Il cinema di fantascienza e d’esplorazione spaziale

Siamo davvero contenti di ospitare un articolo del massimo esperto (dii sicuro uno dei massimi) di cinema fantascientifico in Italia, vale a dire l’amico Michele Tetro. Questo bel saggio, che è stato diviso dall’autore in due parti a causa della lunghezza, riguarda l’esplorazione dei pianeti del Sistema Solare.

Parte Prima: nel nostro Sistema Solare

Il primissimo viaggio spaziale del cinema si era risolto per i baldi astronauti in maniera piuttosto imbarazzante: il razzo, in forma di proiettile, era andato a conficcarsi dritto nell’occhio di una Luna dal volto umano, accecandola. Forse per il nostro satellite la cosa non deve essere stata troppo simpatica ma quell’immagine era destinata a divenire una delle più celebri e “citate” della neonata arte cinematografica, addirittura la sintesi visiva di uno degli scopi del cinema: una macchina per far sognare, per realizzare visioni fantastiche. Stiamo parlando, ovviamente, del film Viaggio nella Luna (Voyage dans la Lune) di George Melies, realizzato nel 1902, fondendo Herbert George Wells e Jules Verne in un indimenticabile e grottesco spettacolo, ricco di strepitose innovazioni scenografiche ed effetti speciali. L’esplorazione spaziale cinematografica coincide con la nascita stessa del cinema, dunque. E la Luna, corpo celeste più vicino alla Terra, non poteva essere che l’obiettivo principale della grande avventura cosmica dell’uomo. Nel 1929 è la volta del grande regista austriaco Fritz Lang di portare degli uomini sul suolo selenico, con il film Una donna nella Luna (Frau im Mond), tratto da un romanzo di sua moglie Thea von Harbou. Lang prese la cosa sul serio: interpellò famosi scienziati come Hermann Oberth e Willy Ley per la consulenza scientifica (Oberth addirittura realizzò un verorazzo alto quindici metri, che avrebbe dovuto decollare alla prima del film) ed ebbe i suoi bravi problemi con la stessa Gestapo, in quanto le rampe di lancio utilizzate nella pellicola ricordavano troppo quelle ancora segrete delle future V2. La pellicola mostra scrupolosamente tutte le fasi di un viaggio sulla Luna, dalla ricerca dei capitali necessari per approntare il razzo alle esperienze in stato di imponderabilità dell’equipaggio, a gravità zero. Sembra addirittura che lo stesso Fritz Lang abbia inventato il famoso conto alla rovescia, utilizzato poi in ogni lancio dalle basi missilistiche di ogni paese, per motivi “squisitamente drammatici”. Per Lang la Luna possiede un’atmosfera respirabile e le sue gallerie sotterranee sono ricche di miniere d’oro. Negli anni Cinquanta il nostro satellite è conquistato nel famoso film Destinazione Luna-Uomini sulla Luna (Destination Moon, 1950), di Irving Pichel: grande produzione a colori del team di George Pal, ispirata al romanzo del noto scrittore di fantascienza Robert A. Heinlein, la pellicola tiene in buon conto l’attendibilità scientifica, mostrandoci la prima AEV (Attività Extra Veicolare) nel vuoto cosmico e gli effetti della gravità ridotta sul suolo lunare. Seguiranno altri viaggi e atterraggi lunari nelle due pellicole ispirate rispettivamente ai romanzi di Verne e Wells, Dalla Terra alla Luna (From the Earth to the Moon, 1958) di Byron Haskin, con il lancio del celebre “proiettile” da un gigantesco cannone, e Base Luna chiama Terra (First Men to the Moon, 1964) di Nathan J. Juran, con i primi baldi astronauti sul suolo selenitico, alla scoperta di una civiltà d’insetti che verrà sterminata dai bacilli del raffreddore. Robert Altman si dedica allo spazio dirigendo il suo primo film, Conto alla rovescia (Countdown, 1967), pellicola incentrata sul Progetto Pilgrim, ovvero sul primo volo con allunaggio verso il nostro satellite da parte di un’astronave che già