Intervista ad Aliette de Bodard

Immagine: aliettedebodard.com

Dal suo esordio letterario nel mercato anglo-americano, Aliette De Bodard ha fatto molta strada. Scalando rapidamente le tappe, è oggi considerata fra le più promettenti nuove leve della fantascienza insieme ad altri autori (come ad esempio Ken Liu, tanto per citare un altro nome che inizia già a farsi conoscere presso i lettori italiani) destinati a reggere le sorti dell’immediato futuro di questo genere letterario. I suoi racconti sono ormai stabilmente presenti nelle grandi raccolte di Best Of  dal 2013, ed è stata più volte segnalata e nominata presso i più prestigiosi premi letterari del genere. La caratteristica principale di questa scrittrice non madrelingua inglese (in realtà è nata a New York, ma poi è cresciuta a Parigi, dove vive e lavora, e le sue origini sono vietnamite) è una prosa sempre raffinata e misurata: ogni suo racconto sembra un perfetto esempio di cesello in cui ogni parola è esattamente calibrata.

Gli insegnamenti di Orson Scott Card ti hanno proiettata nel mondo della scrittura. Ma cosa ti ha veramente insegnato? Quale molla segreta ha fatto scattare in te?

Ho imparato molto dalle lezioni dello Scott Card’s Literary Bootcamp; la lezione più importante tuttavia è stata quella di prendere seriamente me stessa e il mio modo di scrivere. Decidere di andare al Bootcamp ha significato, essenzialmente, stabilire che volevo fare sul serio con la scrittura e le pubblicazioni, tanto seriamente da voler frequentare un corso di una settimana in un paese straniero e fare in modo che ne valesse la pena.

Oltre alle tue origini vietnamite, quanto della tua vita quotidiana si trova nelle tue storie? Quanto delle persone che vedi e dei posti che frequenti realmente ogni giorno?

Sono sicura che ci sia molto di tutto ciò; eppure ho deciso coscientemente di non ispirarmi al mio quotidiano. E se invece l’avessi fatto davvero? Per cominciare, sarei stata citata in giudizio (ndr. lo dice sorridendo). Comunque, a parte questo, scrivo di universi differenti rispetto alla mia vita quotidiana: scrivo perché voglio personaggi che siano diversi da me, o dalla gente che vedo tutti i giorni; perché voglio cambiare; perché voglio creare universi che appaiano quasi simili a quello in cui vivo ma non lo siano affatto. Sono certa che comunque ci sia molto di quotidiano a livello più o meno inconscio. Molte delle storie che ho scritto nel 2013, il mio anno d’esordio, basate sulla maternità; capisco, inoltre, che a volte scrivo di tematiche che mi interessano. Questo generalmente significa che sono collegate a qualcosa che mi è successo: per esempio, Immersione è stato scritto dopo che avevo portato mio marito in Vietnam per visitare la mia famiglia materna, ed ho avuto la possibilità di toccare con mano la grande distanza fra la percezione interna di una cultura e quella che ne abbiamo dall’esterno.

Qual è la tua personale idea della Fantascienza?

Uh… È davvero arduo rispondere a questa domanda. Non amo dare definizioni della Fantascienza; mi sembra, infatti, che finiscano per diventare fin troppo facilmente riduttive o, peggio, esclusive. La critica comune ha liquidato le opere sulle minoranze (donne, persone di colore) come non appartenenti alla “vera Fantascienza”, io non voglio cadere in questa trappola! Per quanto mi riguarda, la Fantascienza è qualcosa che riguarda il futuro: può essere un futuro tecnologico (come il viaggio nel tempo); o una completa ambientazione futura. Qualcuno dirà che dovrebbe anche esserci una certa attenzione alla scienza; preferisco dire che la tecnologia deve essere in qualche modo parte della storia. Non c’è bisogno che ne sia il fulcro o una parte importante, ma deve esserne in qualche modo lo sfondo. Tuttavia questa è solo la mia personale visione (ed è anche in continua evoluzione, per cui ti darei probabilmente una risposta diversa fra qualche anno, appena avrò letto qualche libro che non corrisponde a questa definizione ma mi avrà stuzzicato la mente).

Quanto è difficile per una francese, per quanto bilingue, confrontarsi con il mercato di lingua inglese? Quali sono, o quali sono state, le tue maggiori difficoltà?

Ho avuto la fortuna di trovare una comunità online quando ero agli inizi, insieme a diverse persone a cui appoggiarmi che mi hanno aiutata mentre imparavo le “regole” per scrivere Fantascienza: come per tutti gli altri generi, la SF ha una serie di requisiti per le storie, stili (senza menzionare accorgimenti basilari come quello di concatenare le frasi) che hai bisogno di imparare o a cui devi fare attenzione. Non significa che tali regole non si possano infrangere, ma all’inizio ti aiuta, quando stai ancora cercando far quadrare ogni cosa, avere delle regole su cui contare. Come le rotelle per la bicicletta, credo.

