Profilo di Jack Vance

Il blog collettivo CDUSL è lieto di ospitare il profilo del grande scrittore californiano Jack Vance, che “Master” Claudio Battaglini ha scritto in origine per il gruppo Facebook Best Sagas (un grazie anche all’amico Sebastiano B. Brocchi). Buona lettura e che l’opera del menestrello di San Francisco abbia sempre nuovi appassionati!
La redazione
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Jack Vance a Sonora (California), 1948 circa. Fonte foto: https://jackvance.com/jackvance/albums/album1/

Gli scrittori abitano in case costruite da altri.

Erano dei giganti, gli uomini e le donne che hanno innalzato le case che abitiamo. Sono partiti da una landa desolata e hanno costruito il Fantastico, lasciando sempre l’edificio incompiuto in modo che chi fosse arrivato dopo di loro potesse aggiungere un’altra stanza o un’altra storia. È stato Clark Ashton Smith a scavare le fondamenta delle avventure della Terra morente, Jack Vance dopo di lui le ha erette, alte e magnifiche, come ha reso alto e magnifico tanto altro ancora, e ha costruito un mondo in cui tutta la scienza è adesso magia, alla fine del mondo, quando il sole ormai fioco si prepara a tramontare.
Scoprii La terra morente a tredici anni, in un’antologia intitolata Flashing Swords! Il racconto si intitolava “Morreion” e mi insegnò a sognare. Scovai una copia britannica della Terra morente, un’edizione tascabile piena di strani refusi, ma comunque i racconti erano lì, altrettanto magici quanto lo era “Morreion”. In una buia libreria dell’usato, dove tizi in impermeabile compravano riviste porno di seconda mano, trovai una copia delle Avventure di Cugel l’astuto, oltre a polverosi libriccini di singoli racconti (“Il Faleno lunare” è, come ritenevo allora e ritengo ancora oggi, il racconto di fantascienza dall’architettura più impeccabile che sia mai stato scritto). In quell’epoca Vance cominciava a essere pubblicato in Inghilterra, e all’improvviso per leggere i suoi libri non dovevo far altro che comprarli. Così feci: I principi demoni, la trilogia dell’ammasso di Alastor e tutto il resto. Mi piaceva un sacco il suo modo di divagare, il suo modo di immaginare, e più di tutto mi piaceva il suo modo di scrivere: ironico, delicato, divertito come si divertirebbe un dio, ma senza mai sminuire ciò che scriveva, un po’ alla James Branch Cabell, ma con un cuore oltre che un cervello.
Ogni tanto mi accorgo di aver modellato una frase “alla Vance” e quando succede la cosa mi rallegra sempre (per quanto Jack Vance sia uno scrittore che mai oserei imitare). Sono piuttosto pochi, fra quelli che ho amato a tredici anni, gli scrittori che mi immagino di riprendere in mano da qui a vent’anni. Jack Vance è uno di quelli che rileggerò sempre.
Che a “L’incantamento dell’incuranza” sia stato assegnato il Locus Award per il miglior racconto mi ha fatto estremamente piacere, ma il pensiero che fosse un premio da dividere a metà tra la mia storia e Jack Vance, quello sì, ha entusiasmato e vendicato il Neil adolescente alle prese con la simulazione dell’Ordinary.
Dall’introduzione a TRIGGER WARNING di Neil Gaiman

