L’araldo della tempesta, di Richard Ford

L’araldo della tempesta ( Fanucci editore, 2014, pag.576, trad. Gabriele Giorgi, prezzo 20euro, al momento scontati a 15) è il primo capitolo della saga di Steelhaven, avviata con successo dall’autore Richard Ford, scrittore di fantasy e steampunk originario dello Yorkshire. Il libro comincia con lo sbarco a Steelhaven di Massoum, un araldo orientale di nobili origini caduto in disgrazia per motivi banali e che ora deve fare i conti con la fame e la paura, finché una notte gli vengono offerte ricchezze immense per portare in città una borsa di cuoio dal contenuto misterioso e dal valore inimmaginabile. Al suo arrivo assapora da subito il minaccioso benvenuto di quella sudicia metropoli, nota per “i pericoli delle sue viuzze tortuose, la mancanza di cultura, i modi barbari e l’alito fetido dei suoi abitanti. Per non parlare del cibo insipido e dell’ostinazione a tracannare birra fino a vomitare”. Parallelamente a questa, si dipanano altre sette storie con i loro protagonisti: Nobul il fabbro, Merrick il truffatore, Cencio la ladruncola, Waylian l’apprendista mago, Rio l’assassino, Kaira la sacerdotessa guerriera e Janessa l’erede al trono di Steelhaven. Un quadro a tinte cupe quello dipinto da Richard Ford, un mosaico di personaggi e vicende delineati con grande precisione e definiti con una forza stilistica che non passerà di certo inosservata agli amanti di J.Abercrombie, A. Lanzetta e G.R.R. Martin. Ognuno dei protagonisti è paragonabile ad una pennellata sulla tela di un pittore, i cui tratti di colore sono netti e taglienti come lame affilate. Steelhaven è simbolo assoluto del degrado umano, dove la melma che inzacchera i piedi dei passanti corrompe irrimediabilmente i loro cuori e l’olezzo putrido della violenza ne colma i polmoni e ne invade l’anima, imponendosi come condizione normale e troppo spesso necessaria per la sopravvivenza “ Lo osservò soffocare lentamente nel suo stesso sangue, beandosi di quella vista, gustandola, assaporandola come un ottimo vino”. La crudezza del linguaggio e lo stile aspro e diretto dell’autore è riflesso nitido della durezza della realtà descritta. Vite e vicende apparentemente incompatibili s’intrecciano a sorpresa, tracciando trame di un tessuto compatto e mai scontato, in cui il costante scontro tra il desiderio di riscatto e la tentazione della violenza come arma comoda e immediata crea movimenti sinuosi e accattivanti sulla linea della narrazione. Sebbene l’atmosfera di fondo sia pesante e univocamente legata ad un mondo marcio, corrotto e maleodorante ( e non a caso questi termini con i relativi sinonimi ricorrono quasi una novantina di volte nel corso della lettura ), il filo conduttore che accomuna storie in apparenza molto lontane tra loro è la ricerca disperata di affrancamento da una situazione di degrado materiale o morale ( è il caso di Massoum, Nobul, Cencio, Rio, Merrick, Waylian ) o ancora riscatto da una vita ricca, ma mediocre e senza prospettive ( Janessa ), o da un’esistenza rigida e sottomessa ( Kaira ). Il linguaggio usato, spesso intenzionalmente arido, rimane freddo e privo di sfumature anche quando l’immaginazione del lettore potrebbe indugiare su una parvenza di romanticismo, puntualmente affrontato nella sua forma più concreta e nella sua essenzialità, e quindi scevro da ogni digressione sensuale e poetica. Nel mondo crudele e minaccioso di Steelhaven gli unici punti di luce, picchi convergenti di un’esigenza catartica di fondo, sono il Tempio dell’Autunno, la vita agiata e noiosa di corte o la severità e il rigido controllo della Torre dei Magistri. Ed è proprio qui che si potrebbe azzardare un appunto a questo libro ricco di suspance e in grado di spingere il lettore a desiderarne inevitabilmente il seguito, e cioè la circoscrizione degli elementi tipici del genere fantastico ad una sola delle otto vicende sviluppate, inducendo ad augurarsi che tale aspetto possa trovare il più ampio spazio che il finale sospeso sottende: la magia permea con l’oscura minaccia di un mago rinnegato gli angoli più bui di un vissuto già tremendamente provato e precario, e incombe su Steelhaven il ritorno di demoni evocati da malvagi detentori di una sapienza antica e solo in parte dimenticata. L’apprendista Waylian e la Strega Rossa si trovano a dover scoprire i retroscena di omicidi misteriosi dall’efferatezza insolita e a dover porre rimedio alla follia e all’arroganza del Malificar Necrus e ai suoi rituali proibiti, volti a riportare sulla terra i mostri dannati domati dal Crogiolo dei Magistri e rinchiusi da secoli in una tomba al centro della città. In ognuna delle storie narrate emerge il sentimento di vendetta, prevaricazione, umiliazione, crudeltà gratuita o per obbligo; la lealtà è un concetto sottovalutato che spicca solo quando si parla delle Vergini guerriere o nel legame padre-figlio ( Rio e il Padre degli assassini ), sebbene circondato da un’aura di inquietante violenza e oppressione. In entrambi i casi, tuttavia, la lealtà viene sublimata in sentimenti ancora più profondi come l’amore e la libertà, in cui può succedere che mondi completamente opposti si incontrino, dando la seppur labile illusione di un vissuto comune. In quest’ottica, anche il tradimento diviene arma di riscatto personale. Caratteristiche indiscusse della trama narrativa sono il realismo, espresso da dialoghi credibili e ben strutturati, il ritmo rapido e la dinamicità elevata: azione, combattimenti, esternazione estrema del proprio valore non smettono mai di sorprendere il lettore. Il sapore amaro che inevitabilmente questo libro trasmette nulla toglie al messaggio che traspare, sebbene soffocato da fango, sangue e sudiciume: si può nascere e si può vivere nella melma, ma ce ne si può affrancare anche se a costo di scelte molto ardue, moralmente accettabili o meno, e con le conseguenze che esse comportano. E a volte il prezzo da pagare è la vita stessa.