L’ombra del torturatore, di Gene Wolfe

L’anno passato, nella sua collana dedicata ai grandi cicli della fantascienza e del fantasy, Fanucci ha ristampato il ciclo del Nuovo Sole di Gene Wolfe. Mi sembra giusto dedicare un post a quest’opera così importante, che ho riletto da poco e che fonde mirabilmente fantasy e fantascienza. Ecco dunque la mia presentazione alla prima edizione del ciclo (Fantacollana Nord) opportunamente rivista.

L’ombra del torturatore di Gene Wolfe, primo volume della serie del Libro del Nuovo Sole (Book of the New Sun), è uno dei libri che hanno ricevuto più consensi e acclamazioni nel mondo della fantascienza. Osannato dai critici, è probabilmente uno dei massimi capolavori della fantascienza moderna: un’opera scritta in uno stile raffinato, elegante (forse il più elegante e pregevole che abbiamo mai visto in un autore di sf), che rinnova in maniera incredibilmente fantasiosa e originale i vecchi temi di quel genere particolarissimo definito «science fantasy», che si colloca a metà strada tra la fantascienza pura e la fantasy.

Nato a New York nel 1931, Gene Wolfe ha trascorso gran parte dell’infanzia a Houston, nel Texas. Dopo aver prestato servizio militare nella guerra di Corea si è laureato in ingegneria meccanica all’università di Houston.

Per quanto riguarda la sua carriera letteraria, possiamo dire che ha avuto inizio nel 1967, con il racconto «Trip, Trap», pubblicato da Damon Knight sul secondo numero della sua antologia periodica Orbit. Per molti anni la sua carriera fantascientifica è stata poi legata alla serie di Orbit, dove sono apparsi con regolarità molti dei suoi migliori racconti. Prima di iniziare questa serie di Severian il Torturatore, Wolfe ha in genere preferito la narrativa breve ai romanzi. Le sue storie, scritte in uno stile molto preciso, spesso obliquo, hanno abitualmente come protagonisti dei bambini: la narrazione dal loro punto di vista permette all’autore di combinare un’eccezionale chiarezza con un angolo di visione decisamente differente. I suoi racconti più famosi sono forse i tre che hanno un titolo quasi uguale (i tre titoli si compongono delle stesse parole scambiate tra loro). «The Island of Doctor Death and Other Stories» (1970), traccia con grande sicurezza la linea di demarcazione tra la realtà e la fantasia nella storia di un ragazzo che si ritira da un duro ambiente esterno per fuggire nel più gradito mondo dei fumetti. «The Death of Doctor Island» (1973), descrive invece il trattamento di un bambino psichicamente disturbato in un ambiente artificiale che corrisponde al suo stato mentale. Il ciclo è completato infine da «The Doctor of Death Island» (1978), in cui un prigioniero congelato criogenicamente si risveglia e scopre di essere stato reso immortale.

«The Death of Doctor Island», il secondo racconto di questa «serie», vinse il premio Nebula come miglior «novella». Tra le altre opere di una certa importanza va ricordato il romanzo The Fifth Head of Cerberus (1972), composto di tre romanzi brevi. Ambientato su un lontano sistema solare con due pianeti abitati, colonizzato da terrestri di origini francesi, il libro mescola teoria dei cloni e antropologia culturale in un’esplorazione riccamente immaginativa della natura dell’individualità e dell’identità personale. Abbiamo poi un altro romanzo di sf, Operation ARES (1970), molto tagliato all’atto della pubblicazione, che descrive un’invasione degli Stati Uniti da parte di una colonia marziana abbandonata nel ventunesimo secolo.

Giungiamo così al 1980 e a questo ciclo di Severian il Torturatore, composto di cinque romanzi: The Shadow of The Torturer (vincitore del premio per il miglior romanzo dell’anno attribuito dalla British Science Fiction Association), The Claw of the Conciliator (che ha vinto il prestigioso premio Nebula per il 1982), The Sword of the Lictor, The Citadel of the Autarch e The Urth of the New Sun.

