Intervista a Mike Resnick

Forse il più grande autore vivente di racconti e romanzi brevi, Mike Resnick non ha certo bisogno di presentazioni. Autore più che prolifico, vero fan della fantascienza, soprattutto personaggio assolutamente singolare. Sorriso aperto e sincero, aria da gran simpaticone. Una prosa sempre misurata, priva di fronzoli ma non rozza. In grado di coniugare semplicità e profondità di vedute, Resnick sa discettare di temi complessi con impressionante immediatezza e senza giri di parole. I lettori italiani lo rivedranno presto nelle librerie con il ciclo di racconti su “Santiago“, grazie alla casa editrice Della Vigna. Intanto, per chi ancora lo conoscesse poco, qui avrà modo di leggerlo dal vivo.

Hai vinto ben cinque premi Hugo (più di Heinlein): fin dove vuoi arrivare?

Compirò settantadue anni il cinque marzo. Mi piacerebbe pensare che continuerò a scrivere ancora a lungo come Jack Williamson (aveva novantotto anni quando pubblicò il suo ultimo libro), e mi piacerebbe pensare che continuerò a migliorare… ma indovinare quanti altri “Hugo” potrò vincere – semmai ne vincerò altri – è un gioco infruttuoso. Semplicemente voglio continuare a scrivere storie che soddisfino me stesso e i miei lettori.

Cos’è per te la fantascienza? Ci puoi dare una definizione?

Beh, la mia definizione accademica preferita è questa: “la fantascienza è quel genere letterario che tratta di un passato alternativo, di un presente alternativo, o di un futuro immaginato. La mia è molto più semplice: la fantascienza è per le persone che si chiedono come sarà il domani.

Come vedi questa nuova generazione di scrittori? C’è n’è qualcuno che ti piace?

C’è ne sono un bel po’. Fra tutti spicca Ken Liu e mi piace molto il lavoro di Brad R. Torgersen, Lezli Robyn, Tina Gower e pochi altri.

Secondo te dove sta andando la fantascienza?

Ci sono sempre tendenze che sembrano dover rinnovare il campo – Old Wave/New Wave Wars, Cyberpunk, Slipstream – ma quando si dirada tutto il polverone, è sempre ancora la fantascienza che conosciamo e amiamo.

Dicci qualcosa sul tuo modo di lavorare. Ci puoi descrivere la tua tipica giornata lavorativa?

Ho imparato quasi mezzo secolo fa che quasi nessuno ti telefona o ti bussa alla porta fra le 10:00 di sera e le 6:00 di mattina. Ecco com’è stata la mia giornata lavorativa negli ultimi cinquant’anni.

Molto presto uscirai in Italia con il “Ciclo di Santiago”. Come è nata l’idea di queste storie?

Un racconto dal titolo Cantata Spaziale (Galassia 216 – La Tribuna) di R. A. Lafferty inizia con queste parole: “Ci sarà una mitologia del futuro?, ci si chiede dopo che tutto è diventato scienza. Le alte gesta saranno raccontate in epica o semplicemente codificate in un computer?” Dopo aver letto questa domanda così evocativa, ho deciso che volevo rispondere mostrando un mito del futuro. Stavo ancora cercando una trama quando mia moglie, che stava vedendo il film di Sergio Leone intitolato “Giù la testa”, mi chiamò  e mi fece vedere un breve discorso di quaranta secondi di James Coburn. Coburn faceva la parte di un esperto di esplosivi dell’IRA che, dopo esser stato tradito dai sui amici, si era messo a lavorare in Messico per l’Imperatore Massimiliano. Nel discorso diceva che c’era un tempo in cui credeva nella verità, nella giustizia, nella lealtà e nell’IRA – ora tutto ciò in cui credeva è la dinamite. Era proprio l’impeto di cui avevo bisogno – mia moglie mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso – quella stessa notte ho iniziato a scrivere il libro.

Hai descritto molti mondi futuri ma, riguardo al nostro presente, quale sarà il nostro vero futuro?

Non ne ho idea. Ho qualche speranza, un po’ di dubbi e alcune paure, ma troppi elementi estranei costituiscono il futuro. Quand’ero bambino non avevamo conquistato la Luna o curato il cancro, però sapevamo che un giorno avremmo potuto… tuttavia, nessuno ha mai predetto il microonde o internet. Noi e i russi avevamo un bel mucchietto di bombe nucleari ed eravamo nemici mortali; chi avrebbe mai pensato che non ne sarebbe caduta nemmeno una negli oltre settant’anni passati da Hiroshima?

Hai creato un sacco di personaggi, ce n’è qualcuno che ti piacerebbe interpretare?

Non sono un attore. Fra i miei personaggi il mio preferito è Lucifer Jones. Il preferito di mia moglie invece è Harry the Book. Entrambi personaggi umoristici.

Ti piacerebbe collaborare con uno scrittore italiano? Chi?

Lo scrittore italiano di fantascienza che preferisco era Italo Calino. Comunque, trovo che sia già abbastanza difficile collaborare con qualcuno che parla la mia lingua; penso che debba essere estremamente difficile collaborare con chi parlava un’altra lingua o, quanto meno, il cui inglese era formale e non colloquiale.

Fra le tue molteplici collaborazioni, quale autore ti ha ispirato o stimolato di più?

Ho collaborato con più di cinquanta autori. Penso che le mie due migliori storie siano arrivate in collaborazione con un nuovo arrivato, Lezli Robyn. Robert Sheckley era uno dei miei due o tre autori quasi preferiti, sono stato entusiasta di poter collaborare con lui un anno prima che morisse. Tuttavia, ho tratto piacere da quasi tutte le mie collaborazioni: ecco perché continuo a farne (anche se con una sola eccezione: esclusivamente nella narrativa breve.)

L’Africa è spesso utilizzata nelle tue tematiche. Cosa ti attrae tanto di questo continente?

Anzitutto, è una terra bella ed esotica. Ma ai fini della mia fantascienza, sento che se potessimo raggiungere le stelle, andremmo a colonizzarle e, se ne colonizzassimo abbastanza, entreremmo in contatto con diverse razze aliene senzienti. Ritengo che l’Africa offra cinquantuno esempi distinti e separati degli effetti deleteri della colonizzazione sia sui colonizzati che sui colonizzatori.

Riguardo al tuo futuro. C’è una tematica che non hai ancora toccato e che ti piacerebbe trasformare in una storia?

Settantacinque romanzi e trecento racconti nella mia carriera. Non ci sono molti soggetti di cui non ho parlato in qualche modo, anche se ce ne sono molti su cui vorrei tornare per parlarne più approfonditamente. Continuerò a scrivere finché non li avrò coperti tutti.