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Utilizzo spesso il mio amato Gaiman, con il quale condivido molte passioni letterarie, per quanto ha detto su molti scrittori. E anche perché lo dirà sempre meglio di quanto possa fare io… A uno dei più grandi e più amati autori della SF ci si accosta con un leggero brivido, ma anche con piacere, per quelle incredibili e splendide fantasie che ci ha regalato per tanti anni nel corso della sua carriera, fortunatamente lunga.
John Holbroock Vance, autore americano, frequenta l’Università della California inizialmente come ingegnere minerario, poi passa a fisica, quindi a giornalismo, ma non prenderà mai una laurea. Durante la Seconda Guerra Mondiale serve nella Marina Mercantile, venendo silurato due volte, nell’estate del 1945 su Thrilling Wonder Stories pubblica il suo primo racconto, IL PENSATORE DI MONDI (The World Thinker). Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50 scrive diversi racconti e romanzi per le riviste pulp, in particolare Startling Stories e Thrilling Wonder Stories. Molti di questi racconti ricompariranno più tardi in diverse antologie retrospettive, quasi tutte inedite in Italia, vorrei ricordare però il bel LA TERRA DI ERN, con 13 racconti e romanzi brevi, uscito in edizione originale per la Nord, LE AVVENTURE DI MAGNUS RIDOLPH (The Many Worlds of Magnus Ridolph, 1966) e IL MEGLIO DI JACK VANCE (The Best of Jack Vance, 1976).
Sulla strada già iniziata da scrittori e scrittrici del calibro di Leigh Brackett, C.L. Moore e Clark Ashton Smith, intanto Vance si avvia a narrare un planetary romance che non avrà eguali nel mondo della SF e del fantasy del dopoguerra, diventando una figura di primo piano, non solo per la ricchezza inventiva, ma anche per l’alta qualità narrativa delle sue opere, e influenzando a sua volta molti autori delle generazioni successive, che tranquillamente e sinceramente riconosceranno, con orgoglio, questa ispirazione, parliamo di scrittori come Jack L. Chalker, Avram Davidson, Harlan Ellison, Ursula K. Le Guin (in particolare riguardo al discorso antropologico), George R.R. Martin, Michael Moorcock, Dan Simmons, Gene Wolfe, Neil Gaiman e molti altri, tra i quali per certi versi, troviamo tracce vanceane anche nelle opere iniziali di J.G. Ballard.
Jack e Norma Vance durante un soggiorno londinese, 1952 circa. Fonte foto: https://jackvance.com/jackvance/albums/album2/

All’interno del planetary romance Vance crea due sottogeneri, il primo riguarda la sua splendida saga della Terra Morente, nome che deriva appunto dal suo primo libro LA TERRA MORENTE (The Dying Earth), una raccolta di vari racconti che uscirà nel 1950. Questo libro (lo ammetto, fu uno di quelli che mi fulminò letteralmente ai miei inizi di lettore) comprende sei storie che ci parlano di una Terra lontana nel tempo, dove la magia è diventata fondamentale e il ricordo della scienza si è perso. Il pianeta dopo milioni di anni è popolato da un crogiolo di razze pittoresche, estremamente pericoloso per chi ci vive e l’ingegneria genetica ha creato una strana evoluzione. Per sopravvivere in questa letale Terra morente, bisogna fare continuamente ricorso ad un’abile negoziazione, particolare che anni dopo probabilmente verrà utilizzato anche nell’uso di alcune carte del famoso RPG Dungeons & Dragons. I vari e pittoreschi comportamenti culturali, le descrizioni di questo mondo diventato ormai alieno, la fine ricerca antropologica, vanno a comporre un tessuto che rimarrà davvero unico nel mondo del fantastico.

