Passengers: amore in ibernazione

C’è chi lo ha definito insulso. In parte è vero, in parte no. Dipende dai punti di vista. Passengers non offre certo grandi emozioni, non è un capolavoro eccetera eccetera, ma fa la sua modesta figura se paragonato alle tante frivolezze del cinema contemporaneo.

Passengers funziona perché è una leggera metafora dell’amore eterno, per chi ci crede. Nel film del 2016 diretto da Morten Tyldum, il passeggero di un’astronave lanciata verso un pianeta da colonizzare viene svegliato irreparabilmente dall’ibernazione novant’anni prima dell’arrivo.

Ebbene, dopo un lunghissimo anno trascorso in solitudine, con la sola consolazione di un limitato robot barman – interpretato da Michael Sheen di Master of sex – il pover’uomo decide, alla fine di un lungo tentennamento, di svegliare un’altra passeggera per godere di una compagnia di importanza vitale.

Se è vero che un uomo e una donna che si amano, di fatto, rubano la vita l’uno dell’altra, ecco forse il segreto di Passengers. Ecco perché, a modo suo, il film ha qualcosa da dire anche se non è un “capolavoro”.

Ma Passengers si guadagna la sufficienza anche per le splendide immagini dell’interno dell’astronave: ben disegnate, spaziose e dettagliate come si vede in pochi altri film di fantascienza.

Ultimo ma non ultimo, i due protagonisti sono interpretati da attori quali il simpatico Chris Pratt – Guardiani della galassia – e il premio Oscar Jennifer Lawrence – Hunger Games. È facile immaginare che un’altra coppia, per esempio quella formata da George Clooney e Sandra Bullok – insieme in Gravity – non avrebbe saputo fare di meglio.

Volendo infierire si può sottolineare il fatto che il film presenta dettagli che rendono alcune fasi cruciali della storia ben poco credibili. E la storia in sé è abbastanza banale, a pensarci bene. Passengers è anche parecchio sdolcinato. Bleah, che schifo, roba da far venire il diabete solo a guardarla.