Philip K. Dick: il cantore della California

 

La lectio magistralis di Umberto Rossi prosegue oggi con la seconda e ultima tappa dell’intervista dedicata allo scrittore Philip Kindred Dick (1928-1982). La prima parte è uscita una settimana prima.

Scrittore e saggista, Umberto Rossi è uno dei massimi conoscitori di Philip K. Dick a livello internazionale. Il suo lavoro più significativo è senza dubbio The Twisted Worlds of Philip K. Dick: A Reading of Twenty Ontologically Uncertain Novels (McFarland, 2011). Ma oltre a essere un esperto dell’autore californiano, Rossi è anche uno studioso della fantascienza nel senso più ampio del termine. Per esempio nel 2015, con Arielle Saiber e Salvatore Proietti ha curato il numero 126 del quadrimestrale statunitense Science Fiction Studies. Un numero, quello, davvero speciale perché dedicato alla fantascienza italiana. Degni di nota sono anche i suoi innumerevoli saggi sparsi per la rete, tra cui gli articoli scritti per Cronache di un sole lontano, passando dai profili d’autore di Barry Malzberg e China Mièville fino all’approfondimento de Gli anni del riso e del sale di Kim Stanley Robinson. Merita di essere menzionata, infine, l’uscita per Delos Digital del suo romanzo L’uomo che ricordava troppo (2015).

Esiste una coerenza narrativa, se non ideologica, nelle variegate opere dell’autore? Oppure i suoi libri e racconti riflettono una visione ambigua del mondo, dell’uomo e della società?

La coerenza c’è nella misura in cui certe figure, certi temi, certe situazioni ricorrono in tutta la sua opera. In quasi tutti i romanzi ci sono ragazze dai capelli scuri molto attraenti ma anche pericolose. Dick, per darti un’idea, se avesse incontrato Virginia Raggi ci avrebbe provato subito. Come ci voleva provare con Sean Young, l’attrice che impersonò Rachel in Blade Runner. Poi la musica: è dappertutto. Dick scriveva di notte, chiuso nel suo studio, con la cuffia in testa e la musica a getto continuo. Rock, country, classica, barocca, musica giapponese, di tutto. Dick aveva lavorato in un negozio di dischi e conosceva la musica in una maniera sbalorditiva. Aveva una collezione di dischi colossale, probabilmente diverse migliaia di LP. Pensa che recentemente l’ultima moglie di Dick, Tessa Busby, ha regalato a un appassionato 200 LP di proprietà del marito, spiegando che erano solo una piccola parte della sua discoteca. E poi il nazismo, la seconda guerra mondiale, le droghe, gli androidi, il viaggio nel tempo, sono temi che ricorrono, trattati spesso in modo del tutto sovversivo.

Quanto all’ideologia, lì la faccenda si fa più complicata. Com’è complicato, Dick. Questo è l’uomo che scrisse e spedì due lettere al presidente Nixon nel momento in cui era travolto dallo scandalo Watergate: una di appoggio e solidarietà, una nella quale dice di vergognarsi di essere americano per quello che Tricky Dick ha combinato coi suoi tirapiedi. Qual è il vero Dick? Entrambi. Se veramente soffriva di disordine bipolare, c’è da aspettarsi che assumesse posizioni contraddittorie. Quando prevaleva la depressione era diffidente, chiuso, aggressivo, spaventato. Quando era nella fase euforica era la migliore persona del mondo, tu andavi a casa sua per farti autografare un libro e lui ti teneva lì a parlare e sentire musica per tutta la giornata, e ordinava pure pranzo e cena a portar via. Ambiguo? Io direi che, come il poeta americano Walt Whitman, era vasto, e conteneva, se non moltitudini, diverse personalità. Come alcuni dei suoi personaggi, del resto. In Valis i protagonisti sono due, il ragionevole Phil Dick, e lo sballato Horselover Fat. Ma sono entrambi lui, l’autore.

Quali sono i romanzi più significativi nei temi “caldi” di Dick? Mi riferisco alla diversa percezione del reale, così come all’apocalissi, alla guerra e alla vita artificiale.

