Michael Moorcock, Astounding Sounds, Amazing Music

Colgo l’occasione dell’uscita de Il corridoio nero su Urania Collezione per riproporre un bellissimo ed erudito profilo di Michael Moorcock a cura di Nico Gallo. In effetti si tratta di una recensione di Madre Londra, apparso anni fa per Fanucci, ma Nico è molto attento  ad approfondire tutti i lati della personalità del grande autore britannico.

Shakey Mo continuò ad avere allucinazioni da droga sulla strada davanti a lui. Sul suo cammino marciavano armate; i nazisti istituivano blocchi stradali; ragazzini sgambettanti inseguivano palloni; improvvisamente divampavano grossi fuochi e apparivano e scomparivano demoni succhiasangue

(M. Moorcock, “A Dead Singer”, 1976)

 

La science fiction degli anni Sessanta, la New Wave, è tutt’oggi un’esperienza letteraria ignorata o sottovalutata. Eppure la narrativa cyberpunk, esageratamente celebrata, deve tutto o quasi a un gruppo di narratori praticamente sconosciuti come Brian Aldiss, Thomas Dish, Norman Spinrad, Samuel Delany, Barry Malzberg e Michael Moorcock. Solo James Ballard, uno scrittore nato all’interno della rivista anglosassone New Worlds, diretta da Moorcock tra il 1964 e il 1969, ha oggi il suo meritato riconoscimento letterario.

Se è il cyberpunk la scrittura che, a giudizio di tutti, attraverso Gibson, Sterling, Shirley e pochi altri, ha innovato la letteratura popolare usando l’immediato futuro per sviscerare il presente, i meccanismi di potere e di controllo sociale, le modalità di sviluppo e di utilizzo delle tecnologie e dei media della comunicazione, la diffusione delle droghe e la commistione con le culture alternative come quella hippy e rock, allora chi oggi rileggerà le opere datate di Moorcock e degli altri scrittori della New Wave scoprirà un periodo molto ricco, stilisticamente raffinato, colto e sovversivo. Anzi si evidenzierà come il cyberpunk abbia diradato gli spunti e le provocazioni della New Wave e ne abbia attuato una sorta di specializzazione, focalizzando solo alcune delle novità che, come nel caso eclatante di Samuel Delany, attendono ancora qualcuno che raccolga le sfide lanciate da questa vecchia fantascienza.

Michael Moorcock, scrittore contraddittorio come pochi, è presente in libreria con interessanti romanzi heroic fantasy come La saga di Elric di Melnibolè e i suoi seguiti (La fortezza della perla e La vendetta della rosa),  pubblicati dell’editrice Nord e poi ristampati da Fanucci. Certo l’heroic fantasy è, in generale, roba letterariamente di poco conto, a parte il repertorio storico antecedente la Seconda guerra mondiale o casi isolati come Moorcock, e se ne sconsiglia caldamente la lettura, ma il focus su Moorcock, oggi, è giustificato dal suo ritorno in libreria con un romanzo attesissimo come Mother London. Noto in Italia come scrittore di avventura, appunto, Moorcock, invece, è un autore raffinatissimo di science fiction con opere come il ciclo di Jerry Cornelius (Programma finale, A Cure for Cancer, The English Assassin, The Condition of Muzak), o come I.N.R.I., Il veliero dei ghiacci, Il corridoio nero, pubblicati quasi tutti oltre vent’anni fa.

Ora, la prima edizione di Madre Londra, per l’editore Fanucci, impone nuovamente il problema di Michael Moorcock.

Nato a Londra, nel 1939, inizia giovanissimo ad amare la fantascienza. Già a quindici anni ha dato vita ad alcune fanzine dedicate a Edgar Rice Burroughs, l’autore di Tarzan, e nel 1956 inizia a collaborare come sceneggiatore di fumetti con Tarzan Adventures. Collaboratore anche di Sexton Blake Library, una rivista di racconti polizieschi, all’inizio degli anni Sessanta si avvicina a New Worlds dove, inizialmente, pubblica le prime storie di Elric, l’inquietante principe albino soggiogato dal potere della propria spada. Nel 1962, inaspettatamente, entra in politica, diventando direttore della propaganda per il Partito Liberale, poi fa il suo ingresso come direttore di New Worlds, rivoluzionando il panorama della fantascienza mondiale. La New Wave intendeva rompere i confini che comprimevano la fantascienza, colpire l’autoreferenziazione, farsi contaminare da altre culture. In quegli anni Londra era un eccezionale crogiolo di avanguardia, trasgressione, sovversione. Lì nasce e si sviluppa la cultura rock, e un intellettuale come Michael Moorcock non poteva restarne indifferente. Già nel 1966, in Programma finale, la prima avventura ambientata a Londra del trasgressivo Jerry Cornelius (“beve, si droga, è vagamente omosessuale”, commenta Jacques Sadoul, storico della fantascienza), la musica ha una parte importante nella descrizione dell’ambiente e nella contestualizzazione storica. Siamo alla fine degli anni Sessanta, e il protagonista ascolta Beatles, Rolling Stones, Moody Blues, Who, Manfred Mann, Animals e Zoot Money. La controcultura irrompe in questi romanzi e modifica l’immaginario fantascientifico per sempre. Ma Moorcock non si limita a portare la realtà e le innovazioni dell’underground in una letteratura popolare come la science fiction. Lui stesso, in quegli anni, è forse l’unico personaggio del mondo della fantascienza a essere, contemporaneamente, anche impegnato nel mondo del rock.

