Recensione di Snowpiercer, di Bong Joon-ho

Il 27 febbraio 2014 per la distribuzione Koch Media, è uscito nelle sale Snowpiercer, film di co-produzione Corea del Sud-Stati Uniti liberamente tratto da “Le Transperceneige”, fumetto francese scritto da Benjamin Legrand e Jacques Lob e disegnato da Jean-Marc Rochette, un’opera di fantascienza post-apocalittica pubblicata in Italia da Editoriale Cosmo (Collana Blu, n°6, Febbraio 2014).
Diretto da Bong Joon-ho (The Host, 2006; Madre, 2009), con protagonisti Chris Evans (Curtis), Jamie Bell (Edgar) e quel Song Kang-ho (Namgoong Minsu) attore feticcio di Bong, annovera tra gli altri John Hurt (nel ruolo del vecchio mentore Gilliam), un’irriconoscibile Tilda Swinton (Mason) quale marionetta e simbolo del potere e un Ed Harris (Wilford) che si trova quasi a calarsi ancora una volta nel ruolo del grande architetto Christof che fu suo in The Truman Show.
Dopo una nuova glaciazione che ha sterminato ogni forma di vita, conseguenza inesorabile degli abusi dell’umanità ai danni del pianeta, i pochi sopravvissuti  sono costretti a un viaggio eterno e ciclico intorno al pianeta, all’interno di un treno di mille e uno vagoni che non può fermarsi e le cui carrozze rispecchiano nel proprio microcosmo sociale una netta separazione in classi e ruoli. Fin dall’inizio è infatti chiara la metafora del sistema capitalista nel quale, in coda, i più deboli lottano tra di loro in modo cruento per sopravvivere, mentre in testa i ricchi e i potenti godono degli sfruttamenti delle classi inferiori.
A scanso di equivoci chiariamo subito che Snowpiercer è ben diverso dall’opera francese, e la sceneggiatura, scritta da Bong insieme a Kelly Masterson (Onora e il padre e la madre, Lumet, 2007), conserva solo il concept dell’attraversamento, eliminando a conti fatti l’elemento amoroso e riprendendo soltanto la prima delle tre parti delle quali è composto “Le Transperceneige”. Pochi sono gli altri elementi rimasti, quali: alcuni nomi dei personaggi; il cibo proteico e gelatinoso di cui si nutrono i reietti della coda del treno, la “mamma”; e la potente droga “kronol”, che all’occorrenza Bong tramuta anche in un potente esplosivo. La seconda storia, infatti, intitolata “Il Geoesploratore” narra le vicende di un altro treno, il Wintercrack, nel quale il geoesploratore Puig mirerà ad una vera e propria ascesa di classe per diventare egli stesso uno dei sei Consiglieri del Wintercrack. La terza parte, infine, dal titolo “La Terra Promessa” vede nuovamente Puig protagonista, questa volta però intento nella ricerca di altri sopravvissuti sulla Terra (per chi volesse approfondire ulteriormente rimando al seguente link: http://www.comicus.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=56630:snowpiercer&Itemid=116).
Se però all’interno del fumetto il percorso del protagonista lungo il treno è più simile ad un vagare per illustrare l’ambientazione e i differenti compartimenti, quella di Curtis è una vera e propria lotta di classe che inneggia alla rivoluzione per sovvertire lo status quo. Soltanto Namgoong Minsu, il tossico progettista dei sistemi di sicurezza dello Snowpiercer, e sua figlia Yona riescono però a guardare oltre lo spirito di sovvertimento che si limiterebbe a invertire semplicemente le parti di aguzzini e vittime, mettendo in discussione addirittura l’esistenza stessa del treno. Bong, oltre a trarne ispirazione, modifica pertanto quasi per intero il plot del fumetto, attraverso l’inserimento dell’elemento di rivolta e strutturando il proprio film come l’evasione da una prigione, carrozza per carrozza, scoprendo ad ogni vagone qualcosa di più sul proprio microcosmo e generando una serie di difficoltà da superare o amare verità da ingoiare, associando per ogni compartimento una differente funzione ed estetica fotografica che, grazie anche alla scenografia, catapulta lo spettatore e i protagonisti in realtà tra loro conviventi, ma nel contempo disomogenee fin quasi al punto di stridere in un missaggio molto al di fuori dei soliti canoni.

Nel complesso Snowpiercer è un film che in qualche modo non ti aspetti, una piacevole sorpresa che, sotto l’apparenza di un prodotto mainstream, unisce molteplici tematiche in un’allegoria esasperata della struttura verticistico-capitalista contemporanea che attanaglia tutti noi. Guardando attraverso gli occhi di un antieroe lontano dalla solita retorica, nel viaggio si incontrano lo sfruttamento dei più deboli, la segregazione sociale, la brutale violenza, l’indottrinamento e il vano tentativo di combattere il sistema, con il treno che assurge a forma di nuovo dogma religioso la cui esistenza in nessun modo può essere messa in discussione. L’opera di Bong,  difatti, amalgama l’invettiva sociale, una struttura originale e un insieme di generi, elementi e situazioni differenti che trovano in Chris Evans (che ha personalmente contattato Bong per ottenere il ruolo) non un super-uomo macho e indistruttibile, ma una vittima disumanizzata dall’istinto di sopravvivenza che l’ha portato a compiere cose a dir poco riprovevoli e che, in tutte le proprie debolezze, cerca soltanto di far sì che quello che ha dovuto subire non si ripeta mai più.
Nel suo cercare di discostarsi dai tipici cliché dei triti e ritriti remake o blockbusters che girano oggigiorno, Snowpiercer non è stato molto gradito dagli spettatori, abituati fin troppo male dai polpettoni hollywoodiani, ma tentando l’insolito Bong è in realtà riuscito a realizzare un prodotto migliore di molti altri in circolazione e che merita di essere visto anche solo per l’audacia. Parliamoci chiaro, non ci troviamo al cospetto di un capolavoro indiscusso, ma di certo di fronte a un’opera ben fatta che spicca nello spesso deludente panorama contemporaneo.

Buona visione dal vostro Marc Welder e da Cronache di Un Sole Lontano!

PS: ~~~ ATTENZIONE SPOILER ~~~
Monolitica la “scena de Pesce”, che tra le tante cose non era nel copione e che il produttore Harvey Weinstein voleva far tagliare dal film, tocca un climax come poche del suo genere ed è a mio modesto parere letteralmente da pelle d’oca. In una recente intervista Bong ha dichiarato che l’intento era quello di richiamare i rituali di segnatura con il sangue di origine tribale per rievocare gli elementi più primitivi dei combattimenti corpo a corpo più brutali. A conti fatti possiamo dire che c’è riuscito eccome!