Le giungle di Venere, di Elizabeth Bear

Le tigri di palude erano due bugie, sei zampe con artigli, e un numero indiscriminato di enormi denti a sciabola in un corpo di quattrocento chili. Due bugie, perché non vivevano nelle paludi (anche se le attraversavano all’occasione: che cosa su Venere non lo faceva?) e non erano tigri.

(trad. di Antonio Ippolito)

 

Presentazione della Delos Digital:

Le giungle di Venere (The Heart’s Filthy Lesson, 2015) è apparso in origine sulla prestigiosa antologia Old Venus, curata da George R.R. Martin e dal compianto Gardner Dozois, e dedicata a storie di ambientazione venusiana e con uno stile “anni quaranta”. Il titolo originale, per inciso, si rifa a una celebre canzone di David Bowie, personaggio che è ha fatto spesso da trait d’union tra fantascienza e musica rock (basti ricordare la sua interpretazione del celebre film L’uomo che cadde sulla Terra, o brani come Space Oddity o Life on Mars). La storia, narrata con la solita bravura dalla Bear e con un chiaro riferimento alle classiche avventure della grande Leigh Brackett, racconta le avventure di Dharthi, una giovane scienziata, sull’inesplorato continente di Ishtar, coperto di giungle rigogliose e piene di pericoli di ogni genere, come verociraptor venusiani e tigri delle paludi. Addentratasi da sola in questo mondo ancora ignoto alla ricerca di una mitica civiltà estinta da millenni, spinta dal suo animo intrepido e dalla voglia di dimostrare il suo valore ai colleghi dell’università, presto si renderà conto del suo errore e di avere sottovalutato le minacce del pianeta alieno.

 

Questo corposo racconto, firmato dalla talentuosa e prolifica Elizabeth Bear (classe 1971), ha il pregio di immergere il lettore nella “classica” giungla venusiana, umida e soffocante, di coinvolgerlo in rocambolesche avventure nonché di lasciarlo, alla fine, stupito davanti ai resti millenari di una civiltà scomparsa, misteriosa e aliena.

La scrittrice, nativa del Connecticut, riesce perfettamente nell’intento di ricreare le atmosfere tipiche delle avventure dei pulp magazines degli anni ’30 e ’40, mostrandosi degna della penna di maestri come Edgar Rice Burroughs e Leigh Brackett. Qua e là la trama mostra evidenti segni di contemporaneità, impensabili in un lavoro di settanta o ottanta anni fa. Ciò non compromette, comunque, la godibilità dell’opera che, se proprio un difetto si vuole trovare, finisce troppo presto, lasciando il lettore curioso di saperne di più su questa versione alternativa del pianeta gemello della Terra.

Chi scrive si augura che l’antologia Old Venus (Bantam Books, 2015), dalla quale il racconto della Bear è tratto, sia presentata un giorno al pubblico italiano nella sua integrità: oltre alla Bear, si incontrano al suo interno scrittori del calibro di Lavie Tidhar, Paul McAuley, Matthew Hughes, Joe Haldeman, Eleanor Arnason, Mike Resnick, Ian McDonald e Joe R. Lansdale.

Da segnalare che la collana digitale “Biblioteca di un Sole Lontano” arriva con questo titolo al traguardo dei cinquantacinque numeri: un viaggio ricco di emozioni nel meglio della produzione breve di fantascienza che, fin dall’inizio, si è svolto sotto la guida del curatore Sandro Pergameno e con le immancabili copertine dell’artista Tiziano Cremonini. Complimenti per finire al traduttore di turno, il bravo Antonio Ippolito, per una versione italiana scorrevole ma accurata. Buona lettura!

 

Elizabeth BEAR, LE GIUNGLE DI VENERE (The Heart’s Filthy Lesson, 2015), trad. di Antonio Ippolito, Delos Digital, collana Biblioteca di un Sole Lontano (#55), pubblicazione digitale, 2020, prezzo 1,99 €.