Malpertuis, di Jean Ray

Copertina firmata Franco Brambilla per Urania Horror, dicembre 2016

È ritornato in una nuova edizione Urania Mondadori, dopo ben 26 anni, il classico del gotico Malpertuis.

Si tratta di una notizia che ha suscitato esclamazioni di entusiasmo da parte degli appassionati. I commenti sono stati, più o meno, di questo tenore:

“Evviva! Hanno ristampato Malpert– Malperzìus! Malpertiù… Malpertwì… insomma, quello di Jean Ray.”

Confesso che mi sento sempre a disagio quando mi trovo davanti un titolo che non sono in grado di pronunciare. Mi sento in imbarazzo come quella volta che, durante il tirocinio presso gli scavi di un sito altomedievale, mi chinai a spolverare una sezione muraria e i pantaloni si aprirono in due sul didietro senza che me ne accorgessi. Quando il professore me lo fece notare – dopo tre ore durante le quali i miei colleghi non mi avevano detto niente! – corsi ad annodarmi una felpa sui fianchi e sfoderai la migliore poker face che avessi (sono una mezza sega a poker…).

In casi del genere scrivere per un blog, anziché parlarne a voce, equivale all’espediente della felpa dietro cui nascosi il vistoso strappo sul popò.

Ma quell’esperienza mi ha insegnato a prenderla con filosofia, anche quando si tratta delle mie mancanze; pertanto, oggi mi tolgo la felpa e proclamo: “pronunciatelo un po’ come vi pare”.

Felpa –0, paraculismo –1.

«Chi viene a turbare i disegni divini con discorsi vani?»

Zaccaria.

Ben detto. Veniamo a noi.

Dalla quarta di copertina: “Abbiamo sempre sospettato che dietro le più antiche leggende si nasconda un frammento di verità: Malpertuis cela un segreto e il suo nome evoca il male sotto forma di quello che non dovrebbe più camminare sulla terra. Nella casa dell’ignoto, all’apparenza un’antica e rispettabile dimora delle Fiandre, si intreccia la storia di un gruppo di personaggi che non sono quello che sembrano e che incarnano forze primigenie. Uno dei miti immemorabili dell’umanità sta prendendo forma e sembianze di nuovo… Presentato in edizione integrale, questo romanzo è il capolavoro di Jean Ray, lo scrittore che è stato definito l’erede europeo di H.P. Lovecraft.”

Credo che il paragone non sia poi così balzano come alcuni sostengono. Ma, si sa, ai puristi il naso si arriccia facilmente.

La prima edizione di Malpertuis risale al 1943 ma Jacques Van Herp, nel Cahiers de l’Hern (una raccolta di saggi dedicati a H.P. Lovecraft, pubblicata nel 1969), racconta che i due autori non si sono mai letti a vicenda.

Jean Ray ha un modo di concepire la divinità molto simile a quello di Lovecraft. Per entrambi, essa non possiede alcunché di sacro e venerabile; le sue qualità sono l’alienazione, la follia, il grottesco, lo straniero nella sua accezione di estraneo, lontano, pericoloso in maniera trascendentale.

Al cospetto della divinità l’uomo non può che perdere la propria mente, la vita e infine l’anima.

Il tono di entrambi, durante la lettura, è sommesso, tipico di chi abbia subito uno shock e fatichi a parlarne. Ma laddove il tono di Lovecraft è denso, viscoso, attutito e assorto nei propri incubi lucidi, quello di Ray è vivido come un sussurro concitato da una meraviglia che trasmette brividi a tutto il corpo, non solo alla mente.

Per gran parte del romanzo ci si sente ciechi come il giovane Jean–Jaques, dal cui punto di vista dipendiamo per esplorare la casa e i suoi misteri.

“Cosa sarebbero gli dei senza il terrore?”

Imitazione delle Sacre Scritture

Jean Ray ci immerge in una tenebra ricca e movimentata. Si scorgono sagome più oscure che fuggono via non appena inizi a cercarle con lo sguardo. Perché non è con lo sguardo che devi indagarle.

Malpertuis, questa casa mostruosa, è come la scatola cranica che contiene una mente piena di fantasmi e di spauracchi deliranti. Queste ombre si agitano cercando di risalire dall’abisso del dimenticato, di sfondare le resistenze del subconscio per invadere la coscienza e rendersi liberi.

Servono gli altri sensi per identificarli.

