L’alba di arcadia, di Emanuele Delmiglio

L’Arcadia è una terra idilliaca della mitologia classica, sinonimo per eccellenza di luogo felice dove l’umanità può vivere spensieratamente, contando sui frutti che la natura elargisce con grande generosità. Oppure Arcadia è un sofisticatissimo, avveneristico e ultrasegreto sistema sperimentale di realtà virtuale capace di surrogare in modo permanente il mondo reale con una sua perfetta imitazione, in cui possono realizzarsi fantasie e aspirazioni senza gli oneri ed i vincoli del mondo reale.

Simone D’Ambra era (in un certo qual modo lo è ancora) un adolescente plus-dotato: stroncato da un tumore, la sua entità è stata preservata grazie all’espianto tempestivo, dopo la dichiarazione di morte clinica, della zona cerebrospinale ed il suo interfacciamento con Arcadia. Ufficialmente morto per la legge e privo di ogni diritto, ignaro di tutto egli prosegue la sua esistenza in una realtà che, suo malgrado, dopo un periodo vissuto in totale armonia, diventa progressivamente soffocante e contradittoria.

L’urgenza di una decisione aveva spinto Claudia e Giuseppe, i genitori di Simone, ad    accettare la proposta di partecipazione al progetto Arcadia senza concedere spazio a dubbi e domande: in fin dei conti Simone avrebbe continuato ad esistere, e a loro sarebbe stato concesso di vederlo periodicamente mediante un’interfaccia, seppure col divieto assoluto di interagire con lui per non comprometterne l’equilibrio emotivo in una realtà artefatta.

Ma dubbi e domande, accantonate forzatamente, non tardano a riaffacciarsi alla mente di  Giuseppe quando egli, dopo aver notato diverse incongruenze in Arcadia, tra cui gli evidenti segnali di disagio del figlio, verrà a conoscenza di altri decessi anomali avvenuti fra gli studenti della scuola per plus-dotati frequentata dal Simone, e quando vedrà realizzate e sfruttate commercialmente nel mondo reale una serie di progetti ed idee concepite dagli ospiti del Progetto.

Le indagini riveleranno al padre di Simone l’esistenza di una realtà insospettabile e drammatica in cui, inizialmente solo, avversato perfino dalla moglie, dovrà lottare per liberarsi da una formidabile tela di ragno fatta di pressioni psicologiche, ricatti e minacce, e volta a neutralizzarlo con ogni mezzo…

Accostabile al sottogenere thriller tecnologico “L’Alba di Arcadia” è il romanzo di esordio con cui, con compostezza e pulizia stilistica e con una precisa struttura narrativa, Emanuele Delmiglio si mette in gioco, capitalizzando sia l’esperienza di maturo lettore di fantascienza (inevitabile pensare a “Tunnel sotto il mondo” o all’universo Heechee di Pohl, così come a “Simulacron” di Galouye) che quella perfezionata in qualità di autore di numerosi racconti pubblicati in antologie corali e personali. Delmiglio affida a personaggi ben caratterizzati, in prevalenza gente comune presa dalla tranquilla provincia italiana, l’arduo compito di confrontarsi con una realtà sconvolgente che, fuori da tutti gli schemi della quotidianità, è capace di destabilizzarne irrimediabilmente l’esistenza. Altrettanto valida è l’analisi delle loro reazioni,  dalla succube accettazione di un illusorio stato di felicità alla presa di coscienza che li costringe  a rimettersi drammaticamente in discussione per non essere annichiliti.

L’abominio tecnologico carico di promesse e lusinghe potrebbe, un giorno non lontano, realizzare e nel contempo snaturare alcune delle aspirazioni ancestrali che accompagnano l’umanità. In questo modo la Fonte dell’Eterna Giovinezza (o il Santo Graal) e una vita priva di affanni sarebbero solo l’ennesima esca, l’ultima trovata di marketing con cui i grandi gruppi di interesse economico e finanziario potrebbero blandirci per l’ulttima volta ed impossessarsi definitivamente delle nostre esistenze senza alcuna via di scampo. Ma è davvero questo il severo monito affidato ad un romanzo che, in modo consapevolmente impudente e temerario, potrei definire come un involontario prodromo o anello di congiunzione postumo tra la Fantascienza tradizionale ed il Cyberpunk? Oppure, a ben vedere, questo futuro non inverosimile, propostoci da Emanuele Delmiglio, altro non è che l’amara allegoria della nostra odierna prigionia in una realtà illusoria che, bombardandoci incessantemente con vacui significanti di libertà, progresso, abbondanza e felicità, ci inebria e ci confonde mentre, già da tempo, pervade, forse irrimediabilmente, le nostre vite?

Marco Corda