La trilogia degli illuminati, di R. A. Wilson e Robert Shea

L’esimio professor Umberto Rossi mi ha cortesemente chiesto se mi interessava un saggio sulla trilogia degli Illuminati. Come dir di no? Impossibile. Non sarà fantascienza ma poco ci manca, e negli anni settanta e ottanta la trilogia faceva bella mostra assieme agli altri prodotti del genere negli scaffali delle librerie. E poi, non potevo privarvi di questo articolo così gustoso ed erudito. Buon divertimento!

La trilogia degli Illuminati, di R.A. Wilson e Robert Shea (1975), composta da L’occhio nella piramide, La mela d’oro, Il Leviatano (Shake, 1995, 1997 e 2000)

Io stimo Robert Anton Wilson e il suo socio Robert Shea perché sono due persone oneste. L’hanno detto, ai lettori della loro Trilogia degli Illuminati, chiaramente, senz’ombra di dubbio: il loro è l’equivalente librario di un B-movie. E’ un B-book. Basta leggere cosa scrivono nel primo tomo della trilogia, L’occhio nella piramide.

Gli autori sono completamente incompetenti – assolutamente nessun senso dello stile o della      struttura. Comincia come un giallo, passa alla fantascienza, poi si perde nel soprannaturale,            ed è pieno delle più dettagliate informazioni su dozzine di argomenti orrendamente noiosi. E la sequenza degli avvenimenti è completamente in disordine, in una pretenziosa imitazione di Faulkner e Joyce. Ancora peggio, ha le scene di sesso più indecenti, buttate lì soltanto per vendere, sono sicuro, e gli autori – che io non ho mai sentito nominare – hanno il supremo  cattivo gusto di introdurre vere figure politiche in questo miscuglio e fingere di star  rivelando un vero complotto. (238)

Ecco, la parola magica è l’ultima. C’è un complotto! Oggi quella del complottista è quasi una professione: gente invitata a talk show e programmi d’informazione (o deformazione, a seconda dei punti di vista) a spiegarci che non è stato Oswald a sparare a Kennedy, che l’11 settembre è stata una colossale messa in scena, che in Italia comanda la Massoneria (ammazza che scoperta…), che a Roswell è successo di tutto e il presidente degli Stati Uniti sa la verità. Per non parlare delle malefatte dell’Unione Europea, del Gruppo Bilderberg, del Fondo Monetario Internazionale, ecc. Però, anche se questo romanzo da noi comincia ad arrivare alla metà degli anni Novanta, quando il terreno era già stato dissodato da X-Files (forse qualcuno rabbrividirà a sentirsi dire che il primo episodio della serie venne trasmesso ventun anni fa!) e dai saggi di Maurizio Blondet (solo che lui è convinto di non star scrivendo fantascienza), dovremmo fare un piccolo sforzo immaginativo e ricordare che l’originale Illuminatus! Trilogy uscì in America nel 1975.

Fate mente locale: andavano ancora i pantaloni a zampa d’elefante, la musica del momento era il soul di Berry White (anche nella nostra Italietta), la terza coppa del mondo era di là da venire, la novità del momento non era Internet (ancora chiamata Arpanet e non ancora aperta a tutti) bensì le radio libere con tanto di Eugenio Finardi. Insomma, i favolosi anni Settanta!

Quell’anno cade Saigon, conquistata dall’esercito del Vietnam del Nord, che tornò a essere il Vietnam punto e basta. L’anno prima s’era dovuto dimettere Richard Nixon, travolto dal Watergate. Due anni prima il prezzo del petrolio e dei suoi derivati era schizzato in orbita attorno alla Terra, e l’economia del pianeta aveva dato uno scossone tale da far venire giù le tegole dai tetti. Lou Reed si faceva d’eroina in concerto, il personaggio più rappresentativo dell’epoca sarebbe apparso l’anno dopo, era Travis Bickle, il protagonista di Taxi Driver. Erano anni burrascosi, qui in Italia c’erano bombe frequenti e Brigate Rosse ricorrenti. Oggi fanno notizia quattro vetrine sfasciate, all’epoca a momenti non facevano notizia i morti ammazzati.

