L’Italia controstorica di Enrico Brizzi – Parte prima

Ricordate Enrico Brizzi? Enfant prodige delle patrie lettere a soli vent’anni col romanzo adolescenziale Jack Frusciante è uscito dal gruppo, tradotto in ventiquattro lingue e ancora in stampa dopo diciotto anni? Quel Brizzi che poi si fece cannibale con Bastogne? Ebbene, non è sparito, anzi. A mio modesto avviso, è tornato in grande stile con la sua Epopea Fantastorica Italiana. C’è solo un problema (ma non per noi): è una trilogia di romanzi di storia alternativa, quindi in pratica di fantascienza. Cosa che la critica militante, quella che scrive su Repubblica o La Stampa, non pare aver gradito.

D’altronde, si sa che la tradizione critica italiana non è mai stata molto favorevole alle varie declinazioni del fantastico. Dice Valerio Evangelisti che la colpa di questa, come di tante altre deformazioni della nostra cultura nazionale, sarebbe da ascrivere al solito Benedetto Croce. Io non mi pronuncio, ma noto che la trilogia di Brizzi è passata prevalentemente sotto silenzio, e ciò colpisce perché scritta da un autore che al suo esordio era stato protagonista di un caso letterario.

A pensarci meglio può anche darsi che proprio l’exploit dell’opera prima abbia giocato contro lo scrittore bolognese: un po’ perché in Italia il successo non si perdona a nessuno, un po’ perché siamo funestati da un proliferare di Giovani Scrittori che ci illuminano sul Mondo dei Giovani. Si cominciò con Porci con le ali, e oggi, tra Melisse P., Federichi Moccia e anche Paoli Giordano è un’inondazione. Probabilmente Brizzi è stato infilato da molti nello stesso scatolone, e archiviato senza rimpianti.

Ebbene, come ho capito già dopo le fatidiche trenta pagine del primo volume della trilogia, L’inattesa piega degli eventi (Baldini, Castoldi e Dalai, 2008), la pratica relativa all’autore di Jack Frusciante va riaperta: Brizzi ha poco a che fare coi prosatori dell’adolescenza, sia essa felice o infelice, munita o meno di lucchetti. Brizzi è un romanziere che ha padronanza della tecnica, e soprattutto considerevoli doti costruttive. Ma, cosa ancor più sorprendente, il Brizzi di oggi pratica un genere difficile, faticoso e rischioso, e lo pratica maledettamente bene: quello dell’ucronia, o storia alternativa che dir si voglia.

Vogliamo dirla all’inglese? Sarebbe il mondo degli what-if, quei romanzi che ci mostrano come sarebbe stato il mondo se fosse successo qualcosa che non accadde o viceversa. Esempio famoso, L’uomo nell’alto castello di Philip K. Dick (che Fanucci si ostina protervamente a ristampare come La svastica sul sole); ma ce ne sono tanti altri, da Pavana di Keith Roberts (l’invincibile armada riesce a invadere l’Inghilterra nel 1588 e a riportarvi il cattolicesimo) a Il complotto contro l’America di Philip Roth (alle elezioni presidenziali del 1940 Charles Lindbergh batte Roosevelt e mette su un’amministrazione filonazista e antisemita). Nei paesi di lingua inglese è un genere assai praticato, e mi dicono che sia molto popolare anche in Polonia (paese che di fregature dalla storia ne ha avute tante, non sorprende che da quelle parti si voglia leggere di Polonie meno sventurate). Da noi diede gran prova di sé Guido Morselli con Contro-passato prossimo, nel quale sono Germania e impero austro-ungarico a vincere la Grande guerra, risparmiando al mondo nazismo e fascismo…

Ebbene, proprio per questo rischia chi si voglia cimentare nel genere. Bisogna avere ottime cognizioni di storia, bisogna fare ricerche, bisogna avere una certa inventiva, ma anche una ferrea consequenzialità, e alla fine devi essere un signor scrittore perché la concorrenza, come avete visto, non è di quelle che perdonano. Prova ne è il destino di un altro scrittore che tentò di giocarsi la carta del fascismo vincente prima di Brizzi, ovvero Mario Farneti, che nel 2001 pubblicò Occidente(anch’esso primo volume di una trilogia ucronica). Il romanzo uscì per i tipi dell’Editrice Nord, e venne assai strombazzato un articoletto che ne parlava sul Times – quotidiano ormai facente parte dell’impero Murdoch. Occidente era una specie di esaltazione a scoppio ritardato del Duce, che nella storia di Farneti resta neutrale nel 1940 e quindi può serenamente invecchiare come il suo sodale Francisco Franco. A parte che non si capisce come facesse l’Italia alternativa di Farneti a farsi protagonista della politica internazionale, invece di diventare un paese isolato e arretrato come per l’appunto la Spagna franchista, Occidente trovava il suo limite nell’essere il prodotto di un dilettante volenteroso, ma goffo e ben poco dotato (la dice lunga il fatto che fu necessario farne uscire un’edizione riveduta).

