Majipoor e Robert Silverberg

In occasione dell’uscita, negli USA e in Inghilterra, della nuova raccolta di racconti dedicata da Robert Silverberg al pianeta Majipoor (si tratta di sette racconti e romanzi brevi di cui uno solo, Il settimo santuario, uscito in Italia, nell’antologia Legends della Sperling & Kupfer) ho deciso di fare un omaggio al grande Bob, uno dei miei autori prediletti, riprendendo e aggiornando i miei saggi introduttivi ai due volumi della Fantacollana Nord che presentai nei lontani anni ottanta. Ecco intanto il contenuto della nuova antologia, disponibile anche in trade paperback per chi conosca la lingua inglese.

TALES OF MAJIPOOR

  • Prologue (Tales of Majipoor) • shortfiction
  • The End of the Line (2011) • novelette
  • 37 The Book of Changes (2003) • novella
  • 103 The Tomb of the Pontifex Dvorn (2011) • novelette
  • 143 The Sorcerer’s Apprentice (2004) • novelette
  • 169  Dark Times at the Midnight Market (2010) • shortfiction
  • 195  The Way They Wove the Spells in Sippulgar (2009) • novelette
  • 225  The Seventh Shrine (1998) • novella

Verso la metà degli anni settanta, proprio all’apice della fama e della piena consapevolezza dei suoi poteri creativi – una consapevolezza e una maturità letteraria conquistata con il sudore e la fatica di decenni di duro lavoro – Robert Silverberg annunciò all’improvviso il suo ritiro dall’attività letteraria, spiegandone i motivi con dolorosa minuziosità e  non poca amarezza.

Leggendario per la sua  prolificità nella produzione di facili avventure  negli anni cinquanta, Silverberg si era a poco a poco guadagnato il favore e I’attenzione della critica specializzata con un corposo gruppo di opere di maggiore impegno umano, sociale e stilistico che I’avevano  portato al meritato trionfo nei grandi premi fantascientifici.

A partire da Thorns (Brivido crudele), continuando con The Masks of Time (Le maschere del tempo), Downward to the Earth (Mutazione), To LiveAgain (Vertice di immortali), Tower of Glass (Torre di cristallo), Son of Man (Figlio dell’uomo), The Man in the Maze (L’uomo nel labirinto), The World Inside (Monade 116), A Time of Changes (Tempo delle metamorfosi), The Second Trip (ll secondo viaggio), ecc. ecc., per finire con Shadrach in the Furnace (Shadrach nella fornace), Silverberg aveva prodotto un’eccellente serie di opere valide e mature che avevano cancellato la sua  reputazione di scribacchino e  l’avevano spinto  all’avanguardia della migliore arte narrativa (fantascientifica e non).

E poi si fermò, smise di scrivere. Perché, disse, le migliori produzioni  dell’ultimo Silverberg non vendevano così bene, non venivano mantenute in stampa e in circolazione e non erano comprese e apprezzate dai cosiddetti critici della sf. Gli editori gli dicevano che preferivano il vecchio Silverberg al nuovo, i prodotti di facile consumo ai romanzi  più vicini al suo animo e alla piena espressione del suo talento creativo e dei suoi mezzi stilistici.

Poi, nel giugno del 1978, venne annunciato con gran fanfara che  lo schema, il canovaccio di un nuovo romanzo di Silverberg, intitolato Lord Valentine’s Castle, era stato venduto per un anticipo record (per l’epoca) di 127.000 dollari (una cifra vicina ai duecento milioni di lire). L’assenza di Silverberg dall’attività letteraria, apparentemente, aveva sciolto i cuori degli editori, o almeno aveva allentato grandemente le loro borse. Bob si mise al lavoro di buona lena e scrisse presto il libro, che venne pubblicato a puntate, con grandi squilli di tromba per questo clamoroso ritorno, verso la fine del 1979 su The Magazine of Fantasy and Science Fiction. In seguito, nella sua forma completa e definitiva, il libro venne ristampato in edizione rilegata da Harper & Row e poi in paperback dalla Bantam, e fu subito un  bestseller.

Quale è dunque la natura del ritorno di Robert Silverberg come romanziere di fantascienza? Quale è stata la lezione del suo ritiro nel deserto?

Il castello di Lord Valentine è una grandiosa epica di science fantasy che soddisfa pienamente tutti i parametri della tradizione di questo genere. È un libro corposo, molto lungo e pieno di storie e personaggi. Si tratta di quasi cinquecento pagine dedicate a una vicenda tipicamente picaresca: un viaggio attraverso il mondo gigantesco di Majipoor, un mondo enorme, affollato di strane culture, razze aliene, meraviglie di ogni tipo, un mondo gigante povero di metalli e quindi a bassa densità, con una gravità uguale a quella terrestre, molto reminiscente, per certi versi e forse deliberatamente, del pianeta gigante di Big Planet (L’odissea di Glystra) di Jack Vance. D’altronde non c’è da meravigliarsi se, leggendo Lord Valentine’s Castle, tornano a volte alla mente certi passaggi della prosa di Vance o certe sue ambientazioni, perché I’autore di The Dragon Masters, del ciclo della Terra Morente e della serie di Tschai è un maestro riconosciuto della science fantasy.