anticipava l’imminente Progetto Apollo. Non si trattava più ormai di sola fantascienza: visto al giorno d’oggi il film ha un forte sapore documentaristico. La vera conquista lunare è celebrata nel film Apollo 11 (1996) di Norberto Barba, prodotto televisivo uscito al seguito del più noto Apollo 13 (1995) di Ron Howard, incentrato sull’incidente spaziale occorso al modulo di servizio nel terzo tentativo di allunaggio, pellicole documentaristiche sulla falsariga del precedente Uomini veri (The Right Stuff, 1983) di Philp Kaufman, la storia dei primi sette astronauti americani del Progetto Mercury impegnati nella gara con l’Unione Sovietica per la conquista dello spazio, i pionieri del cosmo ai loro primi voli orbitali. In questa pellicola le immagini del primo volo di John Glenn, a bordo della capsula Friendship7 sono stupende e commoventi, molto più che qualsiasi altro viaggio nello spazio inventato di sana pianta dall’immaginazione del suo autore, proprio perché indubitabilmente vere, accadute nella realtà. Ma non solo la Luna faceva gola ai primi astronauti cinematografici pre-1968, l’anno della svolta, come vedremo: Marte sembrava un traguardo molto più allettante. Dopo l’onirico e velatamente satirico Aelita di Jacov Protanazov (in cui la conquista del pianeta avviene solo nel sogno del protagonista), Marte viene preso di mira in RXM Destinazione Luna (Rocketship X-M, 1950) di Kurt Neumann, Volo su Marte (Flight to Mars, 1951) di Lesley Selander, La conquista dello spazio (Conquest of Space 1955) di Byron Haskin e SOS-Naufragio nello spazio (Robinson Crusoè on Mars, 1964) ancora di Haskin. Nel primo caso un’astronave diretta sulla Luna è costretta a prendere la rotta per Marte, dove il suo equipaggio scopre i bellicosi superstiti di una guerra atomica che ha devastato il pianeta, finendo decimato dagli aggressivi mutanti, nel secondo la missione terrestre sul quarto pianeta induce i marziani ad appropriarsi del razzo per costruirlo in serie ed invadere la Terra, e nel terzo, sulla scia del romanzo di Werner Von Braun Destinazione Marte, gli astronauti raggiungono il pianeta rosso con una nave danneggiata, e sulla superficie di Marte devono industriarsi per riparare i guasti e tornare sulla Terra. Curiosamente, questo film che sembra un inno all’esplorazione spaziale (sono mostrate stazioni orbitanti, attività extraveicolari, prime colonie lunari) ci presenta un protagonista, vittima di scrupoli di natura religiosa, follemente indotto a sabotare ogni velleità di espansionismo spaziale, quasi a voler dire che solo la Terra è il giusto posto dell’uomo. La quarta pellicola racconta invece della lotta per la sopravvivenza di un astronauta, novello Robinson moderno, precipitato sul quarto pianeta, resa ancor più pericolosa dalla presenza di schiavisti alieni nascosti tra crateri: con l’aiuto di un Venerdì extraterrestre, i due riescono a raggiungere un luogo sicuro per poi essere prelevati da una missione di soccorso. Anche le marionette elettroniche del serial televisivo Thunderbirds, realizzato da Gerry Anderson nel 1964, vanno alla conquista di Marte nel pregevole lungometraggio Thunderbirds Are Go del 1966, diretto da David Lane, uscito nei cinema e realizzato in modo tale da essere apprezzato sia da adolescenti che da adulti. Dopo un tentativo di contatto avvenuto con il non troppo serio La regina di Venere (Queen of Outer Space, 1958) di Bernard Bends (in cui un baldo equipaggio di focosi maschi terrestri dovrà liberare da una maligna dittatrice sfigurata le locali beltade venusìane, ahimè prive di controparti maschili), Venere è conquistato due volte dalla cinematografia dell’Europa dell’Est, prima dalla Germania e poi dalla Russia. Ecco quindi la sfortunata missione destinata alla catastrofe nel film