La fantascienza di Fredric Brown

Gli storici curatori di Urania Carlo Fruttero e Franco Lucentini lo hanno definito il “massimo specialista dell’assurdo”. Un altro curatore di Urania, Giuseppe Lippi, in tempi assai più recenti ha invece definito Fredric Brown il “genio paradossale della fantascienza e del giallo”.

Scrittore ben più prolifico nella pubblicazione di romanzi gialli, Fredric Brown (1906-1972) ha scritto soltanto cinque romanzi di fantascienza e poco più di un centinaio di racconti dello stesso genere. Sia nei racconti che nei romanzi, Brown si contraddistingue per la sua brevità fulminante.

Fredric Brown è un autore che ha saputo conquistare l’immaginario di milioni di lettori e lettrici a livello mondiale. Se egli avesse una tecnica segreta e infallibile per fare breccia nei cuori degli appassionati non è dato saperlo, fatto sta che riusciva a metter su delle storie pressoché perfette, semplici ed efficaci oltre ogni dire.

Il suo primo romanzo di fantascienza è stato pubblicato nel 1949 e si intitola Assurdo universo (What Mad Universe). Assurdo universo è un libro dallo stile impeccabile. Pochi romanzi riescono ad attrarre così magneticamente sin dalla prima pagina, con alte dosi di fantasia, mistero, meraviglia e tanto, tanto divertimento.

Al di là della fantascienza, l’intera opera è una pietra miliare della letteratura dell’assurdo. Per rendere più chiaro il concetto basta descrivere la trama. Keith, il protagonista di questa storia bizzarra, è, neanche a dirlo, uno scrittore di fantascienza. Sfortuna vuole che il malcapitato venga colpito da un razzo spaziale in caduta. Dopo l’impatto, lui è l’unico sopravvissuto fra le persone che erano presenti nella struttura colpita dal razzo. Ma a pochi passi da lì iniziano ad avvenire cose strane, una serie di fatti assurdi che saranno spiegati solo alla fine del libro. I guai iniziano quando Keith entra in un negozio e, tirata fuori una moneta da mezzo dollaro, viene accusato di essere una “spia arturana”, cosicché da quel momento diventerà un ricercato e sarà costretto a scappare da qualcosa di assolutamente incomprensibile. Il tutto si svolge in un’atmosfera ampiamente fantascientifica ma in generale la storia è impostata come un libro giallo, con una serie di fatti inspiegabili e un mistero da risolvere. Il protagonista si improvvisa detective di sé stesso e fa di tutto, tra una fuga e l’altra dai folli agenti interplanetari che gli danno la caccia, per capire cosa diavolo abbia cambiato il suo mondo e con esso la sua vita.

Come già detto, i pochi romanzi di fantascienza scritti dal signor Brown si contano sulle dita di una mano, e Assurdo universo ne è la punta di diamante.

Nel 1953 è stato pubblicato il romanzo Progetto Giove (The Lights in the Sky Are Stars). È la storia di Max Andrews, un tecnico dei razzi che all’età di cinquantasette anni sogna di vedere l’uomo su Giove dopo il già effettuato sbarco sulla Luna. Max Andrews è un ex astronauta che ha dovuto interrompere la sua carriera a causa di un grave infortunio. Sogna le stelle e ha la volontà e la determinazione per far compiere alla specie umana un piccolo passo verso di esse, e quel piccolo passo si chiama Giove. Max si muove sia dal punto di vista politico che tecnico per raggiungere il suo obiettivo. Il suo primo passo è far approvare il progetto al governo americano, il secondo passo consiste nel guidare il progetto stesso. Max è un uomo che non crede nelle barriere (fisiche o concettuali), un uomo a cui la relatività «fa arrabbiare perché cerca di porre dei limiti» alla velocità dei razzi spaziali.

Il romanzo è narrato in prima persona ed è lo stesso tecnico dei razzi a dire che «in alto, molto più in alto» brillano «le luci del cielo che sono stelle. Dicono che non le raggiungeremo mai perché sono troppo lontane: è una bugia. Ci andremo. E se i razzi non basteranno, qualcosa salterà fuori».

Nel futuro 1997 di Progetto Giove l’uomo è riuscito ad andare persino su Marte e su Venere, in quelli che Max Andrews definisce i «gloriosi anni Sessanta»: una mezza profezia da parte dell’autore, visto che proprio negli anni Sessanta l’umanità ha messo piede sulla Luna. Dopo gli sbarchi su Marte e su Venere, però, nel futuro qui immaginato, all’uomo è mancato il coraggio, e con esso la voglia di sognare le stelle. Un’altra profezia, questa, ben più vicina a quella che è ormai la cruda realtà visto che dopo l’allunaggio del 1969 l’uomo non ha più messo piede su nessun altro suolo extraterrestre.