Tornando a Lord Valentine’s Castle, incontriamo per la primo volta l’eroe, Valentine, come un uomo che ha perso la memoria e si fa ingaggiare da una troupe di acrobati e giocolieri che vagabondano per le città del pianeta. Sia noi che lui veniamo presto a sapere che questa umile figura è in realtà Lord Valentine, il Coronal, l’erede predestinato al governo di Majipoor, la cui mente è stata depredata delle sue memorie e quindi trasferita in un nuovo corpo da un maligno usurpatore. Il romanzo si avventura poi nella narrazione di un epico viaggio attraverso terre strane e mari tempestosi man mano che Valentine, assieme a un crescente seguito di paladini, umani e alieni, si avvia verso il Castello del titolo (un enorme edificio composto di migliaia di stanze e situato sulla cima di una montagna alta cinquanta chilometri) allo scopo di recuperare il trono e restaurare la giusta legge e armonia sul pianeta.

Se questa vi sembra la formula usata ed abusata di ogni romanzo di science fantasy che sia stato scritto dagli albori di questo genere ad oggi… ebbene non vi sbagliate affatto. In quest’opera ritroviamo tutti gli archetipi junghiani profondamente radicati in noi che danno a questa storia basilare un potere bruto che trascende qualsiasi questione di merito letterario. Non manca nulla. C’è il comune mortale che ritrova all’improvviso la sua identità e la sua origine regale; e questo non è forse il segreto desiderio di tutti noi? C’è l’eroe che attrae un gran numero di seguaci solo con la sua pura essenza e aura di giustizia e nobiltà. C’è la donna che lo ama nel suo stato umile e di comune mortale e che lui non abbandonerà quando tornerà al suo stato regale. C’è il mago buono e amico (ricordate Merlino?) e la corona di poteri psichici donata all’eroe dalla sua madre vera e semi-divina.

Questo tipo di storia fa leva su tutte le molle riposte del nostro animo e su tutti i nostri sogni e desideri segreti anche quando è scritta da un semi-adolescente che non ha nemmeno le cognizioni psicologiche e psicanalitiche  per comprendere appieno ciò che sta facendo. Ma Lord Valeutine’s Castle non è stato scritto da un simile primitivo: è stato scritto dall’autore di libri profondi e compiuti come Downward to the Earth, Tower of Glass, Dying Inside, uno scrittore che ha ampiamente dimostrato in precedenza di essere ben cosciente di quanto stava facendo e che sa come raggiungere le profondità dell’animo del lettore.

Questa storia, dicevamo, è stata narrata spesso, ma forse non verrà mai narrata meglio di come lo abbia fatto Silverberg. Creando Majipoor,  un grande pianeta a bassa densità, ad esempio, egli si prepara la necessaria ampia, variata ambientazione, e giustifica una tecnologia e un sistema sociale ancorati a un livello medievale a causa della mancanza di metalli, mantenendo al contempo una moltitudine di razze aliene tipiche del background fantascientifico del lontano futuro e di mondi lontani.

Inoltre, a differenza di molti altri autori che si sono cimentati con questo genere letterario, Silverberg possiede la straordinaria capacità di rendere vive, con pochi abili tocchi di penna, figure secondarie come portatori di insegne, arcieri e paladini minori.

Tuttavia, dietro questo epico, romantico, tradizionale, in apparenza semplicistico romanzo di science fantasy, il lettore acuto e osservatore potrà scorgere una mente fredda, logica, cosciente che lavora con tranquilla intelligenza. Silverberg si è arreso ai diktat del mercato letterario ed è tornato in un certo senso alla “vecchia roba” precedente la sua metamorfosi degli anni sessanta, ma non ha rinnegato certo la raggiunta maturità letteraria e stilistica.

Se da una parte dunque è un peccato vedere Silverberg costretto ad abbandonare i temi più impegnati e a lui forse più cari, dall’altra questo romanzo è un trionfo dell’autore, che  dimostra di essere in grado di scrivere anche un’opera di grosso richiamo commerciale, un capolavoro nel suo genere, e di saperlo fare  meglio di tantissimi altri.

Al pianeta Majipoor Silverberg ritornò in seguito più volte, con molti racconti e romanzi, nella scia del successo del  Castello di Lord Valentine.

