Il palazzo del mutante, di Tim Powers

Inizia con questo post un’opera di recupero di vecchi classici poco noti o di opere passate ingiustamente sotto silenzio. Nico Gallo approfondisce in questo magnifico saggio il futuro descritto da Tim Powers, autore geniale assai sottovalutato e padre dello steampunk assieme ai suoi amici James Blaylock e Kevin Wayne Jeter, nel Palazzo del mutante, opera del 1985 a me molto cara (lo ripescai per Fanucci agli inizi degli anni ’90).

“Il miglior punto di osservazione sulla Los Angeles del prossimo millennio sono le rovine del suo futuro alternativo.”

Mike Davis, La città di quarzo

 

Ellay, pronunciata el ei, altro non è che la nostra L.A. Los Angeles, la mitica città di quarzo, dove viene prodotta una parte preponderante dell’immaginario contemporaneo, dove le architetture reali si mescolano ai progetti di Hollywood, dove si fondono le lingue e le razze e vengono tragicamente sperimentate nuove sovversioni e nuove repressioni.

Leggere Dinner at Deviant’s Palace oggi, il romanzo di Tim Power pubblicato negli Stati Uniti nel 1985, offre molteplici spunti d’interesse. Il primo è senza dubbio utilizzare la riflessione geografica che questo testo propone attraverso il viaggio nella California meridionale di Gregorio Rivas, il protagonista, per verificare come un romanzo di fantascienza sia in grado di parlare, e con profondità, delle metamorfosi e delle tendenze del territorio di Los Angeles. Da Blade Runner ai romanzi di Kevin Jeter, ma con inscindibili connessioni con altri generi letterari che pescano in Raymond Chandler e James Elroy, si è stabilito un rapporto tra la città e i suoi dintorni e l’immaginario. Forse, in origine, la città del cinema aveva fabbricato i sogni e i modelli per l’intero pianeta, partecipando a un progetto sociale in cui diffondeva stili di vita; ora sperimenta immediatamente su se stessa modificazioni materiali che provengono dalle suggestioni dell’immaginario, o meglio, nel caso di Los Angeles è diventato impossibile distinguere un primato tra reale e immaginario, visto che la sua immagine si presenta a noi come unica. È come dire che si è confusa la metafora con la sua origine materiale, ed entrambe si influenzano con un’intensità tale da non poter più essere separate. Se leggiamo Ecology of Fear di Mike Davis, tradotto in italiano da Feltrinelli come Geografie della paura. Los Angeles: l’immaginario collettivo del disastro, troviamo nei due capitoli finali (“La distruzione letteraria di Los Angeles” e “Oltre Blade Runner”) oltre 150 pagine dedicate alla dimostrazione di come si è sviluppato questo complesso rapporto.

Ma Invito al Palazzo del Deviante è una lettura di grande interesse anche nel contesto della fantascienza stessa. Tim Powers, nato nel 1954, noto come autore di romanzi quali Il Re Pescatore, Le porte di Anubis, Mari stregati, Lamia, e l’eccellente e visionario L’ultima chiamata, appartiene all’ultima generazione di scrittori, ovvero quelli che hanno avuto a disposizione per esprimersi un linguaggio molto articolato. Poco attratto dal cyberpunk tecnologico, Powers ha visto nella contaminazione dei generi grandi possibilità creative, utilizzando atmosfere steampunk quanto i canoni dell’horror e del racconto mitologico. Invito al Palazzo del Deviante, invece è un romanzo di fantascienza che deve molto a Philip K. Dick. Tim Powers gli è stato amico e aveva frequentato lo scrittore durante gli incontri che si tenevano a casa sua il martedì sera. Come è noto, l’ultimo periodo di Philip Dick (morì nel 1982) fu emotivamente intenso. Veniva da una serie di esperienze estremamente dure che hanno lasciato traccia in romanzi come Un oscuro scrutare e Scorrete lacrime, disse il poliziotto, e che lo avevano posto di fronte alla morte, alla solitudine, al dolore, alla rassegnazione. In lui, già sensibile per natura, si sviluppa un senso della pietà eccezionalmente forte.