Al netto di una certa ripetitività che annacqua un po’ le opere successive, la saga continuerà con LE AVVENTURE DI CUGEL L’ASTUTO (The Eyes of the Overworld, 1966, un’altra raccolta), MORREION (Morreion, A Tale of the Dying Earth, 1973), IL SACCO DEI SOGNI (The Bagful of Dreams, 1979), LE DICIASSETTE VERGINI (The Seventeen Virgins, 1974-1979), gli ultimi tre sono racconti, LA SAGA DI CUGEL (Cugel’s Saga, 1983, raccolta) e RHIALTO IL MERAVIGLIOSO (Rhialto the Marvellous, 1984, raccolta). Nel 1974 Michael Shea pubblicherà SIMBILIS (A Quest of Simbilis), seguito di The Eyes of the Overworld, che crea però un po’ di conflitto narrativo con Cugel’s Saga. L’influenza della Terra Morente sarà notevole e consentirà ad autori come Moorcock di meglio definire il genere della science fantasy. Da ricordare anche il ciclo del Nuovo Sole (The Book of the New Sun) di Gene Wolfe, che deve molto all’opera di Vance e che ne espanderà alcuni concetti.
La seconda via vanceana al planetary romance è quella del Big Planet, che prende il nome anche in questo caso dal primo romanzo che ne parla, L’ODISSEA DI GLYSTRA (Big Planet, 1952), con il seguito, arrivato diversi anni dopo, IL MONDO DEGLI SHOWBOAT (Showboat World, 1975). Vance riesce a ravvivare e a innovare una narrazione planetaria che risaliva ancora a E.R. Burroughs e alle storie delle riviste pulp, il Grande Pianeta, enorme, ma nel complesso simile al nostro mondo, ma con una carenza di metalli pesanti, fornisce un ottimo sfondo per le speculazioni sociali tanto amate da Vance, con forme di civiltà sprovviste di alta tecnologia, dalle lontane origini umane, ma che hanno dispiegato nel tempo un’incredibile nuova varietà di usi e costumi.
I mondi creati da Vance fanno parte di un vasto insieme di sistemi stellari, il Gaean Reach, nel quale si sbizzarrirà con civiltà assortite, singolari e bizzarre, a volte alleate tra loro, a volte in contrasto. I protagonisti delle sue storie sono spesso alle prese con la difficoltà di apprendere come comportarsi e come rapportarsi rispetto alle usanze con cui si devono confrontare, peraltro impegnati anche a districarsi nei complessi intrecci narrativi creati dall’autore.
Tra gli altri titoli di questa fase iniziale di carriera troviamo IL FIGLIO DELL’ALBERO (Son of the Tree, 1951), GLI SCHIAVI DEL KLAU (Slaves of the Klau, 1952), LE CASE DI ISZM (The Houses of Iszm, 1954), il bel GLI AMARANTO o STATO SOCIALE: AMARANTO (To Live Forever, 1956), sull’immortalità in un lontano futuro distopico e I LINGUAGGI DI PAO (The Languages of Pao, 1957) dove ipotizza che sia il linguaggio a creare la percezione e non il contrario. Da ricordare anche il racconto L’UOMO DEI MIRACOLI (The Miracle-Workers, 1958) e il romanzo breve SIGNORI DEI DRAGHI (The Dragon Masters, 1962) con cui vince il suo primo premio Hugo, ambientato anche questo in un lontano futuro, basato sull’ingegneria genetica e dove la scienza è così evoluta e avanzata da sembrare una forma di magia.
Intanto lo stile di scrittura di Vance diventa sempre più ricco e raffinato, andando di pari passo con la complessità dei suoi mondi e dei nomi che contraddistinguono terre e personaggi. E’ la volta di tre romanzi che ce lo mostrano in gran spolvero, PIANETA D’ACQUA (The Blue World, 1964), nel quale una colonia planetaria nata da una astronave di criminali, utilizza i termini dei crimini commessi come nomi di casta, CROCIATA SPAZIALE (Emphyrio, 1969) e IL MONDO DI DURDANE (The Anome, 1971), che è il primo della trilogia di Durdane. Li caratterizza la similare storia di un ragazzo, nato in una società chiusa e statica, che entra in contrasto con essa, anche fino alla ribellione, il tutto ambientato in vividi mondi in perfetto stile Vance.
Con l’avanzare della sua carriera, JV dà inizio a varie serie, ma talvolta mostra una certa tendenza a un calo qualitativo nei romanzi finali di esse, che sono inferiori a quelli iniziali. Nelle sue storie troviamo spesso una grande passione per la vendetta, arriva il ciclo dei Principi Demoni (Demon Princes), una saga interstellare formata da IL RE STELLARE (The Star King, 1964), LA MACCHINA PER UCCIDERE (The Killing Machine, 1964), IL PALAZZO DELL’AMORE (The Palace of Love, 1967), LA FACCIA (The Face, 1979) e IL LIBRO DEI SOGNI (The Book of Dreams, 1981).
Ecco anche i romanzi della serie Planet of Adventures, da noi meglio conosciuta come ciclo di Tschai, molto amata anche in Italia, NAUFRAGIO SU TSCHAI (City of the Chasch, 1968), LE INSIDIE DI TSCHAI (Servants of the Wankh, 1969), I TESORI DI TSCHAI (The Dirdir, 1969) e FUGA DA TSCHAI (The Pnume, 1970).
Completa quindi la trilogia di Durdane, dopo The Anome, già citato in precedenza, arrivano IL POPOLO DI DURDANE (The Brave Free Man, 1973) e ASUTRA (The Asutra, 1974).
Sempre inarrestabile eccolo proporci la bella trilogia dell’Ammasso di Alastor (Alastor Cluster), con ALASTOR 2262 (Trullion: Alastor 2262, 1973), MARUNE: ALASTOR 933 (Marune: Alastor 933, 1975) e WYST: ALASTOR 1716 (Wyst: Alastor 1716, 1978).
Molti di questi romanzi sono planetary romances, si possono tranquillamente leggere come cicli non strettamente interconnessi, anche se hanno un lieve legame con l’universo del Gaean Reach e i Principi Demoni sono parte, ambientati nel lontano passato, delle Cronache di Cadwal che vedremo più avanti.
Già qualcosa abbiamo visto, ma relativamente alla narrativa breve Vance non produsse moltissimo, da ricordare senz’altro L’ULTIMO CASTELLO (The Last Castle, 1966), vincitore di Hugo e Nebula e LA FALENA LUNARE (The Moon Moth, 1961), uno dei suoi scritti più elaborati, che parla dell’uso della musica come forma di comunicazione. Musica e altre arti sono ritrovabili, oltre ai già citati Emphyrio, The Anome e Showboat World, anche nel singolare L’OPERA DELLO SPAZIO (Space Opera, 1965).
Una curiosità: Vance fu sempre molto riservato su quanto riguardava la sua vita e le sue opere, tanto che il suo basso profilo nel 1950 diede vita a una voce che diceva che sotto al suo nome si nascondeva in realtà un ennesimo pseudonimo di Henry Kuttner e la cosa da alcune parti continuò ad essere creduta per altri 20 anni, nonostante la prematura morte di Kuttner nel 1958
Negli anni ’80 arrivano due nuove e notevoli serie, quella fantasy del ciclo di Lyonesse, sul luogo di nascita di Tristano al largo delle coste francesi, LYONESSE (Lyonesse Book 1: Suldrun’s Garden, 1983), LA PERLA VERDE (Lyonesse II: The Green Pearl, 1985) e LYONESSE: MADOUC (Lyonesse: Madouc, 1989) e quella SF delle Cadwal Chronicles con STAZIONE ARAMINTA (The Cadwal Chronicles: Book One: Araminta Station, 1987), I SEGRETI DI CADWAL (Cadwal II: Ecce and Old Earth, 1991) e THROY, IL TERZO CONTINENTE (Cadwal III: Throy, 1992), nei quali Vance espande ulteriormente la narrazione del planetary romance con trame nuove e complicate, il protagonista principale è il pianeta Cadwal, una riserva naturale con una ecologia protetta.
L’opera di JV non riguarda mai in modo particolare l’intervento di divinità, come fatto da altri suoi colleghi, anzi, l’attenta descrizione e focalizzazione sulla condizione umana indica piuttosto l’assenza di una Guida Divina.
Jack Vance alle prese con le sceneggiature della serie tv “Capt. Video” (New York), 1953 circa. Fonte foto: https://jackvance.com/jackvance/albums/album3/

