Prigionieri del caduceo, di Ward Moore

Il numero 1618 di Urania (Maggio 2015) è dedicato a Ward Moore (1903-1978) e contiene un romanzo (I prigionieri del Caduceo) e due racconti legati fra loro in un unico continuum.
La genesi del romanzo (Caduceus Wild) merita una menzione: inizialmente pubblicato a puntate nel 1959 sulla rivista Science Fiction Stories fu aggiornato negli anni e pubblicato postumo all’autore nel 1978 nella sua versione definitiva. Non più ortodosso è il percorso che il romanzo ha dovuto fare per essere pubblicato in Italia: la traduzione di Salvatore Proietti era originariamente destinata a una collana curata da De Turris e mai realizzata. Lo stesso De Turris, insieme a Fusco, firma la postfazione al romanzo, allegata nella rubrica La Gaia Scienza in coda al romanzo.

Moore immagina un pianeta che, falcidiato da una guerra batteriologica, ha consegnato le chiavi dell’organizzazione sociale alla classe medica. Il Nord America, come tutto il resto del mondo con la sola eccezione dell’Inghilterra, vive sotto una dittatura imposta dai medici. I cittadini, ora chiamati Pazienti, non hanno più alcun diritto: sono soggetti a controlli obbligatori periodici e possono essere fermati in qualunque momento da un medico per un controllo straordinario. I pazienti sono obbligati a portare sempre con sé la propria cartella medica con tutta la relativa storia clinica, mentre la Medarchia (questo è il nome della ditttatura nel Nord America) impone le sue disposizioni in materia di lavoro, matrimonio, riproduzione, fino a stabilire perfino quali soggetti hanno il diritto di vivere e quali invece sono troppo malridotti per sprecare cure sanitarie a loro vantaggio.
In questo contesto i protagonisti del romanzo, facenti parte dei cosiddetti anormali (coloro che non credono nella medarchia e si oppongono al regime), cercheranno di realizzare una precipitosa fuga verso la libera Inghilterra, alla ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri figli. La loro corsa verso la libertà è il pretesto che Moore sceglie per infarcire la storia di dialoghi e riflessioni sulla Medarchia e sulla libertà individuale.
Da queste premesse ci si aspetterebbe una narrazione che alterna momenti di frenetica adrenalina a pause di riflessione e duelli verbali. Il problema è che, anche se l’idea è certamente degna di nota, Moore non riesce a conciliare del tutto le due anime del romanzo. Inoltre le fasi adrenaliniche sono mal concepite e risultano ben poco credibili, mentre i momenti di ponderazione e discussione scemano in duelli verbali scialbi e poveri di contenuto che nulla hanno da offrire al lettore. La società immaginata da Moore è poco credibile, così come è difficile accettare l’idea che la sola Inghilterra sia rimasta libera dal nuovo regime mondiale e, soprattutto, come possa accettare a braccia aperte l’enorme numero di profughi che da ogni parte del mondo dovrebbero desiderare di raggiungere l’unica nazione del globo libera dal virus della dittatura sanitaria.

In definitiva la tematica del romanzo è affrontata con scarso risultato e sembra strizzare l’occhio a quanti si sono convinti di superare gli inevitabili problemi che la conoscenza scientifica ha portato all’umanità ignorandone i benefici e rivolgendosi a pratiche e superstizioni che di scientifico non hanno nulla. I medici e la dittatura di questo romanzo sono arroganti, la società è decisamente paternalistica, ma la risposta che Moore mette in bocca ai suoi protagonisti non è chiara ed è fortemente dubbio che possa essere meglio del male che vuole curare.

A seguire il romanzo troviamo i due racconti Lot e La Figlia di Lot in cui l’autore descrive il più classico degli scenari apocalittici dal punto di vista di un uomo previdente e desideroso di sopravvivere. Il primo racconto narra della fuga dalla città a seguito dell’evento scatenante la crisi, mentre nel secondo racconto il nostro protagonista sarà alle prese con l’ordinaria sopravvivenza in una natura selvaggia e priva delle comodità della vita civile. Con un finale certamente degno di nota e una narrazione essenziale, ma che coglie benissimo il senso della storia, i due racconti si fanno apprezzare sicuramente più del romanzo che li precede.