Troppo grande era il fascino suscitato sia nel pubblico che nella mente dell’autore da questo mondo gigantesco, colonizzato dai terrestri nei primi anni del volo interstellare. La sua superficie è enorme; gran parte è coperta dai mari, ma i tre continenti emersi hanno pur sempre ognuno un’area maggiore di quella della Terra. Vasto e diverso, Majipoor è ricco di città e popoli strani, umani e alieni. Molti miliardi di esseri intelligenti vivono su questo mondo: assieme agli umani abbiamo la nativa razza dei Metamorfi, e le grosse creature dotate di quattro mani  note col nome di Skandar,  i piccoli maghi della razza Vroon, e tanti altri popoli ancora. Majipoor è governato dal Pontefice, un imperscrutabile imperatore che passa gran parte della sua vita immurato in un enorme labirinto sotterraneo nel continente di Alhanroel, e dal Coronal, il reggente esecutivo del reame, che dimora in un antichissimo castello situato sulla cima di Castle Mount, una montagna di altezza quasi inimmaginabile.

Si tratta  di un mondo esotico e pieno di vita e di storie potenziali. Nonostante la grandiosa epopea di Valentine narrata da Silverberg nel primo romanzo rimaneva tantissimo spazio per altre cronache di eventi: e uno scrittore abile e intelligente come Silverberg non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di tornare a questa sua bellissima creazione.

Il secondo volume del ciclo, Cronache di Majipoor (Majipoor Chronicles), raggruppa una serie di storie sistemate in ordine cronologico, che partono da un periodo molto vicino alle preistoria, quando l’umanità sta appena iniziando a riempire e colonizzare gli ampi territori del pianeta a spese della nativa razza dei Metamorfi.

In tutto ci sono undici racconti. In realtà si tratta  di dieci storie collegate tra loro da una cornice letteraria.

L’artificio in questione è Hissune, un giovane di umili natali ma molto intelligente e precoce che nel precedente romanzo aveva aiutato Valentine (quando questi si era recato nelle profondità misteriose e cupe del Labirinto) a riguadagnare il suo trono. Hissune, che Valentine ha ricompensato dandogli un posto di segretario personale, girovaga pigramente nella Sala delle Registrazioni per alleviare il tedio del suo noioso lavoro tra le scartoffie e si intrufola nelle memorie immagazzinate nel Registro delle Anime, dove sono raccolte le anime di molte persone vissute in tempi lontani e recenti. In questo modo egli inizia una sua educazione personale nella storia e nella geografia del gigantesco  mondo in cui vive. Le storie sono appunto le registrazioni telepatiche di queste persone, le cui vite e vicende personali sono raccolte nella Sala delle Registrazioni.

Tra le storie più interessanti che Silverberg ci racconta alcune spiccano al di sopra delle altre: Thesme and the Ghayrog, The Soul Painter and the Shapeshifter, A Thief in Ni-moya,The Desert of the Stolen Dreams.

Thesme and the Ghayrog racconta  il rapporto tra due persone di razze diverse: una giovane donna  intraprende una relazione con un alieno, un po’ per scioccare i propri amici e un po’ per appagare il senso di colpa che prova a causa dei pregiudizi razziali della sua società (ma che in realtà sono anche i suoi pregiudizi).

In  The Soul Painter and the Shapeshifter Silverberg si rifà a un altro tema abbastanza familiare: il grande pittore che dipinge un soggetto totalmente al di fuori della sua sfera di esperienza e poi se ne innamora.

The Desert of the Stolen Dreams è uno dei racconti più vivi e pregni di significato e di valori morali: qui Silverberg ci racconta come viene svelato I’affascinante mistero del deserto dei sogni rubati e come viene instaurato il sistema di punizione dei criminali di questo mondo.

La storia più bella, a mio avviso, è quella narrata in A thief in Ni-moya , dove Silverberg riprende la favola di Cenerentola: è la vicenda di una giovane commerciante di provincia che diventa una ladra autorizzata nella metropoli di Ni-moya e poi assurge al massimo splendore.

E’ interessante notare come Silverberg riesca a trasfondere in queste storie una qualità “mitica”, dandoci un panorama di un mondo magico e affascinante nel corso della sua evoluzione storica e riprendendo al contempo i valori morali tipici della fiaba e del mito. Ciò è indice di  grande maturità letteraria, di grande maestria tecnica da parte di un autore che ha saputo conquistarsi un posto di rilievo nella storia del genere  fantascientifico.

La saga di Majipoor continuò poi con altri romanzi nei decenni successivi, con successo e risultati alterni (Valentine Pontifex, The Mountains of Majipoor, Sorcerers of Majipoor, Lord Prestimion, King of Dreams).

Personalmente ritengo che con  il ciclo di Majipoor Silverberg si sia preso una rivincita sul mondo editoriale  e sul pubblico che tanto poco aveva apprezzato le sue opere più impegnate degli anni sessanta/settanta.

Purtroppo la sua vena narrativa si era ormai esaurita e nessuna delle opere composte dal 1980 agli anni più recenti (nè nel campo del famtasy nè in quello a lui più congeniale della fantascienza tradizionale) ha saputo raggiungere quelle vette stilistiche e narrative, il che dimostra ancora una volta quanto sia difficile coniugare l’eccellenza del capolavoro con il successo del best-seller.