Il Greg Rivas di Powers è un duro esperto nel riportare a casa giovani che vengono attratti da una religione capace di esercitare un controllo della mente totale; è uno dei pochi capaci di opporsi a una sorta di potere ipnotico in grado di azzerare la volontà degli adepti e che ha il coraggio di avventurarsi in zone selvagge e radioattive. Compie questi recuperi per denaro, ma quando gli si chiede di trovare la ragazza di cui è stato perdutamente innamorato per anni, la ricerca assume significati molto più profondi. Questo viaggio, che lo porterà prima a Irvine, la Città Santa, e poi a Venice, attraverso i pericoli e gli incontri che costituiscono la trama, costituirà un itinerario spirituale destinato a produrre cambiamenti irreversibili nell’interiorità del protagonista. Come ricorda Franco Moretti nel suo saggio Il romanzo di formazione, “la gioventù non dura in eterno” e i grandi traumi emotivi che Rivas subirà nel romanzo lo porteranno a scoprire la pietà. Pietà per i drogati, per gli esseri umani all’ultimo stadio dell’esistenza, per ridicole e tragiche creature come gli uomini-rottame (trash men), per i bambini mutanti, per le sue stesse vittime, fino a diventare incapace di uccidere, fino a disconoscere quella parte di se stesso che faceva di lui un cinico.

Questa pietà è una conquista difficile, lenta e contraddittoria, che la fantascienza è capace di esprimere attraverso meccanismi letterari che le sono propri e che costituiscono la sua eccezionale possibilità d’impatto. Tutta la narrazione è pervasa dai pensieri di Rivas, dalle domande retoriche che pone a se stesso. L’elaborazione dei suoi pensieri coscienti si interseca e si sovrappone agli avvenimenti e al lettore è concesso di controllare l’evoluzione interiore di Rivas verso la pietà. Se nella tradizione del novel questa contrapposizione tra due parti dell’io del protagonista è descritta come una lacerazione individuale e psicologica, nella fantascienza assistiamo a una letteralizzazione di questo scontro tra le componenti interiori. Brian McHale, nel suo saggio “Elementi per una poetica del cyberpunk” apparso sulla rivista Alphaville, chiama questo meccanismo “letteralizzazione della metafora”, indicando come la fantascienza assuma un significato proprio istituendo un rapporto con il mondo reale (e quindi con il novel che ne è la rappresentazione letteraria diretta), che viene rielaborato attraverso la costruzione di personaggi ed episodi che hanno le caratteristiche fisiche che vengono metaforizzate. Quando Rivas si trova ferito e in fuga scopre che da sé si è liberata un’entità ectoplasmatica, un hemo-goblin(spiritello di sangue) che ha assunto alcune sue caratteristiche. Dopo questa creazione, o meglio separazione da sé di alcuni attributi di se stesso, la creatura tenta di ricongiungersi, ma Rivas, nella sua quest verso un’altra dimensione spirituale, combatte fisicamente con lei fino a distruggerla. Dunque il travaglio psicologico di molta letteratura che vede nell’esterno solo occasioni per alimentare il conflitto interiore, qui diventa una lotta letterale tra due entità autonome. Nella narrativa di Philip Dick, lo scrittore che davvero ha influenzato Powers più di ogni altro, molto spesso vengono descritti gruppi compositi di personaggi, ognuno con psicologie semplici e molto accentuate, e anche in queste opere i conflitti psicologici tipici della complessità di una mente vengono rappresentati attraverso le interazioni multiple dei personaggi che incarnano ognuno un singolo aspetto.

Un viaggio dunque che non è e non può essere solo geografico, dove il viaggiatore Rivas si ripresenta nel luogo della partenza radicalmente diverso da come era partito. Una nuova persona che ha capito che solo sacrificando una parte di sé avrebbe potuto mantenere quella scomoda empatia che è andata crescendo lungo tutto il romanzo, quello stesso sentimento che i cinici androidi di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? non provano.

Invito al Palazzo del Deviante è fantascienza pura e deve essere letto come tale, anche se la California post catastrofe, regredita a uno stadio quasi pre-industriale (anche se sopravvivono reperti funzionanti e impressionanti catene di montaggio di taylorista memoria), si presta a utilizzare forme descrittive che provengono dalla magistrale cultura horror di Powers. Chi ha letto le raffinate descrizioni di Lamia, un volume scritto successivamente e immancabile per chi ama la tradizione del romance, gusterà le inquietanti presentazioni del Palazzo del Deviante e di Irvine, Città Santa del romanzo e prestigiosa sede universitaria nella realtà. In quelle pagine c’è uno sforzo di raffigurare l’inumano e, come anche era accaduto per Lovecraft, la geometria euclidea diventa una sfida, un ostacolo da superare. Certe linee architettoniche, certe prospettive irrisolte, sembrano rievocare alcune insoddisfacenti rappresentazioni grafiche delle geometrie di Riemann e di Lobaceskj, qualcosa che si scontra con le usuali consuetudini della percezione umana.

Domenico Gallo