Tito e gli alieni: tre napoletani all’Area 51

Dopo che molti di noi hanno avuto il piacere di apprezzare Lo chiamavano Jeeg Robot, torna al cinema un film di fantascienza italiano che vale la pena di andare a vedere. Si chiama Tito e gli alieni e ha come protagonista uno scienziato napoletano interpretato da Valerio Mastandrea.

Mastandrea veste i panni dello scienziato solitario alle prese con una attività di ricerca di segnali alieni chiamata L. I. N. D. A., acronimo tipico di ricerche spaziali come la realmente esistente L. I. S. A. (Laser Interferometer Space Antenna), una sonda che in futuro sarà lanciata nello spazio per catturare onde gravitazionali. Lo scienziato lavora in solitudine nei pressi dell’Area 51, quindi negli Stati Uniti.

Il tempo in cui si ambienta la storia cade circa sei anni dopo che lo scienziato aveva quasi stabilito un contatto sensazionale, poi perso miseramente. In quel contatto pare che avesse addirittura sentito la moglie scomparsa. Ora, vuoi perché non ha mai superato la morte della moglie, vuoi perché non crede più in un altro possibile contatto, il professore è un uomo distrutto, depresso, sfinito, e si sta lasciando andare, al punto che il governo americano vuole chiudere il suo progetto. Ma la vita riserva allo scienziato una sorpresa: suo fratello passa a miglior vita e gli lascia in eredità niente di meno che due nipoti in affidamento. I ragazzini, un maschio e una femmina, gli sconvolgeranno l’esistenza.

Ne viene fuori un altro film di fantascienza all’italiana, fatto anche di tanto umorismo napoletano, che i due nipotini – soprattutto la ragazza – sfoggiano all’impazzata in conflitto con l’atmosfera statunitense e la grigia routine del professore. Di italiano c’è anche una dolce poesia di fondo che ricorda per certi versi La vita è bella di Roberto Benigni, soprattutto per quanto riguarda la colonna sonora e la leggerezza con la quale la regia di Paola Randi fa svolgere gli eventi che, lentamente, con leggiadria e calore, conducono verso un finale commovente.