Oggi il sogno aerospaziale risiede ancora dentro molti di noi tale e quale a cinquanta o sessanta anni fa e non può che essere rappresentato dalla figura di Max Andrews, uomo a cui brillano gli occhi ogni volta che alza lo sguardo verso il cielo stellato, un uomo assetato di meraviglie e di miracoli come un ragazzino perché, sebbene abbia cinquantasette anni, i suoi occhi sono quelli vivaci di un fanciullo. Il piccolo Max non ha mai smesso di sognare. E non dovremmo farlo nemmeno noi.

Al sogno aerospaziale di Max si contrappone quello mistico di M’bassi, suo caro amico, con il quale il tecnico dei razzi si ritrova a compiere dialoghi surreali. Secondo M’bassi esiste una forma di propulsione interstellare nascosta nella mente. Mentre per Max la chiave della conquista dello spazio è la ricerca scientifica, per M’bassi lo è invece quella spirituale e a tal proposito pratica da anni varie forme di meditazione (spesso e volentieri coadiuvata dall’uso di droghe).

Come spesso accade nei romanzi di Fredric Brown, anche il protagonista di Progetto Giove è un lettore di libri di fantascienza e l’autore sfrutta questa qualità per ricordare che l’eroe marziano John Carter di Marte, protagonista della famosa saga di Edgar Rice Burroughs, si ritrova sul pianeta Marte dopo averlo fissato nel cielo desiderandolo intensamente. Secondo M’bassi, in maniera ben più complessa, ci sarebbe la possibilità di compiere lunghi viaggi interplanetari così come fece John Carter. Perché «l’uomo è un grumo di materia in cui è imprigionata una mente. Ma se il corpo può trasportare le mente», chissà che non possa «avvenire il contrario, e il corpo essere trasportato alla velocità del pensiero».

La varietà e la ricchezza di contenuti differenziano Progetto Giove dalle altre opere fantascientifiche di Fredric Brown. In questo romanzo Brown si prende molto sul serio, emozionando più che divertire. Dopo aver letto Progetto Giove si ha come l’impressione che questa sia l’unica opera dell’autore scritta “a caldo”, con sentimento, e addirittura con dolore. O forse è l’unica opera che esprime esplicitamente le emozioni che si celano dietro tutti i suoi piccoli romanzi e che si nascondono nei cuori degli innumerevoli lettori che hanno ammirato i lavori di Fredric.

I temi trattati in Progetto Giove sono i temi fondamentali dell’umanità. Tra questi la curiosità (intesa come qualità tipicamente umana) e l’inventiva, caratteristiche che – si dice nel libro – permetteranno all’uomo di «raggiungere le stelle in questo millennio». Dov’era invece l’umanità all’inizio del millennio precedente? Si chiede Max. «A combattere assurde crociate con archi e frecce. Tuttavia, prima che il millennio fosse terminato aveva lasciato la Terra e si era spinta sui pianeti vicini. Dove sarà l’uomo fra altri mille anni?»

La religione e l’esistenzialismo fanno anch’essi la loro parte nella storia, soprattutto attraverso i dialoghi con M’bassi, come già accennato. L’amore tra Max e la sua prediletta, dal notevole impatto emotivo, finisce col rendere l’opera più che completa.

Un altro romanzo di fantascienza di Fredric Brown è Marziani, andate a casa! (Martians, Go Home) del 1955, nel quale i marziani invadono la Terra. Detto così sembra la solita invasione aliena, ma lo scopo dei marziani, in questo caso, non è sottometterci, anzi sono del tutto disarmati. Ogni tentativo di instaurare con loro rapporti di amicizia risulta vano perché in realtà gli alieni sono venuti sul nostro pianeta per darci fastidio. Ebbene sì. Urlano mentre parliamo al telefono, ci deconcentrano mentre studiamo, ci coprono la visuale mentre guardiamo la tv, ci provocano di continuo cercando di litigare… A causa del loro umorismo infantile l’intero pianeta viene portato sull’orlo di una crisi di nervi.

In questo romanzo Fredric Brown ironizza su una possibile invasione aliena e lo fa in modo del tutto particolare. Perché i marziani sono così dispettosi? Se hanno una civiltà molto più antica della nostra, come mai pensano solo a sghignazzare e a rompere le scatole al prossimo? Che il picco della civiltà comporti proprio la consapevolezza che la vita non vada presa troppo sul serio? L’ironia è segno di saggezza? O magari quei piccoli omini verdi sono semplicemente svalvolati? Insomma, tra una risata e l’altra, chi legge si pone un sacco di domande e solo nel finale rocambolesco i pezzi tornano insieme.

