul mondo, una letteratura non solo di intrattenimento e avventura, ma anche di idee e orizzonti che nelle sue migliori espressioni ha preannunciato considerazioni e visioni su dove l’umanità era e stava andando, sia ormai l’ombra di se stessa, relegata a un destino di replicazioni e varianti infinite, ormai buone solo per gli inguaribili aficionados, incapace di trovare l’uscita dal labirinto del deja vu. Invece no. Non è vero, non è morta per niente, anzi, è più viva che mai, ma tende a essere sempre meno dove l’avete sempre trovata. Ma andiamo con ordine.

  1. La (ennesima) definizione

Consentitemi un passo indietro per provare a dare una definizione di fantascienza. Ebbene, secondo la mia opinione «la fantascienza è una letteratura definitamente distante dalla realtà», dove è l’avverbio “definitamente” a tenere salde le redini del concetto. In altre parole è fantascienza tutto quel tipo di narrativa in cui lo scostamento dal reale, cioè appunto la sua distanza da esso, è definito, misurabile, ovvero scandito da coordinate razionali. Seguendo il medesimo criterio, il fantasy è una letteratura indefinitamente distante dalla realtà. In ogni caso, come sempre succede con i rigidi steccati delle definizioni (e il dibattito annoso e invero un po’ stucchevole su “che cosa è la fantascienza” lo dimostra), può darsi che qualcosa (o molto) di unanimemente considerato fantascientifico non rientri nella definizione, ma quello che interessa a me nell’ambito del discorso è quella “distanza” che, più di ogni altra cosa, nell’ambito della fantascienza è costituita dalla scienza e dalla tecnologia. Difatti, una letteratura non può mai essere analizzata al di fuori del contesto sociale e culturale in cui opera e che la culla, la nutre, la influenza e viceversa, in un infinito rapporto duale. E nel caso della fantascienza molte cose sono cambiate negli ultimi vent’anni, proprio rispetto al ruolo delle materie che storicamente hanno sempre funzionato da suoi catalizzatori: scienza e tecnologia, appunto, con la società (ovvero i – potenziali – lettori). E paradossalmente proprio da questi cambiamenti, probabilmente ancora in atto, ma di sicuro in gran parte già avvenuti, potrebbe venire la speranza che non tutto è perduto, anzi forse non lo è mai stato.

  1. Mitologia

Proviamo per un istante a considerare l’ideale che ha istituzionalmente animato tutta la fantascienza moderna a partire dal Frankenstein di Mary Shelley, per passare attraverso la produzione di Jules Verne, e giungere alla Golden Age di Asimov e compagni e andare oltre, fino a giungere ai giorni nostri. La science fiction nacque e trovò la sua cifra istituzionale come narrativa scientifica, narrativa speculativa, come un tipo di letteratura che, pur mediata dalla fascinazione dell’avventura, affrontava più o meno profondamente, più o meno argutamente, temi legati a quelle discipline, tutto sommato recenti e per molti versi “esotiche” (per lo meno a quei tempi), chiamate “scienza e tecnologia”, e alle loro implicazioni nella vita degli uomini. Dunque, quando grazie al progresso certe mitologie fondative diventavano realtà, questo significava di fatto la morte di tutto ciò che esse avevano generato e rappresentato nell’ambito dell’immaginario. Non è un caso che Ray Bradbury sostenesse che la fantascienza fosse morta il 21 luglio 1969, giorno dello sbarco dell’uomo sulla Luna, mentre molti altri sono tuttora convinti – almeno a posteriori – che sia stato William Gibson a ricoprirne per sempre la fossa di terra trent’anni fa con il suo Neuromante, avendo speculato come nessun altro sul cyberspazio che viviamo oramai come esperienza quotidiana. Personalmente credo invece che, come una specie di mutante, la fantascienza stia vivendo alla grande, ma nel contempo cambiando natura, seguendo una trasformazione guidata proprio dall’omologa trasformazione (come dicevo forse ancora in corso) della percezione, del ruolo e della portata di scienza e tecnologia nell’ambito della società contemporanea.

