Un omaggio a Jack Vance: Gli Amaranto

To Live Forever (Gli Amaranto), del 1956, è il primo romanzo di un certo impegno scritto da Vance.
Nel 1956, quando la Ballantine pubblicò To Live Forever direttamente in pocket, Vance aveva già al suo attivo dieci anni di carriera fantascientifica, in cui aveva prodotto numerosi racconti e anche vari romanzi, alcuni dei quali lasciavano già presagire i futuri traguardi che avrebbe raggiunto.

Big Planet (L’odissea di Glystra), ad esempio, era apparso nel lontano 1952 su Startling Stories e mostrava subito le eccellenti caratteristiche stilistiche di Vance: la sua bravura nei passaggi descrittivi, la sua abilità di paesaggista.

Altre opere di questo periodo, come The Five Gold Bands, Son of the Tree, il ciclo della Terra Morente, pur se minori (in realtà il ciclo della Terra Morente, col passare degli anni è diventato sempre più un’opera di riferimento per tutti gli autori della science fantasy e della fantasy pura), sono una chiara dimostrazione delle possibilità latenti in Vance.

La sua tecnica è già notevolmente sviluppata e migliorata rispetto agli esordi, agli anni di apprendistato prima del 1950 (ricordiamo che Vance pubblicò il suo primo racconto, «The World Thinker», nel 1946su Thrilling Wonder Stories) durante i quali produsse svariati racconti e romanzi brevi che non lasciarono grande impressione nel pubblico e nella critica specializzata.

Dobbiamo attendere il 1956 e To Live Forever per vedere Vance al meglio delle sue potenzialità: un Vance maturo, conscio delle sue possibilità e finalmente deciso a lanciarsi nella costruzione di un‘opera di un certo impegno letterario, un‘opera in cui le sue abilità stilistiche sono messe al servizio di una trama più complessa del solito, sostenuta anche da un certo significato morale e sociale.

La storia è ambientata sulla Terra del lontano futuro. Vance preferisce sempre scenari di mondi alieni, che meglio si addicono al suo talento paesaggistico, e quando decide di adoperare come «background» il nostro pianeta, pone l’azione in un futuro tanto remoto che la Terra è ormai irriconoscibile ai nostri occhi. Il mondo descritto in The Last Castle (premio Hugo 1967) non ha nessun legame di parentela con il mondo odierno e può essere al massimo un lontano cugino della Terra del feudalesimo medioevale. Così è anche per la Terra descritta da Vance in questo To Live Forever. Dopo il Caos Maltusiano, che ha portato morte e distruzione sul pianeta, l’ultima rocca della civiltà tecnologica è la regione di Clarges, un lembo di terra premuto ai confini dalle orde invidiose e fameliche dei Nomadi e guardato con occhi malevoli dagli altri stati barbari di quest’epoca regredita: l’impero dei pirati di Gondwana, il regno-isola di Singhalien, e la pittoresca e crudele teocrazia di Topengh. Clarges, oltre a mantenere il livello di civiltà raggiunto nel passato, è riuscita a elevarlo ulteriormente, perché gli scienziati della Grande Unione hanno trovato il sistema di sconfiggere definitivamente la morte. In teoria, tutti potrebbero ricevere questo dono meraviglioso, l’immortalità, ma il territorio è limitato, e l’impossibilità di espandersi oltre certi confini costringe i governanti a instaurare un sistema di tribù o caste sociali, che sono dei gradini nel cammino verso la meta finale: la condizione di Amaranto, che consente di entrare a far parte dell’élite degli immortali. Un cittadino che decida di partecipare a questa gara può farsi registrare presso la più umile delle tribù: la Famiglia, e scegliersi un ‘attività. A seconda dei suoi meriti, gli viene attribuito un punteggio che potrà condurlo a una delle tribù superiori: Cuneo, Terzo, Orlo e infine Amaranto. Il premio per la diligenza e il successo è un prolungamento della vita. Chi non riesce a superare la Famiglia al compimento dell’ottantaduesimo anno d’età viene eliminato dai Sicari dello Stato; chi raggiunge il Cuneo riceve in dono altri anni di vita, e altri ancora chi passa al Terzo e all’Orlo. Ma chi, per meriti specialissimi, per un‘attività accanita, per una grande scoperta, riesce a diventare Amaranto, ha in dono la vita eterna. E non solo la vita eterna; anche un miracoloso ringiovanimento e una scorta di surrogati da «empatizzare», pronti a prendere il suo posto se l’immortale Amaranto dovesse perire per un incidente o – in qualche caso più unico che raro – dovesse venire ucciso.

La morte, a Clarges, è la più orribile delle oscenità; nominarla è segno di pessimo gusto. Non si parla mai di morire perché tutti, fino all’attimo in cui i Sicari vengono a bussare all’uscio di casa, sperano di spuntarla, di raggiungere una tribù superiore e ottenere così un «bonus» dì altri anni di vita, fino a raggiungere la condizione semidivina di Amaranto.