Come di consueto, Fredric Brown tira fuori dal cilindro una storia divertente e intelligente. In poco meno di duecento pagine succede di tutto e di più, dall’inizio in cui i marziani spuntano nelle abitazioni come funghi fino al finale sorprendente.

È invece del 1957 Il vagabondo dello spazio (Rogue in Space), romanzo frutto della rielaborazione di due racconti: “Gateway to Darkness” del novembre 1949 (pubblicato in italiano col titolo “Fuga nel buio”) e “Gateway to Glory” dell’ottobre 1950.

Forse Il vagabondo dello spazio non è il romanzo più famoso di Fredric Brown, ma stiamo comunque parlando di un libro niente affatto da buttare che, come per altre opere dell’autore, arriva subito al sodo, fa alzare ogni tanto gli occhi dalle pagine pensando “ma che assurdità sto leggendo?”, ed è dannatamente breve ma ricco di interessanti particolari.

Protagonista della vicenda è un contrabbandiere di nome Crag, un vero duro ma non uno spaccone. Diciamo che adora le risse e il pericolo ma tende a farsi i fatti suoi. Sfortuna vuole che un bel giorno qualcuno lo incastra, rifilandogli un pacchetto di sigarette che in realtà contiene un certo quantitativo di una pericolosissima droga chiamata nephtin. Da quel momento si scatenano curiosi accadimenti che si incrociano, stranamente, con un asteroide intelligente catapultato nel Sistema solare dopo che ha percorso miliardi di anni luce.

Ebbene, va detto chiaramente e senza vergogna che Il vagabondo dello spazio è un libro di pura evasione. C’è del male in questo? Assolutamente no, anzi il divertimento è spesso la più pura manifestazione della creatività. E Brown ne sapeva regalare tanto, di divertimento, un fatto valido anche per il caso in questione.

Al centro della storia, abbiamo detto, c’è un certo personaggio di nome Crag. Un uomo disadattato, in conflitto con il mondo, che ha una specie di superpotere: una mano bionica che usa con parsimonia per non dare nell’occhio. Ora, che cosa c’entra Crag con un asteroide intelligente lo può sapere solo chi ha letto il libro. Ma una cosa è certa: tra viaggi interplanetari, incontri bizzarri e futuristiche invenzioni, trafficando nei peggiori bar del Sistema solare e facendo volentieri una scazzottata, si muove un personaggio unico che avrebbe potuto anche dare vita a una serie di romanzi a lui dedicata.

Gli strani suicidi di Bartlesville (The Mind Thing) del 1961 è l’ultimo romanzo in ordine di tempo pubblicato da Fredric Brown. È la storia di una piccola cittadina americana dove si susseguono una serie di suicidi apparentemente inspiegabili. La polizia tende a metterci subito una pietra sopra ma il caso vuole che un cane si suicidi proprio finendo sotto la macchina di uno scienziato capitato lì per passare le vacanze. Lo spirito di ricerca di quest’uomo lo porta a indagare sulla misteriosa serie di suicidi.

In Assurdo Universo si viene più facilmente catturati dalla trama perché caratterizzata da un intenso mistero di fondo che chi legge muore dalla voglia di scoprire. In Gli strani suicidi di Bartlesville invece la causa di tutti quei suicidi viene svelata sin dalle prime pagine, eppure non si riesce lo stesso a staccare gli occhi dal libro, spinti dalla curiosità di vedere come i personaggi riescano a risolvere un caso apparentemente impossibile perché davvero troppo assurdo.

In quasi tutti i suoi romanzi di genere fantascientifico (quattro su cinque), Fredric Brown inserisce un personaggio appassionato di fantascienza. In Assurdo universo e Marziani, andate a casa! abbiamo uno scrittore di fantascienza come protagonista, in Gli strani suicidi di Bartlesville e Progetto Giove invece troviamo un’appassionata lettrice e un appassionato lettore di fantascienza fra i personaggi principali. Cosa vuole dire Brown inserendo questi “fantascienziati” nella storia? E sempre con ruoli di protagonista o comunque importanti? Probabilmente intende dire che nessuno, meglio di un lettore o di uno scrittore di fantascienza, abituati a leggere e scrivere cose che voi umani non potreste neanche immaginare, può affrontare, risolvere o nell’estremo dei casi scatenare situazioni paradossali o straordinarie. È il potere immaginativo (inteso anche come realizzativo attraverso l’immaginazione) della mente che sembra essere al centro di tutti i romanzi di Fredric Brown. A chi dice che la fantascienza sia demenziale, Brown risponde tramite Max, il protagonista di Progetto Giove, che se qualcosa «ti fa desiderare di raggiungere le stelle, allora ti fa bene».

