Il giorno dell’incarnazione, di Walter Jon Williams

Carissimo dottor Sam, a volte i miei amici mi trovano davvero strana. Mi rinfacciano di aver bisogno di un amico immaginario come lei per le mie personali elucubrazioni. Non è così. Non è affatto vero che me la faccio con gli amici immaginari, lei non è una persona immaginaria, lei è veramente esistito. Ha avuto un corpo piuttosto abbondante, una vita reale in un mondo reale. Lei con la sua parrucca e il portamento autoritario era un vero punto di riferimento, dottore. Non certo come loro, i miei amici che ancora non hanno avuto un corpo tutto per loro e tantomeno un’esistenza nel mondo reale. È vero, sono entità virtuali, poco più che qualche trilione di linee di codice implementate dentro qualche hard disk. Non hanno diritto di parlare delle nostre discussioni, anche se poi sono le uniche cose immaginarie nella nostra amicizia. Io, comunque ho bisogno di parlarne con qualcuno di tutto quel che è successo. Tutto ha avuto inizio il giorno dei festeggiamenti per la reincarnazione di Fahfd, quando tutti noi del gruppo abbiamo ricevuto per un giorno un bel corpo a sei zampe per scorazzare insieme al nostro amico per le distese di metano ghiacciato di Titano…

Pubblicato nel 2006 con il titolo originale di Incarnation Day, questa novella rappresenta uno dei momenti più felici dell’espressione artistica di Walter Jon Williams. Soprattutto si iscrive nella produzione più recente di questo poliedrico scrittore e, di conseguenza, ci permette di cogliere al vivo le ultime tendenze della sua notevole produzione artistica. Autore dalla personalità complessa e sfaccettata, WJW non ama fermarsi alla superficie delle cose e, tantomeno, declinare avvenimenti e trame in maniera lineare. Anche in questo caso la vicenda prende le mosse dalla conclusione degli avvenimenti, come uno sfogo finale, una sorta di confessione virtuale. Di conseguenza, come tutte le narrazioni ex post, gli avvenimenti hanno subito una maturazione ponderata dall’io narrante protagonista della storia. La fluidità del racconto, quindi, non è dettata dalla spontaneità quanto dalla meditazione degli avvenimenti. Questa la lente che filtra gli avvenimenti alla luce di una nuova consapevolezza, l’io narrante è al contempo parte integrante della storia eppure ne prende le distanze per collocarsi in una prospettiva unica. Il lettore, insomma, ha la continua impressione di essere profondamente calato nello svolgimento dei fatti perfino nelle frequenti digressioni verso la visione d’insieme del futuro tratteggiato nella storia. Espediente da consumato narratore, certo, ma anche risorsa in più per il lettore e per la ricchezza del racconto stesso. Qui, come in tutte le opere di Williams, elemento centrale è la pura narrazione, l’espressione letteraria. L’autore non è interessato ad analizzare il futuro che ci sta presentando, non prende posizioni di natura filosofico-morale, non pretende di scioccare il lettore con la visione di un futuro distopico o al di fuori di qualsiasi morale. Non desidera tantomeno stupire descrivendo le meraviglie e i ritrovati del futuro o meravigliare con la costruzione di mondi alieni e lontani da ogni esperienza comune. Semplicemente qui Walter lascia parlare la storia. È la storia che si porge al lettore e si lascia svelare gradualmente in ogni suo angolo, senza angolazioni privilegiate o punti di vista particolari. L’espediente dell’io narrante, al contempo parte e vista panoramica della vicenda, permette di lasciar parlare la narrazione. Cosa sarà in grado di suscitare nel lettore quest’ultima? Mistero.

Ecco ciò che sempre stupisce e lascia curiosi di leggere quest’autore, la narrazione come mistero letterario unico, la conseguente rinuncia di volerlo penetrare. Leggendo questa novella, davvero ci rendiamo conto di una verità già sotto gli occhi di tutti eppure troppo spesso negletta o dimenticata dal lettore appassionato: la fantascienza, per quanto complessa, tecnologica, verosimigliante alla realtà scientifica, intrisa di matematica o concetti più o meno astratti, lontana da qualsiasi luogo comune, rimane sempre e comunque letteratura. Non divulgazione di concetti scientifici, non effetti speciali più o meno abbacinanti, non pura riflessione sul rapporto uomo – tecnologia, utopia o distopia. Letteratura, cioè finzione, espressione artistica, mistero mai del tutto risolto o risolvibile dal lettore. Qui l’autore non si pone il problema di quale messaggio porgere al pubblico, il problema fondamentale è come rappresentare una storia, come aggomitolarla in modo che la lettura possa rappresentare un piacevole gioco di disvelamento. La classica dicotomia cara a tanta fantascienza del reale – virtuale, l’intricato rapporto fra ciò che si tocca e ha un corpo e ciò che è pura astrazione eppure vita anch’essa, è declinata dall’autore come una sorta di gioco a nascondino con il lettore. Fate, dunque, attenzione lettori “ceci n’est pas une pipe”.