Tuttavia le limitate risorse economiche di Clarges permettono un solo Amaranto per ogni duemila cittadini mortali; così la lotta per l’ascesa si fa ossessionante; gli uomini non pensano ad altro che alla loro carriera, non si fermano mai, sono sempre in preda a una tensione spasmodica. Due sole sono le vie di fuga da questa tensione insopportabile: Carnevalle, la folle città-luna park aldilà del fiume Chant, un caleidoscopico turbinio di luci e baracconi dove vanno la notte i cittadini di Clarges a scaricare le loro frustrazioni; e i palliatori, i manicomi dove vengono ricoverati tutti quelli che non riescono a resistere alle pressioni troppo forti e cadono in preda a una sindrome maniaco-catatonica.

In questo mondo favoloso e crudele, affascinante e tragico, pieno di follia e di razionalità al contempo, si muove Gavin Waylock, un uomo che afferma di essere il relitto (il surrogato non ancora empatizzato) dell’Amaranto Grayven Warlock, che aveva commesso, sette anni prima, un terribile delitto, sia pure preterintenzionale: l’uccisione di un altro Amaranto. Grayven Warlock era stato condannato senza possibilità d’appello all’eliminazione per mano dei sicari, ma la sua colpa era in realtà astratta: l’uomo da lui ucciso aveva ripreso a vivere dopo poche settimane nel corpo di uno dei suoi surrogati. Per sua fortuna, Grayven Warlock era riuscito a sfuggire ai Sicari, ed ora, dopo sette anni vissuti facendo l’imbonitore a Carne-valle, dopo sette anni in cui aveva abitato nel cuore del quartiere meno frequentato dì Clarges, la malfamata sezione dei Mille Ladri, egli ritorna per rivendicare ciò di cui è stato ingiustamente privato: l’immortalità e la condizione di Amaranto.

Inizia così una storia dalla trama estremamente elaborata, insolita per Jack Vance. Con l’abilità che lo contraddistingue e che lo ha reso in seguito estremamente famoso e popolare, Vance si sofferma a descriverci, in ogni minimo dettaglio, la società di Clarges; l’attenzione per il ritratto di società future e aliene è oggi una delle caratteristiche più note e apprezzate dell’opera di questo scrittore, ma qui, in To Live Forever, ne vediamo la prima piena dimostrazione. Con lo humour, l’intelligenza, il suo tipico approccio barocco, Vance ci mostra gli aspetti più peculiari di questa civiltà: il colorito mondo di Carnevalle, la cupa atmosfera dei palliatori, le fiorite pantomime dell’Anastasia de Fancourt, gli acquefatti del pilota spaziale Reinhold Bierbusson. Non c’è ombra di dubbio che ci troviamo di fronte allo stesso grande paesaggista che ha scritto il ciclo dei Principi Demoni e la serie dell’Ammasso Galattico di Alastor: nessun altro autore di fantascienza possiede questa ricchezza inventiva nel presentarci culture bizzarre e mondi alieni veramente remoti da noi nel tempo e nella filosofia di vita.

Su questo sfondo si staglia la figura del protagonista, Gavin Waylock (alias Grayven Warlock): figura curiosa e affascinante, granitica nel suo volere e nel perseguire il suo destino. Gavin Waylock ha molto in comune con Kirth Gersen, l’eroe monomaniaco del ciclo dei Principi Demoni. Anche Waylock, come Gersen, si propone un solo scopo nella vita: vendicarsi di chi gli ha fatto torto. Come Gersen vuole vendicarsi dei cinque pirati spaziali, i Principi Demoni, che gli hanno distrutto la famiglia, così Waylock vuole assolutamente ritornare a occupare la sua posizione di Amaranto. Gersen e Waylock sono accomunati da questo impulso di vendetta, da questo desiderio di rivincita: entrambi  non esitano ad adoperare tutte le armi a disposizione per ottenere il loro scopo. Come tutti gli eroi di Vance, sia Gersen che Waylock non sono però dei folli brutali e feroci: sono due uomini furbi, intelligenti, che preferiscono l’astuzia, l’inganno alla forza bruta. Rifuggono dalla violenza, e ne fanno uso soltanto in circostanze disperate, se vi sono proprio costretti.
A differenza di Gully Foyle, il titanico eroe di Destinazione Stelle di Alfred Bester (Cosmo Oro n. 23), figura davvero titanica e monolitica nel suo folle istinto di vendetta, Gavin Waylock, come quasi tutti i personaggi di Vance, è sottile, freddo, cinico e calcolatore come un vero Conte di Montecristo. Foyle si lascia spesso trascinare dal suo odio irrefrenabile; Waylock no, Waylock è sempre calmo e controllato. Entrambi, tuttavia, raggiungeranno il loro scopo e subiranno, in un certo senso, una sorte simile: la distruzione del mondo e della civiltà che li ha maltrattati coinciderà per essi con un destino di purificazione e di espiazione delle loro colpe che sarà anche un‘apertura di nuove vie per l’umanità intera.

To Live Forever rimane in definitiva una delle opere più riuscite di Jack Vance, un romanzo che rappresenta la prima e forse la più compiuta espressione delle sue qualità migliori. Una sofisticata narrazione futura in cui l’aspetto avventuroso va a integrarsi meravigliosamente in un‘affascinante struttura di critica sociale: ci sembra che questa possa essere una definizione azzeccata di questo To Live Forever che, oltre a essere il primo romanzo davvero importante di Jack Vance, rimane una delle opere fantascientifiche più valide e convincenti degli anni cinquanta.