Un altro fattore che tutte le opere di Brown hanno in comune è lo stile narrativo. Senza dubbio la scrittura di Brown è caratterizzata da una perfezione e una pulizia con pochi eguali. Nelle sue narrazioni i dettagli inutili sono inesistenti e le storie arrivano subito al dunque senza perdersi in chiacchiere introduttive: i romanzi di questo acclamatissimo autore iniziano sempre col botto, cosa che contraddistingue spesso i più grandi libri conosciuti.

Non dimentichiamo che se è vero che Fredric Brown ha scritto pochi romanzi di fantascienza, è anche vero che ha pubblicato un centinaio di racconti dello stesso genere, tutti molto brevi. In Italia i racconti di Brown sono stati raccolti nella famosa coppia di antologie chiamata Cosmolinea. I Cosmolinea si distinguono in Cosmolinea B-1 (racconti dal 1941 al 1950) e Cosmolinea B-2 (racconti dal 1951 al 1973).

Cosmolinea B-1 contiene la maggior parte dei racconti lunghi scritti da Fredric Brown, noto però soprattutto per la sua eccellente bravura nei racconti molto brevi. Ma al contrario di quanto si ritiene comunemente, i racconti lunghi di Fredric Brown sono assai ben costruiti. Si citi fra i tanti (troppi per elencarli tutti) “L’angelico lombrico” del lontano 1943, che ha dato il titolo a una piccola antologia di Brown pubblicata su Urania. Per non parlare del racconto “Il duello”, inserito nella storica antologia Le meraviglie del possibile e portato in televisione con l’episodio di Star Trek intitolato “Arena”.

Cosmolinea B-2 ha invece una dimensione assai ridotta rispetto al primo volume eppure comprende ben 78 racconti contro i 34 del libro precedente. È in questa fase della sua vita che lo scrittore americano sviluppa il suo talento per la narrativa breve, anzi brevissima visto che molte storie non superano le due o tre pagine di lunghezza.

Cosmolinea B-2 ospita senz’altro il Brown più maturo, ed è caratterizzato da un’alta concentrazione di piccoli capolavori, basti pensare a “Sentinella” o “Margherite” o “La risposta”, lampi di lettura ma anche lampi di genio, destinati a conquistare le generazioni future chissà per quanto altro tempo ancora.

Una serie non indifferente di racconti è stata scritta a quattro mani con Mack Reynolds, e chi conosce questo autore sa benissimo che era egli un altro maestro della narrativa breve e umoristica. Perché sì, lo stesso Fredric Brown rende evidente nei suoi innumerevoli racconti l’impronta umoristica, ironica, e non di rado cinica, della sua macchina da scrivere.

Cosmolinea B è conosciuta come l’antologia fantascientifica di Fredric Brown, e anche se è pur vero che la maggior parte dei suoi racconti nei Cosmolinea appartengono alla fantascienza, non lo sono proprio tutti. Un numero esiguo e tuttavia non trascurabile di storie rientra nel fantastico al di fuori della science fiction, e ruota spesso attorno all’idea di solipsismo, quello strano concetto secondo il quale alcune persone fuori di testa ritengono che tutto ciò che li circonda esiste perché sono loro a immaginarlo.

L’innegabile ruolo di pilastro che le opere di Fredric Brown svolgono nella fantascienza classica insieme alle opere di altri autori suoi contemporanei non lo esenta da qualche critica. Mentre i suoi romanzi di fantascienza fanno tutti centro, le sue short story lasciano a volte a desiderare. Questo perché il maestro dell’assurdo era pur sempre un essere umano e doveva sottostare, come tutti gli esseri umani come lui, alle leggi della statistica: i romanzi di fantascienza che ha scritto sono solo cinque, i racconti più di cento.

Cosa aspettarsi dunque dai rinomati Cosmolinea? Innanzitutto un mucchio di divertimento. In secondo luogo, uno slegarsi dalle leggi di una realtà che può essere reinventata, per poi riprendere le nostre vite con un senso di leggerezza psico-fisica che sembra di poter andare sulla Luna spiccando un balzo. Terzo, una valanga di fantascienza pura e cristallina.