King of Ashes, di Raymond E. Feist – A volte non ritornano

Probabilmente tutti o quasi gli amanti del fantasy hanno letto o sentito parlare di Raymond E. Feist, l’autore, statunitense, della Riftwar Saga, composta da una trentina di romanzi, di cui solo sei sono stati tradotti in Italia, e nemmeno nell’ordine corretto di pubblicazione. Il più famoso, Magician, che dà il via alla serie, risale al 1982 e in Italia è stato pubblicato dalla Nord nel 1992 col titolo Il Signore della Magia. È un librone di oltre 700 pagine pieno di incantesimi, elfi e avventura, che seppe distinguersi per alcune soluzioni originali e non propriamente fantasy, quali un’invasione da parte di creature provenienti da un’altra dimensione. In un giorno qualsiasi, un giovane orfanello (il fantasy è pieno di orfanelli destinati a grandi cose) finisce nella dimora di un potente mago con la lunga barba, che vive con un piccolo drago domestico, e la sua vita non sarà più la stessa. Pug, l’orfanello, entra nella storia del fantasy e nel cuore di molti lettori, che ancora leggono e recensiscono le sue avventure. In trenta libri, Feist cambia spesso i protagonisti, ogni tanto facendo ritrovare gli eroi dei primi romanzi, e quasi sempre costruendo storie di formazione, in cui, se forse non troviamo il realismo e la profondità psicologica di una Robin Hobb o un George RR Martin, possiamo stare tranquilli che non mancano sortilegi, terre fantastiche e sense of wonder.

A 36 anni da Magician, Feist torna con un romanzo, King of Ashes, che è il primo di una nuova trilogia, The Firemane Saga, ambientata in un universo diverso da quello che lo ha reso famoso. Ma state attenti, avverte l’autore in diverse interviste, perché questo è molto diverso dai libri che i suoi fan sono abituati ad aspettarsi da lui: King of Ashes dovrebbe essere, nelle intenzioni, più vicino al gusto dei lettori di oggi e vi troveremo dunque solo protagonisti umani (niente elfi, niente orchi, niente di niente) e la magia sarà qualcosa di più sottile e meno protagonista rispetto alla Riftwar Saga. D’altra parte, dopo George RR Martin il fantasy non è stato più lo stesso e gli autori di oggi sembrano spesso imbarazzati nel ricorrere agli elementi più classici del genere. Ci vuole originalità e realismo, magari anche un po’ di sangue e di sesso, perché il grimdark, almeno nei paesi di lingua inglese, è il genere più gettonato e meglio recensito. Così, vinta dalla curiosità, mi sono letta King of Ashes. Infondo, non rimpiangevo la caratterizzazione un po’ naive dei personaggi di Feist e se questo ormai provato scrittore avesse saputo coniugare la sua indiscutibile fantasia con un maggiore realismo, avrebbe potuto uscirne un ottimo romanzo.

Non è stato così. Quello ho letto non è l’autore che conoscevo. Raymond E. Feist non è tornato.

In poche parole, King of Ashes è una storia di intrighi di potere alla George RR Martin e, come c’era da aspettarsi, è anche un romanzo di formazione, che vede protagonisti principali un giovane principe, Hatu, scampato al massacro della sua famiglia quando era ancora in fasce e cresciuto presso una specie di nazione fantasma, fatta di spie e di sicari, e un giovane fabbro, anche lui orfano (il fantasy, oltre a essere pieno di orfani è pieno anche di giovani fabbri, orfani, destinati a grandi cose), di nome Declan. Le loro vite si incroceranno, naturalmente, ma c’è un po’ da aspettare. Come promesso, delle magie e dagli elementi fantastici che hanno caratterizzato le opere precedenti di questo scrittore, non si trova nulla. Feist si è evidentemente fatto condizionare dal grimdark, senza farsi convincere del tutto, e invece di prendere il meglio dei due generi, ha preso il “peggio”. L’autore rinuncia al fantastico, ma non offre quello sfaccettato approfondimento psicologico tipico del migliore grimdark, presentando dei personaggi stereotipati, assolutamente classici (sia Declan che Hatu sono due tipici bravi ragazzi della porta accanto) e francamente noiosi.

Sforzandosi di pagare pegno al grimdark, inoltre, Feist aggiunge un po’ di riferimenti al sesso, propinandoci però dei romance prevedibili e dal sapore stranamente young adult. L’impronta di George RR Martin è evidente in tutta l’impostazione del romanzo, ma è altresì evidente che Feist non è Martin e quindi si cimenta con un realismo e degli intrighi che non gli sono naturali, sacrificando il suo pezzo forte: il sense of wonder. Non so quante pagine vengano dedicate alle discussioni tra fabbri (perché Declan è un fabbro, nel caso al lettore non fosse chiaro), ma sono tante. Così tante che a un certo punto le ho saltate senza aver perso nulla della trama. Di contro, la vita di Hatu, cresciuto tra gli assassini, poteva essere se non originale per lo meno intrigante, ma la società fantasma dove cresce il principe senza regno resta nebulosa (non per niente si chiama, in originale, “Quelli Nascosti”) e senza forma. Non ho trovato dialoghi interessanti né un ritmo narrativo che mi spingesse a voltare pagina. Ho trovato invece dei personaggi secondari dimenticabili e già dimenticati, e troppi cliché in un’opera che ripropone il vecchio fantasy, ma senza fantasy.

Addio ai troll sotto i ponti e agli esseri fatati nei boschi, qui ci sono solo campagne piene di contadini (ovviamente) e viaggi privi d’incanto. E allora ridateci i saggi maghi col cappello a punta e ridateci gli elfi! Non tutti sono George RR Martin e forse non tutti dovrebbero esserlo. E per un Joe Abercrombie che scrive meraviglie, vi sono tanti scrittori di grimdark mediocri, che sostituiscono la fantasia con la violenza gratuita e i personaggi sfaccettati e imperfetti con i sociopatici fini a se stessi. Non è facile essere cattivi, e non è facile, soprattutto, scrivere senza ascoltare la propria natura. Attualizzare il fantasy non significa per forza togliere l’elemento fantastico, altrimenti che fantasy è?

Il successo di autori emergenti come Nicholas Eames dovrebbe far riflettere: Eames, che non è Tolkien e non è Martin, ha pagato sì pegno al fantasy più disincantato di oggi, presentando un romanzo di eroi invecchiati e nostalgici (Kings of the Wyld, pubblicato dalla Nord come I guerrieri di Wyld), ma lo ha infarcito, abilmente, di sense of wonder, mostri e magie di ogni tipo. Sul piccolo schermo vedremo prossimamente delle serie tratte dalla Ruota del Tempo di Robert Jordan e da quella di Geralt di Rivia di Sapkowski, quindi high fantasy e sword & sorcery nel più alto senso del termine ed è in programma nientemeno che una serie prequel del Signore degli Anelli. E poi diciamolo, nemmeno lo spietato George RR Martin è riuscito a fare a meno dei draghi e degli “zombie”. Evidentemente il fantasy ha ancora bisogno di fantasia. Non c’è nulla di cui vergognarsi.