Pur con tutte le differenze storiche, è proprio in quel decennio non esattamente felice (che comunque è riuscito a tornare anch’esso di moda) che affiora il fenomeno del complottismo; ma è negli Stati Uniti che ha origine. La storia di questi tre romanzi, o meglio di queste tre parti di un unico strasbordante romanzo, nasce proprio lì, quando due editor di Playboy, per l’appunto Shea e Wilson, dopo aver passato anni a leggere lettere inviate alla rivista da sbroccati di ogni risma che denunciavano i più strampalati complotti (dai Savi di Sion che controllano la finanza mondiale a Hitler nascosto da qualche parte in Sudamerica), decidono di scrivere un romanzo nel quale tutte le teorie complottiste che girano nell’America nixoniana siano semplicemente vere.

Da questa decisione folle, ma a modo suo geniale, nasce la trilogia. Come al solito, un conto è dirlo, un conto è farlo, anche perché i due sono seri. Massoni, rosacroce, templari, la setta degli assassini di Hassan i-Sabbah, Atlantide, poteri paranormali, magia nera e bianca, Aleister Crowley, dischi volanti, tutto deve rientrare nella vicenda, senza escludere niente. L’onnipotente setta degli Illuminati domina la storia umana da prima che iniziasse, quando ancora c’era Atlantide; tutto quel che è accaduto è dovuto in qualche modo a loro, direttamente o indirettamente. Si va fino in fondo nel delirio complottista, senza compromessi, e la vicenda si dipana non solo in diversi continenti, ma anche in territori immaginari come il mare sotterraneo di Valusia o i resti di Atlantide (in fondo all’Atlantico, ovviamente); la scena è affollata anche di delfini (ovviamente intelligenti, e anche poetanti), come pure di creature mostruose (riprese regolarmente da Lovecraft, del quale viene anche ripetutamente citato il Necronomicon, ovviamente scritto dall’arabo pazzo Abdul Alhazred). Insomma, tra l’idea originale e il completamento dei tre romanzi passano quattro anni, dal 1969 al 1973. Poi comincia la ricerca di una casa editrice talmente fuori dai canoni (o talmente pronta a tutto) da pubblicare quel romanzo folle.

Non è solo questione di immaginazione sfrenata. Non è solo questione di avere tra i personaggi il gangster John Dillinger, che non è morto nel 1934 falciato dai colpi dell’FBI, ma è scampato e ora fa parte dei Discordiani, l’organizzazione segreta in lotta contro il complotto di dominio mondiale degli Illuminati. Non basta neanche che Adolf Hitler sia ancora vivo. Oltre a questo ci sono anche numerose scene di sesso senza veli e senza pudori, per di più interrazziale (ancora oggi Hollywood si fa problemi a mostrare una coppia mista, o anche semplicemente una scena di sesso tra persone di diverso colore; figurarsi nel 1973…); ci sono infiniti riferimenti ai tarocchi, alla magia nera, alle teorie esoteriche di Aleister Crowley, al discordianesimo, la strampalata religione inventata da due scrittori satirici americani nel 1965, incentrata sulla dea greca della discordia, Eris (i cui fondamenti sembrano inventati: invece sono spiegati nel saggio Principia Discordia di Malaclypse il giovane e Lord Omar Khayyam Ravenhurst – anche loro scrittori in carne ed ossa, anche se sotto pseudonimo).
Non basta. Shea e Wilson, come ho detto, volevano andare ancora più in fondo nella follia, per cui all’inizio si rifanno alla narrazione non-lineare e sconessa di Vonnegut, l’autore di Mattatoio n. 5, dove si salta da un tempo all’altro senza preavviso; poi, mentre cercano per due anni una casa editrice, s’imbattono nell’Arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon, ed è amore a prima vista. La narrazione labirintica e discontinua del romanzo di Pynchon li affascina a tal punto che rimaneggiano ancora il loro manoscritto, complicandolo ancora di più, per cui si passa non solo da un momento all’altro in modo del tutto non-lineare, ma si salta dalla testa di un personaggio all’altro senza preavviso, senza uno stacco visibile, e spesso in poche righe ci si ritrova in un terzo posto, un terzo tempo, alle prese con un terzo personaggio, e via così.
Sono montagne russe letterarie, è l’ottovolante della narrazione. Sali sul carrello, allacci la cintura, e poi vai dove ti porta il complotto, la cosa migliore è lasciarsi andare e – da veri hippie, gli originali destinatari del romanzo – godersi il trip.