Sojux 111-Terrore su Venere (Der Schweigende Stern, 1960) di Kurt Maetzig, tratta dal romanzo di Stanislaw Lem Il pianeta morto, in cui gli esploratori terrestri scoprono sul sulfureo mondo i resti di una civiltà tecnologicamente avanzatissima ma sono sopraffatti dagli artefatti alieni, al di là di ogni loro comprensione, e dalle magmatiche manifestazioni locali. A seguire I sette navigatori dello spazio (Planeta bur, 1962) di Pavel Klushantsev, dove il secondo pianeta si rivela ostile, spazzato da tempeste ed eruzioni di lava… eppure, qualcuno sembra osservare gli esploratori terrestri, una presenza forse non ostile che lascia agli uomini, prima di un decollo di fortuna, una prova tangibile della sua esistenza e la speranza di un contatto futuro. Anche Urano accoglie visitatori umani in Viaggio al 7° pianeta (Journey to the Seventh Planet, 1962) di Sidney Pink: qui i cosmonauti incappano in una forma di vita unicellulare, sorta di maxicervello vivente, che dà vita ai loro più riposti pensieri (come nel romanzo Solaris di Stanislaw Lem). Infine, un rocambolesco e involontario viaggio attraverso tutto il Sistema Solare tocca ai militari superstiti della “corsa all’UFO” ne La cortina di bambù (The Bomboo Saucer, 1967) di Frank Telford: il disco volante precipitato in Cina decolla automaticamente con tre americani giunti a “prelevarlo”, portandoli a spasso nel cosmo fino a Saturno, dove uno di loro riesce ad invertire i comandi e a far ritorno sulla Terra.

Mentre l’astronave Icarus, in viaggio nello spazio-tempo, precipita su una Terra del futuro abitata da primati intelligenti nella famosa saga de Il pianeta delle scimmie (The Planet of the Apes), il cui primo, indimenticabile episodio è diretto nel 1967 da Franklyn J. Schaffner, il 1968 rappresenta un anno epocale per il cinema di fantascienza e per la Settima Arte in generale: è l’anno dell’Odissea. Il viaggio cosmico dell’astronave Discovery, che conclude un viaggio di quattro milioni di anni di storia dell’uomo (o, forse, meglio ancora, ne dà inizio ad uno ulteriore), immaginato dallo scrittore-scienziato Arthur C. Clarke e visualizzato dal geniale regista Stanley Kubrick (mettendoci tanto di suo) nel film 2001: odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey), è la summa di quella che potrebbe essere la definitiva esperienza umana nello spazio. L’intera pellicola, nel suo complesso, è già un viaggio: un viaggio attraverso la Storia dell’Uomo, dal passato più remoto al futuro, un viaggio dello spettatore, o meglio, del suo Occhio, attraverso immagini mai viste prima, un viaggio dei personaggi, fino a Giove ed oltre l’Infinito. La ricerca, lo spostamento, la spinta alla conoscenza implica una trasformazione, operata dal misterioso monolito nero che è motore dell’azione, la forma di qualcosa che non ha Forma, la vestigia millenaria di un’intelligenza aliena solo accennata nel film: così come l’uomo-scimmia acquista un nuovo livello di comprensione che lo porterà alla conquista del proprio mondo, elevandosi sulle altre creature grazie alle armi rudimentali in suo possesso e vincendo i nemici naturali, l’astronauta David Bowman, dopo aver lottato con la macchina senziente HAL 9000, supercomputer fin troppo umano nelle sue inflessioni, risultato vincente in questa prova di forza, si evolverà nel primo membro di una Nuova Razza, in una creatura intelligentissima ma ancora “bambina”, che tornerà sul suo pianeta natale per dare inizio, forse, ad una nuova odissea. Ed è davvero geniale, in questa indimenticabile pellicola-esperienza sensoriale, che l’Alieno alla fine sia l’Uomo stesso. Nella rarefazione dei dialoghi del film si può apprezzare tutta la forza delle immagini, eccezionalmente realistiche: il viaggio dell’astronave Discovery verso il sistema