Murakami Haruki

Nei “gruppi” e nella benemerita CRONACHE DI UN SOLE LONTANO recentemente si sono avvicendati alcuni post dove si è parlato di Haruki Murakami.

Perfettamente logico visto che del consesso fanno parte, in gran numero, “membri” che amano giustamente il “fantastico” in tutte le sue sfaccettature e quest’autore ha tutte le caratteristiche per catturare l’attenzione di chi naviga volentieri quei territori (generi) e magari li predilige.

Di HARUKI MURAKAMI, scrittore ormai di culto, letto da legioni di lettori, mi ero già innamorato grazie a L’UCCELLO CHE GIRAVA LE VITI DEL MONDO e a KAFKA SULLA SPIAGGIA (vincitore del World Fantasy Award 2006), libri entrambi di una forza narrativa non comune che combinano virtuosisticamente leggibilità e qualità e nei quali l’estro visionario dell’autore si esprime attraverso un linguaggio sobrio e realistico, con una prosa cristallina che ti incatena alla pagina.

Poi sono arrivati 1q84 (libri 1-2) e il suo seguito (libro 3) – tutti, come i precedenti, pubblicati da EINAUDI che per me è un garanzia – e mi sono trovato proiettato in una dimensione in cui l’irreale appare perfettamente plausibile.

Le vicissitudini di Aomame, superkiller in perfetto stile manga e di Tengo, ghost writer dalla scrittura impareggiabile che fa diventare un bestseller il libro con il Little People, vengono trattate separatamente, ma, nonostante questo, i due protagonisti sono legati l’un l’altro da un legame che va oltre i confini spazio-temporali. Si resta disorientati e ammaliati: c’è un’entità misteriosa, la Crisalide d’aria, che sovradetermina la trama delle nostra vite, come ne IL CASTELLO di Kafka, ci sono i Little people, c’è l’improvvisa presenza di due lune nel cielo, e insomma siamo in un “altrove” immaginifico che mi ha fatto tornare in mente certe cose di van Vogt e Phil Dick che erano autori altrettanto stranianti.

Da neofita, spulciando il passato Facebook di RDF e CDUSL, sono anche incappato in una bella discussione (un po’ accademica) nata da un post di Derek Zoo (ottobre 2014) dove si rimarcava che scrittori come Murakami, Jennifer Egan, Philip Roth “invadono il campo della fantascienza pur mantenendo la loro collocazione fuori dal genere.”

Bè, non è certo FANTASCIENZA quella di Murakami.

Sicuramente non quella hard di Asimov, Clarke, Heinlein, Sturgeon, Simak e degli altri epigoni dell’era Campbell (van Vogt e Vance per me erano diversi e forse per questo sono i due che continuo ad amare di più), nemmeno quella “drogata” (mi piace definirla così) di Phil K. Dick (anche se in Murakami una certa aria dickiana secondo me la si respira eccome), né tanto meno quella dei successivi, i Larry Niven, i Greg Bear, i Gregory Benford, gli Stephen Baxter e ci metto anche gli altri miei amatissimi, cioè Frank Herbert e Robert Silverberg insieme a Roger Zelazny e Philip José Farmer (questi ultimi due però fanno un po’ razza a sé).

E non è neanche FANTASY strictu sensu, semmai WEIRD nell’accezione “strano, bizzarro”, ma secondo me non è facile e non serve (non è possibile) inquadrare Murakami.

I suoi romanzi hanno la qualità del sogno, dove si percepiscono immagini e suoni che appaiono e diventano reali e in fondo è quello che i lettori cercano in un libro, soprattutto se vanno alla ricerca di cose che liberino la fantasia e facciano vivere “altre” vite (e d’altronde “Chi non legge libri vive UNA SOLA VITA e della VITA sa poco o niente”, che è una frase che lessi da qualche parte ed è diventata mia).

Penso che Murakami sia uno che ha spostato i confini del fantastico inglobando i generi e l’ha fatto da giapponese imbevuto della mistica e dei fantasmi della cultura orientale, un giapponese che si è anche immerso e stranutrito della cultura occidentale e l’ha fatta sua.

E infatti così si descrive: «Amo la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture. Questa è la mia via, il mio stile. Perciò non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. lo sono a metà strada, e cerco di fare qualcosa di nuovo. Scrivo storie strane, bizzarre. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà, sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all’oroscopo. Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. Non so perché. Piú sono serio, piú divento balzano e contorto».

Leggetelo Murakami e vedrete che lui racconta le persone, quelle reali: non ci sono eroi nei suoi libri (almeno in quelli che ho letto, non tutti) bensì individui normali, con le loro pulsioni, i loro stati d’animo, i loro drammi quotidiani, epperò tutt’a un tratto, nella apparente banalità delle vicende, spunta quello che lui chiama il “balzano”, il “contorto” e così, quelli che lui chiama i “contenuti” li troviamo immersi in atmosfere (le “strutture”, appunto) immaginarie, diverse, direi Lynchiane (per citare uno che Murakami adora ed io mi associo). E per me sono tinte di onirico di una tavolozza che non ha paragoni nella narrativa che leggiamo oggi (azzardo Neil Gaiman e in quella di ieri semmai Kafka).

A me piace…

A Natale ho regalato L’ASSASSINIO DEL COMMENDATORE a mia moglie che se l’è divorato in tre giorni e mi ha detto “bello, bello…” ed ora è lì che aspetta con ansia di leggere il seguito (me lo regalerà per il mio compleanno fra qualche giorno). Trepido con lei perché intanto ho letto anch’io il primo volume e ne sono uscito tramortito.

Anche qui il giapponese parte da un personaggio normale alle prese con il tradimento della moglie, poi la vicenda tutt’a un tratto parte per la tangente con una sequela di episodi (concatenati) che lo portano a contatto con personaggi misteriosi (uno, il più importante, sembra ispirato al Grande Gastby), entità sovrannaturali uscite da un quadro disturbante (dichiaratamente suggerito dal Don Giovanni mozartiano), inseriti in una ambientazione che a me ha fatto venire in mente LA FORESTA DEI SOGNI alle pendici del monte Fuji del film di Gus Van Sant e JUKAI – LA FORESTA DEI SUICIDI con la mia adorata Natalie Dormer.

Il tutto disseminato di citazioni e rimandi (Debussy, Richard Strauss, Puccini, l’opera lirica, troppe per ricordarle tutte) che la dicono lunga sulla occidentalizzazione del Giappone (uscito dalla guerra) che ha toccato musica, letteratura, pittura, tutte le arti (ed è un tema ricorrente nel romanzo – e in Murakami – quello della fusione e convivenza delle due parti, nonché la diatriba pro e contro il fenomeno).

C’è molta effettistica e spericolatezza in Haruki Murakami e un dispiego di cultura che può sembrare un riempitivo ma non lo è (e comunque a me piace) perché le “citazioni” erudite che quest’autore dispiega a piene mani (qui e negli altri suoi romanzi) sono (o fanno da) spunti al narrato.

Basta così.