Alla fine della fiera, nel 1975 il romanzo vede la luce, in tre volumi pubblicati lo stesso anno. Non fu un successo travolgente, ma la controcultura lo adottò subito come libro di culto. Shea e Wilson esprimevano, in modo più abbordabile e ridanciano di Pynchon, la stessa diffidenza nei confronti della società americana, la stessa sensazione che tutto ciò che il governo ti racconta sia falso, la stessa convinzione che la verità non è quella che t’insegnano a scuola, che stampano sui giornali, che fanno vedere in televisione. La verità è che Loro (come direbbe Pynchon), gli Illuminati (come fanno vedere Shea e Wilson) hanno in tasca tutti e tutto, che conducono il gioco come pare a loro, che perseguono i loro scopi (segreti) con qualsiasi mezzo (specie quelli violenti e spietati) e non guardano in faccia a nessuno, men che mai a te, fricchettone capelluto e drogato.

Ci si può difendere, però, dicono i due autori e il loro portavoce nel romanzo, lo scienziato, santone, playboy e avventuriero Hagbard Celine, capo dei discordiani: se uno impara a riconoscere le simulazioni e gli inganni degli Illuminati, magari con l’aiuto di certe sostanze che allargano la coscienza (tra cui una varietà particolarmente efficace di hashish), magari seguendo i disorientanti insegnamenti, tra zen e sufismo, di Celine, magari rifugiandosi sul suo inafferrabile sottomarino giallo (c’è anche quello, beatlesiani di tutto il mondo…), magari si riuscirà a sventare il misterioso piano dei padroni del mondo: immanentizzare l’eschaton.
Se non capite di cosa sto parlando, non vi preoccupate. Fin dalle primissime pagine del romanzo, quando due poliziotti newyorchesi indagano su un attentato dinamitardo ai danni di una rivistina underground dalla minuscola circolazione, e sulla sparizione del suo direttore, si cominciano a trovare accenni all’immanentizzazione dell’eschaton. Non è importante sapere di cosa si tratti prima di cominciare a leggere: ma garantisco che è il degno finale di una storia così scombinata e folle.

Infine, un avvertimento: Shea e Wilson non si prendevano del tutto sul serio. La loro intenzione era di far ridere i loro lettori, a differenza dei complottisti di oggi che si prendono tremendamente sul serio, e non hanno mai dubbi sulle loro rivelazioni. Però non è che dietro la loro storia folle e sgangherata non ci sia un messaggio ben preciso: uno strano misto di liberazione sessuale, anti-autoritarismo, individualismo americano di frontiera, e anche una vena di liberismo economico che anticipa gli anni Ottanta e la mitologia di Silicon Valley, con l’etica del piccolo imprenditore che non vuole sottostare allo strapotere delle grandi corporation multinazionali. Insomma, c’è anche il messaggio, sotto sotto. Ma attenzione: da qualche parte ci potrebbe essere anche il fnord.
E quello, se volete sapere cos’è, dovete proprio andarvi a leggere la Trilogia degli Illuminati. Buon viaggio. In tutti i sensi.