Intervista a Dario Tonani

Lo conosciamo tutti molto bene, credo. Chi non lo conosce personalmente, di certo ne apprezza la passione da fan della FS e la scrittura dinamica, ricca di sensazioni e immagini scoppiettanti. Chi di noi non lo conoscesse come scrittore o come fan, ha di certo sentito parlare del recente boom del suo ciclo di Mondo 9 in Giappone. Insomma non abbiamo bisogno di grosse presentazioni, giusto? Dario Tonani è uno di noi.

Cominciamo da una domanda facile facile, giusto per scaldare i motori. Come è stata l’esperienza di “Deepcon” a Fiuggi?

Splendida, come sempre. La “Deepcon” è uno sfizio irrinunciabile che mi tolgo con grande piacere ogni primavera, un appuntamento tra amici che non vedi da tanto tempo. E anche l’occasione d’incontrare ospiti molto interessanti, come è stato il caso di quest’anno, con Ian McDonald.

Interessante. È com’è stato incontrarlo?

McDonald è una persona squisita e un intrattenitore sopraffino. In un momento di calma, ci siamo presentati e abbiamo posato per un paio di foto con i rispettivi libri. Era molto impressionato dalla pubblicazione di Mondo 9 in Giappone; tra l’altro conosceva l’editore che mi ha pubblicato…

Quale aspetto della vita da scrittore (costruire storie, girare librerie, visitare le convention, etc…) ti piace di più? 

Non è un mistero, stare al computer e… praticare. Il che non significa necessariamente scrivere e basta: spesso vuol dire vivere in modo diretto l’abbraccio e il sostegno dei lettori, attraverso social network, email, chat e quant’altro.

A proposito, perché scrivere? Perché scrivere fantascienza?

Per me scrivere equivale a respirare storie, non riesco a farne a meno. Sono un sognatore incallito e impenitente. Perché fantascienza? A volte me lo domando anch’io. E giungo alla conclusione che sia per una sorta di spirito masochistico…

Quali sono, se ne hai, i tuoi modelli letterari?

Modelli? Tanti! Dick, Ballard, McCarthy. Di loro tre prenderei il pacchetto completo a occhi chiusi. Di altri, invece, pescherei solo certi aspetti, che però m’intrigano molto: la visionarietà di Chuck Palahniuk e China Miéville, il modo d’intendere la scrittura a tutto tondo – tra libri, fumetto e videogiochi – di Neil Gaiman, il talento nella costruzione delle storie di Stephen King.

Ho notato che preferisci scrivere romanzetti brevi o racconti. È solo una mia impressione o c’è una ragione ben precisa per questa tua preferenza?

Onestamente, “romanzetti brevi” non mi fa impazzire come definizione, direi che suona con un’accezione piuttosto negativa. In realtà, sai bene, che nella fantascienza, novelettee novella hanno una lunga e nobilissima tradizione. Che peraltro l’avvento del digitale ha ulteriormente rinvigorito. Sì, ammetto di scrivere molti racconti e romanz(ett)i brevi, ma parte della colpa deriva dallo sviluppo di progetti seriali, che alla fine del lavoro producono comunque un fix-upassimilabile a un vero e proprio romanzo, almeno dal punto di vista della foliazione e dell’impegno profuso.

Com’è nato il progetto WAR? Puoi raccontarcene qualche retroscena?

Da un lungo brainstorming con Alessandro Manzetti, AD di Mezzotints Ebook. L’idea era appunto quella di sviluppare con una logica seriale un bacino di idee molto fertile, che tra gli autori italiani di fantascienza non aveva ancora prodotto nulla: quello della Military Science Fiction. Avevo scritto una storia per un Millemondi del 2003 (“In fondo al nero”, a cura di Gianfranco Nerozzi, con racconti di Carlo Lucarelli, Pupi Avati, Tiziano Sclavi, Douglas Preston, Eraldo Baldini ecc.) che poteva fare da apripista; ne affiancai una seconda e calcai sull’aspetto action. Confezionai poi un titolo decisamente evocativo, di cui ancora oggi vado molto orgoglioso: “W.A.R.”, acronimo di “Weapons. Androids. Robots.”, tutti ingredienti di cui i due racconti traboccavano. Con “WAR 2” appena uscito, la saga, grazie anche all’ottimo team di editor con cui ho lavorato, ha assunto una sua fisionomia ben precisa.

Secondo te quale può essere la valenza letteraria della guerra oggi, dopo l’undici settembre e quel che ne è seguito?

Oggi della guerra – qualsiasi guerra – tutti possono avere una percezione quantomeno “visiva”, scenica, mediatica; e questo prima non accadeva, perché ogni episodio bellico era per forza di cose mediato dalla memoria storica dei sopravvissuti e dalla fiction che se ne faceva. Culturalmente e letterariamente, la guerra è diventata territorio al quale tutti possono accedere, nella pienezza dei propri strumenti espressivi. Le storie sono diventate più sfaccettate, forse addirittura più “vere”, perché chiunque può vantare un rivolo di voyeurismo, se non addirittura una piccola scheggia di esperienza, nell’offerta mediatica globale che ai vari conflitti – piccoli o grandi che siano – attinge ogni giorno.

Cosa ti ha affascinato di più nella stesura di WAR? La fase di documentazione, immaginarti le armi e le uniformi, cos’altro?

La mera scrittura. Torno sempre lì, al lavoro principale di ogni autore: alla fase in cui tutto – documentazione, immaginazione, sviluppo della storia a tavolino, scaletta – si amalgama in una struttura concreta, assumendo dimensione e carattere personali. Se mi permetti poi di spendere una parola sullo stadio successivo del lavoro, devo dire che ho vissuto davvero una splendida esperienza di squadra con il team di editor che si è preso carico di dare alla storia il sapore che ha adesso.

Spesso nelle tue storie si parla di realtà difficili, dove la lotta per sopravvivere ha poco di umano. Come mai?

Sensibilità? Attitudine a guardare… il lato oscuro? Parecchio di entrambe, direi.

Questa è una mia curiosità. Come influisce la tua formazione “bocconiana” nella scrittura?

Presto detto: in nessun modo. Comunque le si vogliano guardare, nelle mie storie non vedo nulla di bocconiano (vedi comunque alla risposta sopra, anzi – meglio – alla domanda sopra!)

Perché Mondo 9 piace ai giapponesi? Che risposta ti sei dato?

In realtà, alla domanda ha risposto tempo fa il mio traduttore Koji Kubo, che sottolineava quanta spiritualità ci fosse in “Mondo9” e quanta se ne trovasse nel bagaglio interiore del lettore nipponico, per sua natura predisposto a coglierne e ad apprezzarne i segnali. I giapponesi sono un popolo che, soprattutto nei giovani, ama profondamente le storie con una forte carica visiva, perché tra cinema, anime e manga, le mangia a colazione.

Scriverai mai un bel romanzone? Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?

Sì, il romanzone, quello che si sa di dover assolutamente scrivere, prima o poi. Ci arriverò. Nell’attesa, ho molta carne al fuoco: il sequel di “Mondo9”, un romanzo in stand-by da tanto, troppo tempo e molti, moltissimi racconti… Grazie della chiacchierata, Fabio. E stay tuned!