Tutt’altra cosa il primo pannello del trittico di Brizzi, L’inattesa piega degli eventi. Prima di tutto la storia s’apre col funerale di Mussolini, che si svolge nel 1960, e già qui lo scrittore bolognese da prova di aver fatto i compiti, e di averli fatti bene, imitando a meraviglia lo stile dei Cinegiornali Luce, e della retorica del regime, ma aggiornando qualche parola qua e là per farci avvertire che non è la vera lingua dei media elettrici del regime, ma la prosopopea nuova di un regime che è arrivato ai media elettronici – cioè alla televisione. La vicenda fa poi un elegante salto nel passato recente, e si concentra sulla figura di Lorenzo Pellegrini, l’io narrante della vicenda, un giovane giornalista sportivo bolognese, donnaiolo e cinico, che finisce nei guai per una tresca colla figlia del suo editore, e viene sbattuto per punizione in Africa Orientale: niente più servizi sulle partite dell’illustre Serie A, ma reportage sulla micragnosa (e ben poco nota in Italia) Serie Africa.

E qui si tocca con mano l’acutezza di Brizzi; il suo mondo alternativo, come ha insegnato il Maestro (Philip K. Dick, ovviamente), non si presenta ai lettori mettendo al centro della scena Mussolini o Italo Balbo o qualche altro Pezzo Grosso. Si segue invece la vita quotidiana di gente qualsiasi. E siccome questa è la storia di un’Italia alternativa ma non troppo, bisogna catturarne lo spirito seguendo la sua grande Ossessione nazionale, cioè il pallone.

La Serie Africa, però, non è solo calcio. Alcune squadre sono tutte bianche, altre miste, alcune sostenute dal governo locale (l’Africa Orientale gode di una formale autonomia dalla madrepatria, ma chi comanda sono gli italiani), altre osteggiate perché amate dai nativi, come il San Giorgio di Addis Abeba, squadra troppo nera per essere apprezzata dai gerarchi del governo postcoloniale… E qui va detto che il Commonwealth italiano affrescato con sicurezza da Brizzi è modellato su quello britannico, con società dove il proletariato è nero e la borghesia dominante è bianca; con lo sport a fare da camera di compensazione, proprio come avvenne nell’Impero Britannico dove cricket, rugby, calcio, polo, badminton erano campi di battaglia sportivi dove andava in scena lo scontro tra colonizzatori e colonizzati (come ci ha insegnato tra gli altri C.L.R. James coi suoi scritti sul cricket).

Attorno alle vicende della scombinata Serie Africa, si dipana una brulicante umanità di calciatori, faccendieri, malavitosi, terroristi, uomini d’affare e malaffare, donne italiche ed etiopiche, musicisti e cantanti, nella società al tempo stesso multiculturale e razzista di un’Addis Abeba mai esistita ma nel complesso stranamente credibile (previo passaggio per un’Asmara più italianizzata, più fascista e sicuramente assai più opprimente). E birra San Giorgio per tutti!

Lorenzo cerca di restare spettatore, di fare semplicemente il suo lavoro e magari, tra una partita e l’altra, di continuare a inanellare conquiste femminili, senza badare tanto alle sfumature di colore delle ragazze che incontra; ma non è affatto facile restare fuori dai giochi, che non sono tutti praticati sui campi regolamentari. Anche perché il distaccato Lorenzo s’imbatte nell’incontrollabile Ermes Cumani, giocatore di talento ma dalla testa completamente matta, invischiato in mille traffici poco chiari ma provvisto di un eccezionale istinto di sopravvivenza (necessario nella nient’affatto pacificata società dell’Africa Orientale, percorsa da scosse alterne di rivolta e repressione). Ermes diventa presto una sorta di alter-ego di Lorenzo, e i due verranno presto trascinati da quella che, più di una piega degli eventi, è in effetti una vera e propria marea, effetto collaterale dell’agonia del Duce, e dello sconquasso di tutti gli equilibri che la sua presenza ha preservato nel regime.

Mi sembra immorale accennare all’amaro e sorprendente finale; aggiungo solo che nelle ucronie è una delle cose più difficili da scrivere, ma che Brizzi se l’è cavata egregiamente, senza scordare che pur avendo evocato un’altra Italia, è a questa Italia che sta raccontando.