Michael J. Sullivan e i ladri di Riyria

Un ladro, sicario all’occorrenza, cinico, solitario, cresciuto all’inferno e un ex mercenario di buon cuore e molto ingenuo, un po’ stanco di guadagnarsi la pagnotta combattendo, decidono di collaborare per vivere di furti impossibili, diventando leggenda. Niente di nuovo sotto il sole, il fantasy nelle sue varie declinazioni ci ha già raccontato storie simili, quindi qual è il motivo del successo dei romanzi di Michael J. Sullivan, scrittore americano che si è fatto le ossa nel self-publishing per poi vedersi pubblicato niente meno che dalla Orbit, ritagliandosi un posto al sole tra gli autori più venduti del genere?

Nella sua ricetta troviamo più di un ingrediente che solletica il palato dei lettori: due protagonisti ben delineati, a cui ci si affeziona, un’ironia non eccessiva, una scorrevolezza di stile che rende le loro storie accessibili a tutti. Royce Melborn e Hadrian Blackwater, il ladro e il mercenario, rappresentano i due archetipi che il lettore riconosce d’istinto, i due opposti che si equilibrano e la cui simpatia spesso integra lo spessore che manca agli altri personaggi, villain compresi, che, al contrario di Royce e Hadrian, sono carenti di sfumature e di vera profondità. A questo vanno ad aggiungersi magia, mistero e una storyline accattivante che collega tutti i libri.

Le avventure di Riyria (termine elfico a significare “due”) sono composte complessivamente, almeno finora, da due prequel (The Crown Tower e The Rose and the Thorn), una trilogia centrale (Theft of Swords, Rise of Empire, Heir of Novron) e due spin-off che precedono gli eventi della trilogia madre, ma seguono ai due prequel (The Death of Dulgath e The Disappearance of Winter’s Daughter). In Italia sono stati pubblicati Theft of Swords (Ladri di Spade) e Rise of Empire (Sorge un Impero) dall’Armenia (traduzione di Lucia Panelli), che ha promesso la pubblicazione anche di Heir of Novron, mentre non sembra avere in programma i due prequel, ed è un vero peccato perché sono i migliori del ciclo, almeno a parere di chi scrive.

The Crown Tower è l’inizio di tutto: vi troviamo l’incontro tra Royce e Hadrian, architettato da un mago per motivi che capiremo in seguito, e i due, neanche a dirlo, si detestano subito a morte. Se nella trilogia centrale troviamo l’improbabile coppia già affiatata, pur con tutte le divergenze dovute al loro temperamento, e un Royce più addomesticato, qui c’è lo scontro degli opposti, in cui Sullivan non risparmia battute, cattiverie e un umorismo irresistibile. The Crown Tower e The Rose and the Thorn introducono i due protagonisti, ci fanno capire chi sono e vengono raccontate le storie di altri personaggi fondamentali dell’intera vicenda, come la principessa “strega” Arista e Gwen, la prostituta che vede il futuro. Da un punto di vista introspettivo e di economia narrativa, sono i romanzi migliori che ho letto di Sullivan: realistici, forti, convincenti. Arricchiscono la lettura della trilogia principale, ma non sono fondamentali, anche perché Sullivan li ha scritti successivamente.

In Ladri di Spade e nel romanzo successivo, pubblicato di recente in Italia, Sorge un Impero, Royce e Hadrian collaborano ormai da anni, ma lotte di potere, la minaccia di un Impero e un segreto legato alla nascita di Hadrian, sono destinati a sconvolgere irrimediabilmente le loro vite. L’idea portante della trilogia, legata al mistero dell’erede di Novron, è intrigante, non scontata e abilmente diluita nella narrazione. Di contro, se alcune parti risultano coinvolgenti, e mi riferisco a quelle relative a Royce e Hadrian, ho trovato quelle dedicate agli altri personaggi veramente noiose.

Generalmente non amo sottrarre merito a uno scrittore chiamando in causa la bravura di un altro, ma Sullivan non è George RR Martin e non riesce a rendere interessante qualsiasi personaggio. Così, ad esempio, in Sorge un Impero ci racconta la storia della giovanissima imperatrice Modina attraverso gli occhi di una sguattera, e francamente mi sono annoiata tanto da saltare pagine intere di descrizioni inutili e di introspezione psicologica di una banalità (diciamo pure buonismo) imbarazzante. In Sorge un Impero, il mistero accennato in Ladri di Spade s’infittisce e Sullivan riesce a solleticare la curiosità del lettore con indizi, rivelazioni e contro rivelazioni, preparando il terreno per il gran finale di Heir of Novron. Purtroppo il tutto è appesantito da parti inutilmente descrittive (voglio rincarare la dose: se non sei Martin, meglio contenersi), e personaggi bidimensionali. Arista è una principessa progressista che ce la mette tutta per essere simpatica, ma è del tutto inverosimile nella sua assoluta positività. I villain sono delle macchiette, i maghi solo degli stereotipi.

All’autore va comunque riconosciuta la capacità di creare atmosfera, ammiccando a generi diversi (epic fantasy, grimdark, sword & sorcery) con un certo stile e di introdurre elementi fantastici oggi considerati scomodi (gli elfi, ad esempio) in modo originale, e se avesse avuto il coraggio di offrire maggiori sfumature ai personaggi, avrebbe potuto essere qualcosa di più di un bravo scrittore d’intrattenimento. A tratti lo si avverte, ma il salto non avviene, e quella dei Riyria resta una serie piacevole, senza togliere il fiato.