  1. Del Sense of wonder

Mai come in questi ultimi dieci, quindici anni abbiamo assistito al fiorire e al proliferare di una messe di trasmissioni e pubblicazioni di divulgazione scientifica, mai come negli anni che sono seguiti alla nascita di Internet, dei cellulari, degli smartphone e dei tablet, la tecnologia è divenuta parte sempre più integrante e integrata del vivere quotidiano, e mai come oggi vediamo la scienza e la tecnologia diventare evento, spettacolo, circo, kermesse. Soprattutto nell’ambito delle telecomunicazioni e della fruizione dell’informazione, mai come oggi la tecnologia ci permette di fare cose che nei film e telefilm di fantascienza fino a qualche anno fa ci lasciavano a bocca aperta. E questo è un fenomeno sociale e culturale del tutto inedito, che mai si era verificato nella storia. La scienza e la tecnologia di cui parlava la fantascienza fino agli anni ’70 era qualcosa di molto distante dalla gente cui la fantascienza si rivolgeva. Per questo non era difficile per essa costruirsi intorno un alone esotico, grazie al quale esercitare il suo sense of wonder. Oggi è altrettanto naturale che questo meccanismo abbia un’applicazione molto più difficile, difatti non è un caso che molti spesso lamentino ai romanzi contemporanei la mancanza di sense of wonder, perché è già la realtà tecno-scientifica a essere piena di sense of wonder con le sue scoperte e i suoi gadget in continua e vertiginosa evoluzione. Per questo molti ritengono che la fantascienza sia morta, perché la stanno cercando dove l’hanno sempre vista, con quelle solite fattezze. Invece la fantascienza ha cambiato posto e aspetto (e noi con lei). Siamo portati a credere che non esista più semplicemente perché la osserviamo da dentro, essendo ormai inglobati, fagocitati in quella stessa meravigliosa esperienza di scienza e tecnologia su cui è sempre più difficile speculare perché procede a un ritmo più veloce delle nostre idee.

  1. Mutazione

La logica conseguenza di questa situazione è che siano i temi tipici della scienza e della tecnologia (quelli della fantascienza di una volta) a contaminare gli altri generi e che, sempre più spesso, quella che una volta era etichettata come fantascienza, venga proposta in collane di narrativa tradizionale, mainstream se volete, proprio perché il progresso tecnologico e scientifico ha colmato il divario che aveva con la realtà e i suoi lettori. Il fenomeno fa parte proprio della mutazione letteraria (ma anche editoriale) di cui parlo. A questo proposito mi torna alla mente il romanzo Sotto la pelle di Michael Faber, uscito nel 2000 per Einaudi. Ebbene, da nessuna parte dall’immagine di copertina o da quanto c’è scritto sulla quarta si capisce che è fantascienza, né l’autore è un habitué della fantascienza. Eppure è fantascienza, ve lo assicuro, al 100%, e di ottima fattura anche, e chi di voi l’ha letto lo sa. Credete che il libro abbia venduto, o no? Credete che avrebbe avuto miglior sorte editoriale a uscire per Urania? Credete che chi l’ha letto (magari qualcuno che non aveva mai letto un romanzo di fantascienza in vita sua, nemmeno di Asimov) e, nel corso della lettura ha scoperto che si trattava di fantascienza (magari senza neanche arrivare alla consapevolezza), ci sia rimasto male? Io penso proprio di no, anche perché il romanzo è davvero bello. Stessa situazione, ad esempio, per La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo bellissimo romanzo di fantascienza di Audrey Niffenegger, uscito nel 2005 per Mondadori, benché in quel caso dal titolo si capiva che qualcosa di fantascientifico doveva esserci. In ogni caso Mondadori non ha avuto alcuna remora a proporlo nella sua collana generalista più importante. E di esempi come questi ce ne sono molti, ma forse sono ancora pochi, perché questo, invece di essere visto come un terribile spettro di estinzione, dovrebbe essere l’auspicio cui la fantascienza dovrebbe aspirare.

  1. Verso il nuovo orizzonte

Sicché dovremmo considerare questa come la terribile e definitiva morte della fantascienza? Affatto. Questa è allora la fantascienza per una nicchia sempre più ristretta di cultori? Neanche per sogno. Come scienza e tecnologia sono sempre più vicino alla gente, nella vita di tutti i giorni, così anche il fronte letterario di quella stessa scienza e tecnologia sta progredendo verso la gente, perché oggi la realtà stessa ci allena sempre di più a sospendere l’incredulità proprio come i romanzi di fantascienza ci hanno sempre chiesto di fare. Se poi, per vivere, la fantascienza dovrà adattarsi e perdere l’etichetta con la quale siamo sempre stati abituati a conoscerla, leggerla e scriverla, chissenefrega! È sempre la stessa cosa. È sempre lì. Sarà sempre lì per la voglia inesauribile dell’uomo di immaginare e di chiedersi come potrà essere il proprio futuro, in risposta all’eterno quesito What if?. Perché dunque crucciarsi? Non vi è mai passata per la testa l’idea che sia stata proprio l’etichetta (il ghetto?) ad avere sempre penalizzato il genere? Bando dunque alle nostalgie da vinile! Possibile che proprio la letteratura che dovrebbe guardare al cambiamento e al futuro, prossimo o remoto che sia, insista a guardare all’indietro, sia nelle proprie modalità creative che in quelle editoriali, e non sappia evolversi? Del resto i segnali di cambiamento sono talmente chiari, che chi non li sa cogliere è perché non vuole farlo. Così, se sapranno adattarsi alla mutazione autori, editori e lettori, forse perderemo lo scaffale dedicato cui eravamo tanto affezionati, ma ci troveremo di fronte a una situazione inedita, una condizione mai vista prima, ma ideale! Ci troveremo di fronte un orizzonte nuovo. Immenso. E sarà tutto da esplorare (e da conquistare).

Alessandro Vietti