Intervista a Thomas M. Disch (prima parte)

L’intervista a Thomas Disch si è svolta su internet, e lo scrittore americano rispondeva dal suo appartamento a Manhattan, dove risiedeva ormai da decenni. Il risultato è questa conversazione che parte da La strega, l’ultimo romanzo di Disch pubblicato in Italia (Fanucci), e va poi a toccare gli altri interessi dell’autore.

Com’è stato accolto La strega (The Sub) dalle femministe americane? Te lo chiedo perché il personaggio principale del romanzo, Diana Turney, una strega che ha molto in comune con Circe (anche lei trasforma gli uomini in maiali), mi pare provvista di alcune caratteristiche negative di quel vecchio stereotipo femminile (poi rivendicato dalle femministe). Cos’è, una provocazione?

Non c’è stata risposta alle componenti femministe della Strega. Mi piace pensare che sia perché ho portato argomenti assolutamente solidi, ma più probabilmente le femministe tacciono perché il modo migliore di affrontare un nemico è rifiutare di attaccare battaglia.

Ma qual’era il tuo bersaglio, allora? Diana propugna la supremazia delle donne sul sesso maschile, e potrei pensare che idee come le sue (esposte per esempio nel capitolo 38) riflettano certe posizioni estreme del femminismo statunitense.

Sicuramente uno dei bersagli della mia satira nella Strega è quel versante del femminismo che demonizza il sesso maschile, per esempio quelle femministe secondo cui tutti i disturbi dell’alimentazione delle donne sono il risultato di stupri perpetrati dai padri, traumi convenientemente rimossi finché non vengono risuscitati con l’auto di una terapia di gruppo con altre “superstiti”. Una decina d’anni fa andava terribilmente di moda recuperare ricordi di simili misfatti paterni. Non voglio ovviamente negare che queste cose succedano, come viene messo in chiaro dalla trama secondaria che racconta del reverendo Johnson e di sua figlia. Ma sospetto che queste perversioni gotiche si trovino più facilmente nei melodrammi e nelle telenovele che nella vita reale.

Nell’edizione americana il romanzo s’intitola The Sub; Diana infatti è una strega, ma anche una supplente in una primary school. È qualcosa che torna spesso nei tuoi romanzi, questa visione repressiva della scuola; c’era già in un tuo romanzo del 1979, Le ali della mente (On Wings of Song).

Be’, probabilmente molti scrittori di narrativa si vendicano dei loro insegnanti raffigurandoli come una schiatta di tiranni. In effetti uno dei grandi servizi resi dalla scuola potrebbe essere proprio questo: offrire una gamma di bersagli “supplenti” per la rabbia che proviamo nei confronti della tirannia dei nostri genitori. Comunque, nessuno ha mai protestato perché sono stato ingiusto nei confronti dei docenti come categoria, e in effetti ci sono tanti buoni insegnanti nella mia narrativa, insieme a dei veri mostri.

Uno dei fili narrativi del romanzo è la vicenda di Jim Cottonwood, un detenuto condannato ingiustamente che è anche uno sciamano Wabasha. C’è una forte presenza indiana nel tuo stato d’origine, il Minnesota? O ci sono altre ragioni per cui tu hai voluto inserire un indiano americano nella trama?

Per un certo tempo ho vissuto in un’area nel Minnesota settentrionale dove c’è una vera presenza indiana. Avevo un amico in quarta elementare che era indiano, ma non posso dire di aver fatto esperienza diretta della vita che facevano lui o i suoi genitori. Però il tema omerico di Circe, cioè della trasformazione degli uomini in animali, mi sembrava avere una controparte naturale nello sciamanesimo indiano, e in ciascuno dei quattro romanzi del “Minnesota soprannaturale” volevo che fosse presente un elemento soprannaturale specifico per quel romanzo, qualcosa di completamente integrato con la trama.

Credo che i lettori italiani ti conoscano di più per la tua produzione fantascientifica, per romanzi come Campo Archimede (Camp Concentration) o Le ali della mente. Ma da parecchio tempo sei passato a una forma alquanto singolare di horror, con la tua Serie del “Minnesota soprannaturale”, che include anche Il prete (The Priest) e Il taumaturgo (The MD), nonché The Businessman, ancora inedito in Italia. Come mai questo cambiamento?

Ovviamente il motivo è squisitamente economico. Mi davano degli anticipi molto migliori per i romanzi horror. E mi sembravano richiedere lo stesso corredo di utensili di base in termini di costruzione di un mondo immaginario. Non ho proprio avuto la sensazione di star scrivendo qualcosa di diverso dalla fantascienza. O meglio, credo che molta della mia fantascienza sia in realtà una specie di fantasy. Certamente è così per Le ali della mente: i voli di Daniel fuori dal proprio corpo non sono più “scientifici” di quelli di Jim Cottonwood nella Strega. Non saprei dire se il pubblico che leggeva la mia fantascienza sia passato con me nel territorio dell’horror, ma è uno sconfinamento alquanto comune.

Ritieni di aver esaurito le possibilità della narrativa horror? Voglio dire, ci sarà un altro volume della serie del “Minnesota soprannaturale” o consideri questa tetralogia come qualcosa di compiuto?