Ho avuto diversi problemi con la lingua, ma alla lunga il più importante è stato la mancanza di sicurezza: ho impiegato anni a capire che il mio inglese non era né migliore né peggiore di quello di un autore madrelingua, e per smettere di considerarmi come una che scrive nella sua seconda lingua.

È davvero importante avere delle competenze scientifiche o tecniche per scrivere ottima Fantascienza? Come la vedi?

Credo che sia come per le regole di scrittura, giusto? Aiuta sapere cosa succede, in modo che tutto sia plausibile e che non si sovvertano le leggi della fisica senza un motivo (si possono sovvertire le leggi della fisica a patto di esserne perfettamente coscienti–Io l’ho fatto, come anche altri, ma è un altro lungo argomento!). Penso comunque che sia molto facile introdurre una rigorosa paccata di scienza; tuttavia molta della roba più interessante che ho letto non era scritta da scienziati (ciò detto, devo confessare che amo i libri di Alastair Reynolds, quindi immagino che non abbia importanza quanto a lungo tu abbia esercitato come ricercatore. Semplicemente è più facile se sei una persona di scienza dare a vedere che hai la conoscenza della materia e renderti credibile per il lettore).

Al momento in Italia stiamo leggendo il tuo miniromanzo Fratello della nave. Ci racconti di questa tua idea dell’impero Dai – Viet e delle loro navi intelligenti?

L’idea delle navi intelligenti è scaturita da un miscuglio fra le Menti di Iain M. Banks e alcune cose sulla maternità e la famiglia nella fantascienza che mi avevano interessato: volevo creare una società in cui dare alla luce una nuova vita comportasse notevoli pericoli, ma non sarebbe stato plausibile che, in una società tecnologicamente avanzata, la mortalità a causa della maternità fosse ancora alta. Così, invece della nascita umana, mi sono immaginata che far nascere un’astronave fosse un’attività pericolosa: l’innesto di un’intelligenza organica artificiale in un utero umano. Ecco come è cominciata, in seguito l’idea si è evoluta in riflessioni più complesse sulle famiglie e i legami di sangue; ed ecco che hai a che fare con famiglie miste in cui uno dei membri è un’astronave in grado di vivere per centinaia di anni…

Cos’ha portato di nuovo Aliette De Bodard nella Fantascienza anglo-americana? Secondo te come si sta evolvendo questo panorama letterario?

Sinceramente non ho idea di cosa io abbia portato a questo genere letterario! È alquanto difficile da valutare…. Penso che il campo della Fantascienza sia in continua evoluzione e sempre aperto all’influsso di nuove idee e di nuovi autori: stiamo osservando molta più diversità oggi, grazie al successo di gente come Ken Liu, John Chu, etc. Accade lentamente, ma accade.

Hai dei suggerimenti da dare agli scrittori non di lingua inglese che vogliono conquistare il mercato americano?

Con l’avvertimento, però, che si tratta del suggerimento che avrei voluto avere io quando ho cominciato, anzichè di una sorta di verità da vangelo, valida per tutti… Penso che la prima cosa da fare sia rendersi conto di non essere soli e che c’è qualcun altro per cui l’inglese non è la prima lingua, o che non vive nell’occidente anglofono. Il “World SF Blog”, purtroppo, è morto, ma esiste ancora la collana “The Apex World Book of SF” (sono già usciti tre volumi ed è previsto anche un quarto): è possibile farsi un’idea di chi altro lavora in questo genere letterario e di cosa stia facendo.

L’altra osservazione è che con l’avvento di internet, esistono molte risorse online, dai suggerimenti degli scrittori ai gruppi di critica: consiglierei gli “Online Writing Workshop”, che mi hanno inculcato un sacco di cose importanti… E poi, ovviamente, è sempre possibile connettersi alle persone attraverso i social network; generalmente gli autori sono facilmente avvicinabili.

Raccontaci dei tuoi progetti futuri. Cosa stai preparando ai tuoi lettori?

Il mio romanzo The House of Shattered Wings, ambientato in una Parigi devastata e governata dagli angeli decaduti, uscirà ad agosto per Gollancz (UK/Commonwealth) e Roc (US). È stata davvero una questione di cuore, un omaggio a un libro del diciannovesimo secolo che avevo letto da bambina, la raccolta di fiabe vietnamite di mia nonna, e al fantasy epico di quando ero una teenager–mi sono divertita molto a scriverlo e spero che anche ai lettori ne apprezzino la lettura!