Allora, ci provo, eh? Ci provo a tirare giù una lista. Se parliamo di droghe, Un oscuro scrutare. Se parliamo di viaggi nel tempo, il racconto “Noi temponauti”. Se parliamo di religione, Invasione divina. Quando si tocca il tema “androidi”, le letture obbligatorie sono due: L’androide Abramo Lincoln e Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. Poi, sul tema Germania e nazismo, ovviamente L’uomo nell’alto castello. Guerra fredda: lì sono da leggere La penultima verità, ma anche Tempo fuor di sesto e L’occhio nel cielo. Guerra atomica: Cronache del dopobomba. Psichedelia, l’ho già detto prima, quando parlo degli anni Sessanta. Autobiografia, sicuramente Valis, Radio Libera Albemuth, La trasmigrazione di Timothy Archer. Questa è già una bella serie di letture, e uno che abbia letto tutti questi romanzi e racconti può dire di aver cominciato a conoscere Dick. Ecco, adesso voglio che sia chiara una cosa, e parlo per esperienza personale: se di questo scrittore leggi un romanzo e basta, stai certo che ancora non hai capito con chi hai a che fare. Al terzo, al quarto, cominci a capire di cosa si tratta. E di solito a quel punto non ti fermi più.

L’esegesi, un massiccio volume uscito abbastanza di recente per la Fanucci, è una grossa mole di appunti scritti da Philip K. Dick, e viene presentato come l’ultimo lavoro in assoluto dell’autore. Non oso immaginare che cosa ci sia dentro. Tu ne sai qualcosa?

Come no, come no. Allora, nel 1974, nei mesi di febbraio e marzo, Dick, che era uscito dal periodo più caotico e drammatico della sua vita, s’era sposato per la quinta volta. Aveva avuto il terzo figlio, Christopher, da Tessa, l’ultima moglie. Ecco, in quel periodo Dick ha una serie di visioni. Immagini psichedeliche, tipo quadri d’arte astratta. Gli vengono in testa frasi in greco antico. Ha la sensazione di non vivere nella California meridionale degli anni Settanta, ma nella Roma del 70 d.C. Da quel momento fino alla sua morte, lo scrittore s’arrovella sul senso e la natura di quelle esperienze. Comincia a prendere appunti descrivendo quello che ha visto e cercando di spiegarselo: come suo solito, sforna teorie e ipotesi in quantità industriali. Comunicazioni da alieni. Effetto dell’abuso di droghe nel passato. Pazzia. Contatto con Dio. Viaggio mentale nel tempo. Tutte queste riflessioni e intuizioni le butta giù talvolta a penna, talvolta con la macchina da scrivere. E siccome è uno scrittore professionista, cioè uno che scrive per campare (un concetto che da noi non è tanto chiaro, purtroppo, mentre in America sì), Dick mette tutto da parte, archivia tutto. Ormai sappiamo che parte di quei materiali li riusa per scrivere i romanzi finali, Radio Libera Albemuth e la Trilogia di Valis, più qualche racconto. Quindi per i critici letterari come me sono materiali preziosi.

Però sia chiaro: tutta quella massa di fogli di appunti che vengono trovati in casa sua quando passa a miglior vita, Dick non li aveva scritti per pubblicarli. Erano per suo uso privato. Non erano affatto pensati perché noi li leggessimo, e infatti in certi punti non è facile capire cosa scrive e perché. C’è poi da tenere conto che il volume Fanucci, traduzione di quello americano curato da Pamela Jackson, comprende solo una parte dell’Esegesi. Una piccola parte. Nell’edizione critica, Pamela Jackson è stata assistita da un gruppo di cinque dickiani di ferro, tra cui il mio amico David Gill, che di Dick sa veramente tutto.

L’esegesi contiene di tutto e di più. Non ci provo neanche a riassumere, non si può. Ci sono intuizioni geniali, momenti di follia, cose criptiche e indecifrabili, riflessioni molto personali e quasi imbarazzanti. Decisamente non è il libro che consiglierei a uno che vuole cominciare a conoscere Philip Kindred Dick. Però, se uno si appassiona a questo grande cantore della California, dell’America, a questo scrittore del presente, a quest’uomo che ha capito dove stavamo andando e cosa ci aspettasse prima e meglio di tanti altri, direi che prima o poi una visita anche all’Esegesi la dovrà fare.