Il mondo di Urth, che Wolfe dipinge con  dovizia di dettagli, si colloca in un futuro talmente distante da rassomigliare al passato più remoto. Di certo l’ambiente che Gene Wolfe ci delinea, in uno stile elegante e raffinato, lirico e sublime, è decisamente originale e non si rifà a nessuno dei «background» tipici della fantascienza o della fantasy pura. Nonostante il mondo di Urth e l’immensa Città dove risiedono le varie Gilde e Corporazioni possieda non poche reliquie di un passato pieno di prodigi tecnologici (astronavi, contatti con mitici extraterrestri) non v’è dubbio che il futuro di Wolfe sia molto più vicino alla fantasy che alla fantascienza. Nessus, la Città dove vive il giovane Severian della Gilda dei Torturatori e dove governa l’Autarca, il dominatore assoluto di questo mondo, appartiene di diritto al mondo della «Sword and Sorcery». La società  è tipicamente feudale: una società basata sulle Gilde e sulle Corporazioni, racchiusa in una grande, enorme metropoli con cittadelle di metallo e grandi bastioni accanto a splendidi, complessi, labirintici giardini botanici dove è facile perdersi e fare strani incontri con personaggi mortali e misteriosi. E non mancano nemmeno le spade: c’è quella di Severian, che ha un nome giustamente e appropriatamente macabro: Terminus Est. Sembra esserci anche della magia, ma qui Wolfe annebbia le definizioni e sfoca l’ambiente, perché, come il Vance del ciclo della Terra Morente o il Moorcock delle Leggende alla fine del tempo, ambienta questa società feudale in un futuro estremamente remoto, dopo la nascita e il declino di una civiltà «elevata e scintillante». Molte reliquie di questa civiltà, come accennavamo in precedenza, sono ancora presenti nel mondo di Urth (pistole a raggi, razzi e astronavi, mutanti trogloditi) e permettono ai più agguerriti fautori della sf pura di trovare argomenti per portare il ciclo di Wolfe dalla loro parte. Qualsiasi avvenimento si svolga quindi in questa Terra del lontano futuro potrebbe venir spiegato in termini di scienza futura o aliena. D’altronde, come afferma la famosa Terza Legge di Clarke, qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. La distinzione apparente tra fantascienza e «sword and sorcery» basata sul fatto che la prima si fonda sulla logica scientifica e la seconda sulla magia è in realtà soltanto una differenza di sfumature, di accenti, di atmosfera.

Wolfe non è certo il solo ad aver rimescolato queste due strutture narrative ottenendo un qualcosa di indubbiamente nuovo e originale: in The Snow Queen Joan Vinge ha dato un «imprimatur» decisamente scientifico alle metafore di Hans Anderson e Robert Groves, mentre Robert Silverberg, col suo mastodontico Il castello di Lord Valentine, ha riportato in auge l’epopea picaresca e rinnovato la classica, archetipica favola del principe che riconquista il trono di cui è stato ingiustamente privato.

Occorre puntualizzare  che la creazione di Wolfe è un qualcosa di davvero unico e irripetibile, che non ha precedenti nella storia della sf o della fantasy. Il cupo mondo dei Torturatori, con le sue lugubri ma affascinanti necropoli e la sua cittadella di incorruttibile metallo grigio, con i suoi apprendisti che studiano per raggiungere il rango di Maestro Torturatore e imparano gli antichi misteri della corporazione, legati al giuramento di torturare e uccidere i nemici dell’Autarca, non ha predecessori. Se proprio volessimo ricercare qualche antenato letterario per questo ciclo, potremmo citare il mondo decadente del castello di Gormenghatst, ideato da Mervin Peake negli anni cinquanta, un mondo anch’esso cupo e oscuro come la cittadella dei Torturatori; oppure potremmo dire che a volte, quando Wolfe si lancia nella descrizione degli aspetti dell’immensa città in cui si muove il giovane Severian, come ad esempio l’incredibile e labirintico Giardino Botanico, abbiamo la sensazione di rileggere certe pagine dei ricchi, caleidoscopici romanzi di Jack Vance. D’altra parte Wolfe aggiunge dei tocchi estremamente caratteristici inserendo qua e là toni rinascimentali e barocchi, come l’esperienza di Severian con la troupe di attori del dottor Talos, una vicenda che ci riporta direttamente all’Europa del seicento e del settecento, alla commedia dell’arte, all’Inghilterra di Shakespeare. Il mondo picaresco di Wolfe ha un solo recente predecessore nella fantasy moderna, quel barocco, affascinante, The Malacia Tapestry che è forse l’opera più raffinata prodotta da Brian Aldiss.

Per concludere permetteteci di elogiare ancora lo stile di Wolfe, condito e punteggiato da preziosismi stilistici, arcaismi, riferimenti letterari, termini latini che rendono il tutto  colto e raffinato senza per questo complicare la lettura, che rimane rapida e scorrevole. A tutto ciò vanno ancora aggiunte una grande ricchezza di dettagli, una fertilità di invenzioni, una intricatezza di trama e personaggi che fanno davvero di questa storia un’esperienza emotiva, un arricchimento culturale, come diceva a suo tempo anche Harlan Ellison.