Chiunque creda di aver esaurito le possibilità di alcunché si sta prendendo in giro. Puoi esaurire le tue energie mentali e/o fisiche. Ma anche se non posso più correre la maratona, credo di saper ancora far accapponare la pelle. Ho appena scritto un nuovo racconto ambientato a Minneapolis. S’intitola “The White Man”, e verrà incluso nella terza antologia di Al Sarrantonio, e spero di convincere un editore a farmelo sviluppare in un romanzo. Parla di vampiri a Minneapolis, solo che non si tratta di vampiri soprannaturali. Hanno a che fare coi vampiri veri del Malawi di cui parlava un articolo uscito sul New York Times nel gennaio scorso: abitanti di villaggi isolati costretti a donare il loro sangue, forse da milizie appoggiate dal governo. Il sangue verrebbe poi venduto sul mercato nero del plasma.

Una cosa che mi colpisce è che i titoli del quattro romanzi del “Minnesota soprannaturale” sono professioni: l’uomo d’affari, il prete, la supplente, e il medico. Ovviamente sono le occupazioni dei rispettivi protagonisti, ma mi chiedo se dietro non ci sia altro. Sono forse figure rappresentative degli Stati Uniti tra anni ottanta e anni novanta?

Sì. In ciascun romanzo il personaggio del titolo è il cattivo, e la sua è una forma di malvagità specifica per quella professione o per l’istituzione di cui fa parte (la medicina, l’istruzione, la chiesa, gli affari). L’aspetto della critica nei confronti delle istituzioni è probabilmente messo a fuoco nel modo più netto nel Prete.

In The Businessman il cattivo è sicuramente Bob Glandier, l’uomo d’affari protagonista del romanzo. Lo stesso dicasi per Diana Turney nella Strega. Ma nel Prete il protagonista, padre Pat Bryce, mi pare più che altro vittima di personaggi molto più pericolosi, come padre Cogling, o il vescovo Massey. Traducendo Il prete, le cui scene più comiche sono proprio quelle in cui Pat Bryce è la vittima, mi tornavano sempre in mente le disavventure di David Weinreb in Le ali della mente; e in quel romanzo Daniel è l’eroe, tutto sommato. Che ne pensi?

Vedi, in tutti e quattro i romanzi del “Minnesota soprannaturale” i cattivi sono indicati nel titolo. E tutti i cattivi ricevono alla fine un’appropriata punizione. Ma padre Pat viene punito fin dall’inizio della storia, e poi si tratta di punizioni molto più comiche, e raccontate estesamente, ed è probabilmente per questo che si trova a sopravvivere alla rivelazione finale e a ritornare, nei panni di Clay, nella Strega. Anche Daniel deve soffrire, naturalmente, ma lui è un Eroe Tragico, che soffre e muore: noi non applaudiamo la sua morte… almeno spero. Non è la stessa cosa.

Tornando alla Strega, ho notato che le prigioni sono un tema ricorrente nelle tue storie: dal campo di concentramento sotterraneo di Campo Archimede alla prigione di New Ravensburg nel tuo ultimo romanzo. È qualcosa che ti ossessiona oppure un semplice espediente narrativo?

L’imprigionamento può essere la metafora di così tante cose, dalla mortalità stessa (siamo tutti condannati a morte, no?) a tutte le forme di costrizione istituzionale. Campo Archimede trae molta della sua forza, per i lettori dei college universitari, dall’evocazione della loro condizione: essere “ingabbiati” in un’istituzione dove si viene inzeppati di conoscenze fino ad esserne sopraffatti.

La pedofilia era uno dei temi centrali del Prete; ma ho notato che le varie forme di sessualità (convenzionali o meno) giocano un ruolo importantissimo in quasi tutti i tuoi romanzi. Ciò detto, sono stato colpito dalla “normalità” delle relazioni sessuali nella Strega, che sono tutte di tipo eterosessuale. Un richiamo all’ordine dopo le “perversioni” del Prete?

Dal momento che la protagonista della Strega è una donna modellata su Circe, che trasformava gli uomini in porci, la pedofilia non può figurare nella trama di quel romanzo. Quello è il “peccato tematico” del Prete, non perché m’interessasse più di tanto l’argomento, ma perché l’abuso dei bambini da parte di sacerdoti cattolici è stato per quasi vent’anni al centro delle controversie sulla corruzione della Chiesa Cattolica. Quanto poi alla presenza del sesso nella mia narrativa, sarebbe strano se non ci fosse! La sessualità è al centro delle nostre vite, e della maggior parte della narrativa seria.

Gli espliciti riferimenti al mito classico nella Strega mi suggeriscono una domanda: una cosa che mi colpisce sempre nei tuoi romanzi del “Minnesota soprannaturale”, ma non solo in quelli, è l’eleganza e l’apparente classicità della tua prosa. C’è una volontà parodistica di mimare la scrittura dei romanzieri ottocenteschi, così come “mimi” il mito omerico?

Grazie, questo lo prenderò come un complimento. Vedi, in Clara Reeve[1]c’era un’imitazione cosciente, specialmente di Charlotte Bronte, la cui prosa è talvolta l’equivalente di una crinolina. Altrimenti penso di usare semplicemente una sintassi più ricca di quella cui è abituata la maggior parte degli scrittori di narrativa; fors’anche un vocabolario più vasto, e quando l’occasione lo richiede, una gamma più ampia di riferimenti metaforici. Posso pensare in frasi come la precedente, e un simile virtuosismo viene considerato pomposo dalla maggioranza plebea. Persino i critici accademici (di stampo decostruzionista) non hanno alcun controllo dello stile aulico, solo dei loro ermetismi alla De Man. La maggior parte delle mie scorribande nell’High Style passano inosservate, tranne per quelli che le considerano un modo di darsi delle arie; e anche loro si mordono la lingua e poi mi sgridano perché sono “deprimente” oppure un “porco sciovinista”.