Moorcock, nel 1973, scrive i testi per l’album Space Ritual degli Hawkwind, uno dei più interessanti gruppi inglesi che vide nella sua formazione anche il poeta e performer Robert Calvert. L’immaginario della fantascienza diventa così determinante per questo gruppo, come per Magma e Gong o per i deliri free jazz della Sun Ra Arkestra. Moorcock partecipa attivamente alla vita del gruppo e spesso interviene come solista. Nel disco Warrior on the Edge of Time è solista e suonatore di banjo, mentre è autore di The New Worlds Fair, firmato da Michael Moorcock & the Deep Fix, con Simon House, Simon King, Alan Powell e Dave Brock. Nel 1976, per la Charisma, esce il disco Astounding Sounds, Amazing Music, un omaggio ai vecchi pulp di fantascienza che Moorcock aveva tanto amato in gioventù.

Ma la più prova interessante dell’impulso innovativo di Moorcock sta, quasi sicuramente, nell’aver sondato con la fantascienza le potenzialità della cultura pop. Jerry Cornelius, l’eroe dai mille volti protagonista di una delle prime serie della fantascienza moderna, è un laboratorio narrativo di come le esistenze fittizie del mid-cult e delle comunicazioni di massa irrompano in un testo, di come si contamina. L’immaginario di cui Jerry Cornelius è certamente meno complesso e trasgressivo di quello di Danald Barthelme, e il suo valore deve essere visto in rapporto al genere con cui si confronta, la fantascienza, e con l’esperienza di New Worlds. Più che configurare un montaggio di presenze rese vive e autonome dai media, Moorcock sembra aver optato per una cosciente incursione della realtà degli anni Sessanta e Settanta in un genere che aveva, di fatto, sterilizzato le maggiori provocazioni che venivano dalla letteratura alta.

Ma l’ascendente di un personaggio eclettico come Moorcock rimane nella parte meno commerciale del fenomeno rock, e i personaggi dei suoi romanzi si ritrovano per tutti gli anni Settanta nei testi di dischi più o meno noti.

Ed è proprio l’eclettismo che consente ora di leggere Madre Londra non come un’opera anomala (del resto la sua produzione recente segue un taglio decisamente orientato alla tradizione letteraria anglosassone), ma come l’evoluzione di un autore di pulp e di musica rock, dell’intellettuale che ha incarnato la fase più creativa e sperimentale di New Worlds, che ha saputo (forse anche solo per denaro) scrivere letteratura avventurosa (come il ciclo di Michael Kane, guerriero di Marte) o di heroic fantasy.

La padronanza della scrittura è forse una delle caratteristiche di Madre Londrache colpisce di più. La precisione e l’equilibrio tra esterno, formato dal paesaggio londinese, e interno, creato progressivamente dall’esteriorizzarsi della coscienza dei personaggi, sono davvero mirabili. E Londra, contenitore inquieto di tante storie, da Derek Raymond fino a Martin Amis e Hanif Kureishi, è vera madre che partorisce i suoi figli e che li ascolta mentre parlano di lei. Un incessante brusio di rumori, d’immagini, di dialoghi e di pensieri costruisce la città, una strada dopo l’altra.

Madre Londra viene raccontata da un gruppo di eleganti svitati che frequentano una clinica per le malattie mentali. Come i fisici di Friedrich Dürrenmatt, i pazzi di questo romanzo sembrano orfani di una realtà condivisa, di una memoria. Così il romanzo avanza e retrocede, sempre tessendo il filo dei rapporti tra i personaggi, spesso molto delicati, alla ricerca di un passato descritto in modo meticoloso. Ma, se è vero che c’è chi legge i pensieri, non sembra che questa indiscrezione possa impedire la perdita della loro identità, né che, perduta un’identità, un’altra ne avanzi in sostituzione. Il zigzag che la vita dei tre protagonisti percorre tra gli anni della battaglia aerea su Londra fino al 1985 è così ricco di rapporti da ricordare le migliori opere di Charles Dickens, e sembra essere un romanzo su questo secolo, su come l’atroce bombardamento, forse, sia l’ultimo atto di un’epoca, quella Vittoriana, a cui i protagonisti ancora appartengono. Se Mary Gaselee, con la sua amnesia lunga 15 anni, è in assoluto il personaggio che rappresenta meglio questa conclusione epocale, viene da pensare che Moorcock, scrittore del futuro come del passato remoto, abbia voluto riflettere proprio su come si struttura il rapporto tra mente e spazio-tempo (Londra attraverso i decenni).

E ora c’è solo da sperare che qualche editore coraggioso ripresenti ancora le opere di Michael Moorcock, da quelle ormai introvabili degli anni Settanta ai numerosi materiali inediti.

Domenico Gallo