Lacrime nella pioggia, di Rosa Montero

E oggi parliamo di un libro spagnolo. Lacrime nella pioggia (Lagrimàs en la lluvia, 2011), della nota giornalista e scrittrice spagnola Rosa Montero, è stato pubblicato nel 2012 da Salani, e mi era decisamente sfuggito. E’ stato un amico collezionista a segnalarmelo, e devo ammettere che il suo consiglio non era fasullo. D’altronde anche negli USA, dove è uscito da poco, il romanzo ha avuto accoglienze  positive e un critico come Norman Spinrad ha speso molte parole di elogio.

Il libro è un chiaro omaggio a Bladerunner di Ridley Scott e al Cacciatore di androidi di Phil Dick (più al film che al romanzo di Dick, in realtà). Lo stesso titolo Lacrime nella pioggia è contenuto, per quei pochi che non lo ricordassero, nella commovente scena verso la fine del film, quando l’ultimo replicante cacciato da Rick Deckard/Harrison Ford, e cioè Roy Batty/Rutger Hauer, recita, prima di lasciarsi cadere nel vuoto: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.

La storia riguarda dunque un mondo diviso tra esseri umani e androidi/replicanti: siamo nella Terra del 2109. I replicanti sono in tutto e per tutto uguali agli esseri umani, tranne per la durata della loro vita, che è stabilita in un termine aleatorio ma vicino ai cinque anni effettivi. Qualche mese prima della scadenza fatale la loro sorte sarà decisa da un inarrestabile e incurabile processo cancerogeno noto come TTT (Tumore Totale Tecno). I replicanti, creati già adulti tramite un complesso meccanismo genetico che ricorda un po’ il classico Torre di cristallo di Robert Silverberg (dove si sviluppavano in “vasche di gestazione”) sono dotati di una memoria fittizia della loro vita pregressa da “artisti informatici”. Gli androidi sono i nuovi schiavi, cui sono riservati i compiuti più duri e pericolosi. Per merito loro e dei loro sacrifici la società umana si è espansa nell’universo: tuttavia, dopo una sanguinosa rivolta, ai replicanti sono stati concessi alcuni diritti e possono vivere una vita più degna di questo nome.

In questo contesto si muove Bruna Husky, detective replicante, aggressiva, solitaria e disadattata, che deve  risolvere un complotto di cui sono vittime alcuni replicanti, casi di morti sospette. Si tratta di casi isolati o non è piuttosto la risposta di una società sempre più ostile e pericolosa? Capirlo è il compito di Bruna Husky: sua unica risorsa, un gruppo di emarginati, capaci di conservare ragione e tenerezza in un mondo soffocato dalla repressione…

“La buona fantascienza e il fantastico letterario mi sembrano due strumenti portentosi per costruire un modello immaginario della nostra vita, capace di rappresentarla in una forma più profonda e molto più creativa del puro realismo. Con questo romanzo ho provato a creare un mondo coerente, poderoso, che si regga da solo davanti ai nostri occhi, un mondo nel quale ci sembri di vivere, che apparentemente non è il nostro ma che ci permette di riflettere su quello in cui viviamo, in una forma più originale e più acuta. Lacrime nella pioggia è un romanzo sulla più grande tragedia dell’essere umano, che è morire presto quando si ama tanto la vita. Questo è ciò che rappresenta Bruna, la mia protagonista: l’ansia di vivere nonostante il grigiore che ci circonda. L’impossibilità di comprendere la morte. E di rassegnarsi. E ciò è comune a tutti gli esseri umani.” Così afferma Rosa Montero in una recente intervista,  ed effettivamente il suo romanzo riesce almeno in parte a raggiungere questo obiettivo, peraltro molto ambizioso.

Lacrime nella pioggia è buona fantascienza, è un bel thriller ed è anche un discreto romanzo di critica sociale. La vicenda si snoda avvincente, con molta azione e molti colpi di scena fino al finale pirotecnico. La Montero si muove abbastanza bene negli schemi della fantascienza tradizionale, anche se forse avrebbe potuto far di meglio nell’introspezione psicologica della protagonista e nel dipingere la complessa disperazione esistenziale che obnubila la vita degli androidi.

D’altronde, come dice anche l’ottimo Spinrad, questo romanzo illumina la mente, tocca il cuore, esplora le relazioni tra la coscienza umana e il mondo/background fisico e  culturale, solleva domande di profondo interesse morale, e lo fa con una vicenda drammatica e narrativamente avvincente, con una finale soddisfacente: cosa si può volere di più?

Un romanzo dunque  valido e consigliabile. Non è un capolavoro, o sarebbe meglio dire “non è il capolavoro che  sarebbe potuto essere”, ma va bene così, soprattutto se pensiamo che  è opera di una scrittrice europea e non anglosassone, chiara dimostrazione che la buona fantascienza non deve per forza arrivare dall’America o dall’Inghilterra.