gioviano, sul binario tracciato dal monolito rinvenuto sulla Luna, viene messo in scena come se fosse un documentario scientifico, l’epica e drammatica avventura d’esplorazione del cosmo è vista sotto un’ottica oggettiva e “giornalistica”, addirittura poetica nella sua prosaicità. Si può fare uno sforzo per vedere le cose sotto il profilo simbolico: il culmine del film è la nascita del Nuovo Essere, l’astronave che viaggia nello spazio ha la forma singolare di un ovulo, diretta verso la matrice creativa rappresentata dal monolito, e solo il membro più forte dell’equipaggio, l’unico superstite, può giungere a destinazione, sconfiggendo la distanza, il tempo, la scienza. Il nuovo viaggio ultradimensionale che attende Bowman perde ogni caratteristica riferibile ad un background umano (le immagini che vede oltre l’oblò della capsula nella sua caduta nel vortice cosmico sono paesaggi alterati, sprazzi di luce, universi impazziti, formazioni allusivamente falliche) e l’epilogo stesso, nella camera in stile Luigi XVI predisposta ad accogliere il traumatizzato astronauta prima della trasformazione finale, avviene in un contesto privo di ogni punto di logico riferimento umano (il tempo è alterato, curva e si sovrappone a se stesso, si odono rumori inesplicabili e si ha l’impressione che Bowman sia tenuto sotto osservazione da Qualcuno o Qualcosa che ha predisposto il tutto). 2001: odissea nello spazio è il viaggio definitivo dell’Uomo nel Cosmo, alla ricerca di se stesso, della posizione che occupa nell’Universo. Nessun’altra pellicola ha potuto fare o dire di più al riguardo (forse solo Solaris, 1971, di Andrej Tarkowskij, ma con strumenti e stile diversi, spingendosi non verso l’Esterno, come nel film di Kubrick, ma verso lo Spazio Interno, nella coscienza stessa dell’uomo di fronte alla totale alienità del pianeta-oceano pensante) ed è singolare che l’astronauta sovietico Alexei Leonov abbia dichiarato, dopo la visione del film, “…ora mi sembra di essere stato DUE volte nello spazio”. Il sequel al capolavoro kubrikiano, 2010-L’anno del contatto (2010, 1984) di Peter Hyams, ci riporta nel sistema gioviano con la nave ad equipaggio misto Leonov, impegnata nello scoprire il destino della Discovery e dell’astronauta Bowman, assorbito nel monolito orbitale: gli eventi porteranno all’esplosione di Giove e alla nascita di un nuovo Sole, che darà vita al satellite Europa, sotto la vigile sorveglianza di un nuovo obelisco nero. Vale la pena di citare ancora due film d’esplorazione spaziale degli anni Settanta, all’interno del Sistema Solare. magnificamente realizzati con le tecniche più avanzate degli effetti speciali: in Doppelganger-Doppia immagine nello spazio (Journey to the Far Side of the Sun, 1970) di Robert Parrish, un pianeta speculare della Terra, orbitante in senso opposto al di là del Sole e quindi perennemente invisibile ai telescopi terrestri, viene individuato da una sonda artificiale. Si organizza così una spedizione spaziale composta da due uomini, che scopriranno, a loro danno, che il mondo misterioso è una copia rovesciata della Terra stessa, un “doppio” riflesso del loro pianeta. Gran parte del film ci mostra le fasi dell’addestramento degli astronauti e del viaggio cosmico, con attenzione e dovizia di particolari particolarmente insistita a favore dell’attendibilità e del realismo (ben si recepisce la lezione di 2001). Nei dintorni di Saturno si svolge invece il viaggio dell’astronave Valley Forge in 2002: La seconda odissea (Silent Running, 1971) di Douglas Trumbull, falso sequel di 2001: la ciclopica nave spaziale trasporta gli ultimi esemplari della flora terrestre, chiusi in gigantesche serre, ma l’ordine di distruggere le cupole per recuperare le astronavi ad altro incarico non va giù al