Tra le sue ultime opere troviamo FUGA NEI MONDI PERDUTI (Ports of Call, 1998) e LURULU (Lurulu, 2004) nei quali torna il tema della vendetta. Tra le altre sue opere precedenti non ancora citate ricorderei IL PRINCIPE GRIGIO (The Gray Prince: A Science Fiction Novel, 1974) e MIRO HETZEL L’INVESTIGATORE (Galactic Effectuator, 1976). Vance fu anche un attivo scrittore di gialli e polizieschi, in particolare durante gli anni ’60 e fece lo sceneggiatore anche per la serie tv Captain Video.

Ma noi lo ricordiamo soprattutto come una figura centrale e fondamentale per la SF e il fantasy, un insuperato creatore di mondi, un vero paesaggista e un acuto osservatore di civiltà e di società umane, coi suoi personaggi spesso fascinosamente immorali e amorali, per oltre 50 anni di carriera. Nel 1984 riceve il World Fantasy Award, nel 1997 lo SFWA Grand Master Award e nel 2001 entra giustamente nella Science Fiction Hall of Fame.
Per concludere vorrei ricordare e far notare come in Italia l’opera di Jack Vance sia ancora viva e ben considerata, fortunatamente da noi è uscito tradotto quasi tutto, il gruppo a lui dedicato su Facebook è estremamente vivace, collegato con gli altri esistenti nel mondo e, grazie soprattutto al lavoro di Stefano Sacchini, siamo riusciti ad avere contatti con il gruppo Spatterlight Press che cura tutta la produzione vanceana, e la cosa è sfociata nell’intervento della nostrana Delos Books che ha iniziato la ripubblicazione delle migliori opere, da tempo assenti dalle librerie (e che lo scorso anno grazie anche al curatore della Spatterlight, Kilo Volt, ha portato a Stranimondi il figlio di Vance), fino ad arrivare, grazie anche al meritorio contributo di traduttore di Marco Riva, all’uscita dello splendido, intrigante e consigliatissimo CIAO, SONO JACK VANCE! (This Is Me, Jack Vance! or, More Properly This Is “I”, 2009), la sua autobiografia, vincitore di un Hugo, e dell’inedito NOPALGARTH (Nopalgarth, 1980).