Lo hobbit – La desolazione di Smaug

La visione di Lo Hobbit: La desolazione di Smaug fa salire alla mente quei vinai che ti vendono il vino annacquato a prezzo pieno e con una gran faccia tosta. Un libro di trecento pagine non può, non deve essere spalmato in tre film da più di due ore ciascuno. A quel punto le cose sono due: o fai un miracolo e riesci a intrattenere il pubblico spendendo fior fior di milioni e avvalendoti di una squadra di tecnici geneticamente modificati, o allunghi il brodo fino all’inverosimile usando vari stratagemmi.

Primo stratagemma: sommergere gli spettatori di lunghi, lenti e vuoti dialoghi gonfiati a dismisura, facendo parlare i personaggi con parole a caso e lunghi discorsi capaci di far addormentare chiunque. Secondo stratagemma: piazzare duraturi combattimenti ovunque, con teste mozzate, petti trafitti, frecce che schizzano dappertutto, elfi e nani che saltano rotolano nuotano volano piroettano, quindi procedere con l’ammazzare più orchi possibili e facendone comparire e morire a centinaia, perché tanto la gente cosa ne sa di quanti siano veramente, mica gli viene il sospetto che te li stia inventando dal nulla, che li stia facendo proliferare peggio di una fotocopiatrice automatica. Terzo stratagemma: procedere molto lentamente ogni volta che sia possibile, per esempio i personaggi dovrebbero parlare al rallentatore come degli scemi, e usare questo trucchetto soprattutto quando non puoi riempiere i minuti con i combattimenti, perché anche quelli dopo dieci minuti filati finiscono per annoiare. Quarto ed ultimo stratagemma: mostrare durature vedute dei meravigliosi paesaggi della Nuova Zelanda.

Viene inevitabile il paragone con la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. Nella trilogia vincitrice di numerosi premi Oscar abbiamo una compagnia di avventurieri, la Compagnia dell’Anello, molto variegata e composta da diverse razze distinte. In Lo Hobbit la situazione si semplifica visto che la compagnia in avventura è composta solo da nani con l’unica aggiunta di un hobbit “scassinatore”. Ma non è questo il punto. La grande differenza tra le due opere, a parte l’allungamento del brodo appena descritto e il netto divario creativo, è la relativa serietà e credibilità degli eventi narrati. Sia nel primo che nel secondo capitolo di questa trilogia-prequel, manca qualsiasi elemento di drammaticità. Diamine, tra i “buoni” non muore praticamente nessuno, sono invincibili, alla fine tutto fila sempre liscio, non c’è nessun momento strappalacrime o che renda almeno l’idea del sacrificio e della fatica fisica e mentale dei membri della compagnia. In ogni favola che si rispetti è quasi sempre scontato che alla fine il male verrà sconfitto, ma in genere l’alto prezzo pagato per una simile vittoria in termini di sofferenze lascia un sapore amaro che valorizza ancor di più il trionfo finale. Finora il “viaggio inaspettato” di Bilbo Baggins sembra una passeggiata di salute. E la controparte malvagia fa meno paura di Winnie the Pooh. I ripetuti ammiccamenti umoristici, inseriti a scopo di alleggerimento proprio nei momenti che dovrebbero risultare più drammatici o inquietanti, fanno sembrare il tutto una grossolana commedia.

Completamente assente l’elemento poetico. e insieme ad esso viene a mancare quel tocco di epicità ritrovato invece ne Il Signore degli Anelli, al punto che il film perde ogni rimasuglio di importanza e diventa piccolo piccolo. La piatta colonna sonora gli dà infine il colpo di grazia, come se non fosse abbastanza.

Ma attenzione! Dopo quasi due ore (o erano venti?) di proiezione finalmente si arriva al dunque, le glorie del Signore degli Anelli sembrano tornare più splendenti che mai. I nani giungono alla fatidica montagna dove riposa il drago sputafuoco; nel frattempo il discendente dell’uomo che diverso tempo addietro fallì nel lanciare la magica Freccia Nera contro il possente drago sembra destinato a riscattare la sua stirpe e a farci vivere un vero colpo di scena. Le parole non sono più messe a caso, gli spettatori provano di nuovo le emozioni dei vecchi tempi. Avremo un epilogo maestoso che ci risolleverà dal letargo delle prime due ore di film! Poi, di nuovo venti minuti di combattimento col drago. Ma quanto parla, poi, questo drago? E di nuovo il bla bla, il fuoco, le spade, le rincorse, salti di qua e di là, ehi il drago muore, no ci siamo sbagliati, allora muore uno dei nani, no, neanche quello, te l’ho detto, è una passeggiata di salute. Ma allora che succede? Succede che sul più bello ti sbattono in faccia i titoli di coda. E ti senti veramente preso per i fondelli.