botanico Freeman Lowell, che preferisce fuggire nello spazio in compagnia di tre robot, dopo aver liquidato tutto il suo equipaggio. Il suo viaggio però ha un tragico epilogo: rintracciato da altre astronavi Lowell preferisce autodistruggere la Valley Forge, mentre l’ultima foresta della Terra viene lanciata nel cosmo accudita da un robot. Anche la Germania dell’Est si cimenta in una pregevole odissea spaziale con il film Signale-Ein Weltraumabenteuer del 1970, diretto da Gottfried Kolditz: nel sistema gioviano un misterioso radiofaro forse di origine aliena attira a sé l’equipaggio di una nave terrestre, già inviata per soccorrere un’altra nave data per dispersa. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei 2000, grazie al secondo atterraggio su Marte (dopo quello dei due Vikings nel 1977) della sonda Pathfindere del suo rover semovente Sojourner, Hollywood riscopre il quarto rosso, prima con l’esilarante Rocket Man(1997) di Stuart Gillard, l’avventura di un balengo programmatore di missione della NASA che si ritroverà, combinandone di tutti i colori, ad essere il primo uomo sul suolo marziano, poi con i coevi Mission to Mars (2000) di Brian De Palma, e Pianeta rosso (Red Planet, 2000) di Antony Hoffman. Il primo film illustra la conquista di Marte da parte di due spedizioni (una in soccorso dell’altra) che dovranno scoprire l’enigma del grande Volto Marziano, un mistero che riporta addirittura all’origine dell’uomo sulla Terra, mentre la seconda pellicola racconta del tentativo di terraforming del pianeta da parte di una squadra di astronauti dispersi che dovrà prima affrontare un robot impazzito e in modalità predatoria. Infine, con Last Days on Mars (2013) di Ruairi Robinson, l’epopea terrestre su Marte si trasforma in horror, quando tra i componenti della missione spaziale sul pianeta rosso si diffonde un contagio da batteri locali che li trasforma in zombi assetati di sangue e bramosi di uccidersi a vicenda. E concludiamo ricordando altre due pellicole che, dopo i citati 2001 e 2010, hanno portato ancora l’uomo in esplorazione nel sistema gioviano. Nel plumbeo Operation Ganymed (1977) di Rainer Erler una missione congiunta europea conquista il satellite di Giove del titolo, ma gran parte dell’equipaggio delle navi impegnate perisce in un incidente dopo la permanenza sulla luna gioviana, dove tra l’altro sono state scoperte tracce di vita. I superstiti, tornati sulla Terra con un’astronave di salvataggio, precipitano in una località deserta, e senza la possibilità di comunicare il loro avvenuto rientro, iniziano una tragica odissea nelle solitudini senza vita del Nuovo Messico: solo un astronauta riuscirà a guadagnare la civiltà, dopo aver vissuto un drammatico e mortale survival-game proprio sul suo pianeta d’origine. Condannata alla perdizione anche la missione umana su Europa, alla ricerca di forme vitali, nel recente pseudo-docudramma Europa Report(2013) di Sebastian Cordero, in cui vengono raccontati, con la tecnica del found-footage, gli ultimi momenti di vita dell’equipaggio di un’astronave che riesce a scendere sul quarto satellite di Giove, scoprendo un oceano giacente sotto la superficie ghiacciata. Purtroppo, tutta una serie d’incidenti minerà l’intera missione e solo nell’ultimissimo fotogramma del film scopriamo che davvero qualche forma di vita senziente si nasconde nelle acque misteriose, apparendo di sfuggita nella registrazione video dell’ultimo astronauta superstite. Queste le pellicole principali inerenti le esplorazioni nel nostro spazio vicino, all’interno quindi del Sistema Solare. Ma sin dagli anni Cinquanta il cinema ha saputo trasportarci verso altri mondi esterni, verso le stelle più lontane. E quel che vedremo nella prossima puntata del nostro viaggio.

Michele Tetro