Più volte il giovane protagonista è stato ammonito di non guardare – moderno Orfeo –, di limitarsi ad ascoltare e a percepire, per la sua stessa salvezza. Ma la fragile umanità è destinata a fallire quando diventa il pasto degli dei.

Copertina firmata da Jules Lempereur per la prima edizione belga, giugno 1943

Lo scrittore belga sfrutta uno stratagemma tipico del romanzo gotico – il manoscritto ritrovato – per affrontare la tematica della “morte degli dei”, comune a molta letteratura Ottocentesca. Ricordiamo Il grande dio Pan, con il quale Arthur Machen eleva il topos della “mitologia deformata” a vette inarrivabili ma anche Lord Dunsany con Gli dei di Pegana.

Tuttavia qui è la casa, e non i suoi ospiti, la vera protagonista del racconto. La sua facciata è “un viso stravolto dalla febbre, dall’angoscia e dalla collera” che si intuisce nella nebbia. Essa ammicca al viandante, invitante come una malia, pronta a ghermirne l’anima.

Colui che l’abbandona non lo fa mai del tutto: la sua mente, così come la sua anima, rimangono eternamente incatenati all’essenza diabolica ed esoterica di Malpertuis che, infine, rivela il suo volto di creatura generata dagli immondi esperimenti del suo padrone e proprietario, lo zio Cassave, l’ultimo dei Rosacroce.

Malpertuis ricercherà ovunque i fuggitivi, lancerà il suo richiamo, manderà i suoi ospiti–schiavi a recuperarli, ovunque si trovino, e li distruggerà per l’eternità.

Lo stile di Jean Ray è ricercato senza apparire ampolloso. Sono rimasta estasiata dall’armoniosa musicalità delle descrizioni – suggestive ed eleganti come poche. Il linguaggio, sebbene ricco, non è mai affettato né pesante. La lettura procede scorrevole e coinvolgente dall’inizio alla fine. La qualità dell’intreccio è rimarchevole, l’equilibrio narrativo è perfetto. Non ho percepito un solo momento morto né un calo di ritmo.

Jean Ray è un maestro. Ha ancora molto da dare ai suoi lettori ed è nostro dovere, nonché piacere, riscoprirlo.

In appendice a questa nuova edizione segnaliamo l’editoriale sul weird, curato dal “nostro” Giuseppe Lippi; un dossier biografico sull’autore, di Francesco Lato; una simpatica autobiografia dello stesso Jean Ray; la bibliografia italiana e, infine, un’interessante intervista di Stefano Rizzo a Ivo Torello e Andrea Vaccaro delle Edizioni Hypnos, con la quale si esamina il fenomeno della riscoperta dei classici dell’horror contemporaneo.

 

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Nato a Gand, nelle Fiandre Orientali, nel 1887, Jean Ray fu un impiegato comunale fino al 1920, quando cominciò a lavorare per il quotidiano “Journal de Gand” e, in seguito, per “L’Ami du Livre”.

L’8 marzo 1926 viene arrestato con l’accusa di appropriazione indebita; condannato a sei anni e sei mesi di prigione, riuscì a uscirne il 1º febbraio 1929.

Ripresa la collaborazione con diversi periodici (“La Revue Belge”, “Bravo!”, “La Flandre Libérale”, “Mon copain”, “Prenez-moi”, “Les Débats”, “De Filosofo”, “Le Bien Public”, “De Dag”), arriva a utilizzare fino a duecento pseudonimi.

Tuttavia si firma come Jean Ray per le sue raccolte degli anni 1940: Le Grand Nocturne (1942), Les Cercles de l’épouvante (1943), Les Derniers Contes de Canterbury (1944), e i romanzi Malpertuis (1943) e La Cité de l’indicible peur (1943).

Nel 1961 arrivò il successo con la raccolta “25 histoires noires et fantastiques”, che nel 1963 arriva in Italia, grazie a Baldini & Castoldi, con il titolo “25 racconti neri e fantastici”.

La sua bibliografia consta di circa 9300 racconti e 5000 testi fra reportage, cronache e interventi critici.

Negli ultimi anni è ritornato in Italia per i tipi di Hypnos con le due antologie “Il Gran Notturno” e “I racconti del whisky”.

Una menzione va anche all’antologia pubblicata da Profondo Rosso: “La casa stregata di Fulham Road e altri orrori”. In essa compare, per la prima volta nel nostro paese, il detective del soprannaturale Harry Dickson.

Jean Ray morì a Gand nel 1964.