Magniverne, di Maurizio Cometto

Siamo a Magniverne, ogni cosa può accadere.

 

Dalla seconda di copertina:

Magniverne è un paesino sperduto fra le montagne di un Piemonte cupo dove i bambini giocano nei prati accanto a incubi che attendono nelle profondità dei fiumi e si nascondono nel ventre buio delle foreste. Magniverne è un luogo di predestinati, di memorie, di sdoppiamenti. Magniverne e i suoi confini che sono luoghi del passaggio verso l’età adulta, il suo cuore di fiaba fantasiosa e terribile, i suoi esorcismi e le sue avventure. Magniverne è il versante gelido, in ombra della provincia italiana: le case stregate non si contano e i luoghi innominabili sono invasi dai rovi, e ogni pietra nasconde una storia dimenticata.

 

La letteratura, non solo quella fantastica, è ricca di non luoghi i quali, grazie alla potenza espressiva degli autori, finiscono per entrare nell’immaginario collettivo dei lettori, al pari delle località reali.

Dopo aver concluso Magniverne, antologia firmata da Maurizio Cometto, a chi scrive è venuto il sospetto che la valle del fiume Labironte e il suo principale centro abitato siano rintracciabili sullo stesso atlante dove è possibile trovare, ad esempio, l’esatta ubicazione di Derry nel Maine o di Elm Haven nell’Illinois.

Il confronto con le due cittadine statunitensi, nate dalla penna rispettivamente di Stephen King e Dan Simmons, non è azzardato. Molte anzi le similitudini. Magniverne, dietro una decorosa facciata di normalità apparente, nasconde una realtà spaventosa, fatta di lati oscuri e innominabili, di piccole creature invidiose e traditrici, di abissi fluviali popolati da creature che tanto sarebbero piaciute a H. P. Lovecraft.

I sei episodi solo apparentemente sono indipendenti gli uni dagli altri: nel corso della lettura emerge un quadro generale, una cornice al cui interno il soggetto principale, al di là delle trame e delle vicende dei singoli personaggi, è il paese che dà il titolo al libro; un paese il cui centro, simbolico, non è tanto il solito campanile della chiesa quanto un vecchio mulino, diroccato e infestato di presenze. Indicativo che i protagonisti siano spesso bambini o adolescenti, altro punto in comune con gli illustri esempi americani: solo attraverso lo sguardo di ragazzini ancora spensierati, seppur non del tutto innocenti, e liberi dalle pastoie che condizionano gli adulti, il lettore può scoprire e cogliere in tutto il loro orrore i segreti che a volte si nascondono dietro oggetti apparentemente innocui, come biciclette o porticine di legno, e assistere così alle iniziazioni e ai riti che scandiscono periodicamente la vita degli abitanti di questo, per altri versi, placido paesino di montagna.

I racconti che compongono Magniverne possono considerarsi come un omaggio al crepuscolo dell’infanzia e al diventare grandi, affrontando lo specchio e le proiezioni delle proprie paure. Paure che non sempre si riescono a superare, nonostante i trionfi nella vita adulta: proprio questo tipo di insuccessi giovanili spinge il protagonista di turno verso una vera e propria eclissi della memoria, una rimozione di fatti che, per la loro straordinarietà e drammaticità, sono impossibili da esorcizzare e, quindi, da accettare.

Maurizio Cometto si conferma uno degli scrittori più brillanti del panorama italiano contemporaneo: con la consueta bravura l’autore piemontese passa da una situazione all’altra, miscelando realtà e fantasia, meraviglia e terrore, con una naturalezza e una scorrevolezza che suscitano l’ammirazione del lettore. In maniera lucida e disincantata, Cometto circoscrive un microcosmo senza vie di fuga, claustrofobico e asfissiante, dove la memoria, quando risvegliata, porta in superficie pericoli e incubi mai del tutto sopiti.

Consiglio di non cercare, neanche per noia, la valle del Labironte sulle cartine geografiche: in alcuni momenti dell’anno potreste correre il rischio di trovarla.

 

Maurizio COMETTO, MAGNIVERNE, Edizioni Il Foglio, collana Narrativa, 313 pp., 2018, prezzo di copertina 16,00 €.