Non A, di Alfred E. Van Vogt

Ritornano i classici della fantascienza con uno dei cicli fondamentali, il NON A di Alfred Elton Van Vogt. Fabio Centamore ci parla del primo volume della trilogia, ristampato di recente su Urania Collezione.

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Titolo: Non A

Autore: Alfred E. Van Vogt

Traduzione: Riccardo Valla

Genere: Fantascienza

Casa editrice: Mondadori

Anno: 2010

 

Gilbert Gosseyn è venuto da lontano per le selezioni, come tutta la gente che affolla l’intero albergo. Ha affrontato un grave lutto Gilbert, ha dovuto mettere da parte il dolore e prepararsi a lungo per l’esame. E finalmente ci siamo. Presto dovrà recarsi alla macchina, sedersi proprio di fronte alla consolle per l’esame, lasciarsi identificare dai complessi sensori dell’intelligenza artificiale. Tutto in cambio del paradiso. La comunità perfetta su Venere ha sempre bisogno di nuovi cittadini, nuovi emissari della semantica generale. Lo ha promesso a Patricia, la sua defunta moglie: riuscirà a guadagnarsi l’ammissione a Venere (da Non-A) …

 

Il romanzo, primo capitolo di una trilogia, fu pubblicato in tre puntate nel 1948. Venne ripubblicato molti anni dopo (1953) in formato librario dopo un’attenta revisione dell’autore che ne semplificò l’intreccio nel tentativo di renderlo più scorrevole alla lettura. In particolare, l’autore cercò di eliminare le incorenze iniziali nell’intreccio e le parti didascaliche legate alla descrizione della “semantica generale”. Il romanzo, del resto, era nato come un omaggio al pensiero e all’opera di Alfred Habdank Skarbek Korzybski (03/07/1879 – 01/03/1950).

Logico di origine polacca, sviluppò i concetti della cosiddetta Semantica generale da un principio apparentemente banale: “la mappa non è il territorio”. In sostanza, anticipando di poco la filosofia analitica di Wittgenstein e Rorty, Korzybski poneva l’attenzione all’analisi del linguaggio per stabilire che non poteva coincidere con la realtà. Dal momento che il nostro rapporto con la realtà è basato su una rete articolata di concetti desunti dal lingaggio (il tema era stato toccato anche da Kant nella celeberrima Critica della Ragion Pura), tale mappa mentale non coincide con il territorio del reale. Da qui la critica alla capacità conoscitiva dell’uomo e alla limitatezza del linguaggio attraverso il rischio di basare le proprie conoscenze solo su superstizioni o pregiudizi (curiosamente Stephen Jay Gould pubblicò negli anni ’80 Intelligenza e pregiudizio, in cui mostrava come molte pseudo scoperte fossero poi basate su pregiudizi razziali).

Van Vogt, insomma, immaginò una società futura basata interamente sulle teorie di Korzybski. Il protagonista, Gilbert Gosseyn, considera altamente etico porsi il problema se le proprie affermazioni possano realmente contenere verità o non siano piuttosto rappresentazione di pregiudizio. Da qui la rituale “pausa” prima di trarre un giudizio o formulare un’ipotesi. Nel romanzo è rispecchiata la convinzione che, una volta liberata dal cattivo influsso delle logiche aristoteliche (dominate dal rapporto causa – effetto e dal metodo deduttivo), l’umanità potesse sviluppare appieno le potenzialità del cervello. Non viene tirato in ballo alcun tipo di influsso esterno. Non c’entrano le radiazioni di alcun genere o altre cause diverse dalla normale evoluzione. Il principio sposato dall’autore sembra essere: migliorando il modo di usare il nostro cervello, migliora non solo la conoscenza del mondo ma anche il grado di evoluzione della specie. L’opera mostra appieno altri due tratti tipici di Van Vogt: la passione per le trame articolate e di largo respiro, la capacità di tenere il lettore incollato alla pagina. Utilizzando uno stile asciutto ma introspettivo, l’autore manovra l’intreccio come una sorta di giostra colorata. Mette in moto continui colpi di scena che sembrano apparire all’improvviso dal nulla e che spostano il fulcro dell’azione da uno scenario all’altro. Più che una trama solida e ben sorvegliata, il romanzo appare come un proiettore di futuristiche immagini. Ogni scena è come un set di inquadrature: primi piani, sguardi introspettivi, sequenze lunghe, zoommate. Questa ancora oggi l’impressione di chi legge Non A. Un film in cui l’azione ogni tanto mostra la fragilità della trama, eppure sempre affascinante grazie alla gustosa sarabanda di suggestioni.