Valerian e Dune e altri…

Oggi eccovi un’altra ennesima digressione FANTASCIENTIFICA, però stavolta legata al coté CINEMATOGRAFICO, che per me, lo sapete, è importante (se non di più) quanto quello letterario.

VALERIAN E LA CITTA’ DEI MILLE PIANETI l’ho visto ieri e mi ha lasciato qualche segno.

Conoscevo molto bene la saga di VALERIAN perché da giovane sono stato un lettore onnivoro e collezionista smodato di fumetti con una particolare predilezione per quelli d’oltralpe.

Era il gennaio del 1967, avevo 21 quando la mia prima volta a Parigi acquistai il bellissimo volume (che possiedo ancora) con la mitica BARBARELLA di Jean Claude Forest (apparsa in Francia nel 1962) la cui trasposizione filmica avrei vista l’anno seguente andando in visibilio per lo strepitoso striptease di Jane Fonda volteggiante in mancanza di gravità sui titoli di testa e per la sequenza dell’Orgasmatron che la protagonista fa fondere per eccesso di sessualità. Momenti/tòpoi che hanno fatto assumere lo status di cultmovie a una pellicola tutto sommato bruttina e noiosa.

Possedevo anche tutti i MÉTAL HURLANT con i LONE SLOANE di Phlilippe Druillet e l’ARZACH muto (cioè narrato solo per immagini, senza nuvolette) di Moebius/Giraud, nonchè i PILOT sul quale ultimo erano pubblicati a fine anni ‘60 i TINTIN di Hergé e le strisce di VALERIAN disegnate da Jean Claude Mézièrs su soggetto di Pierre Christin, iniziate nel 1967 e concluse nel 2010.

Una cosa che forse non molti sanno è che, per il nome del protagonista, il duo Mézièrs/Christin si ispirò al VALERAN (non è un refuso, è VALERIAN senza la i) che era il personaggio di un romanzo di Nathalie Henneberg (purtroppo non so quale) e questa è un’altra delle ragioni per cui mi dilungo sull’argomento, cioè il mio amore per la Henneberg (a proposito, ma a una riedizione di AN PREMIER, ÈRE SPATIALE e LA ROSÈE DU SOLEIL – I VAMPIRI DI BELLATRIX non ci ha mai pensato nessuno? secondo me erano molto belli, di poco inferiori a LA NAISSANCE DES DIEUX, e personalmente li ho preferiti a LA PLAIE e al suo seguito ancora in catalogo nella PerseoLibri/Elara così come LA NASCITA DEGLI DEI, romanzo per il quale confesso di avere un debole da quando lo lessi su URANIA).

Chiaro, insomma, che non potevo farmi mancare il film, confidavo oltretutto nella bravura registica di Besson (uno che già con il QUINTO ELEMENTO con Bruce Willis e Milla Jovovich aveva dimostrato di saper lavorare molto bene con i materiali SF) e perciò sono andato a vedermelo non appena uscito, pur sapendo che la critica l’aveva abbastanza massacrato (con poche eccezioni).

A torto (bè, parere mio…).

Dopo averlo visto, non posso fare a meno di sottolineare che, sempre a parer mio, VALERIAN è un grande, “sentito” e sontuoso omaggio di Luc Besson al suo passato di “fumettologo” (un’altra delle molte cose in cui i francesi ci battono) e, siccome lo sono stato anch’io, credo di aver capito perché la sua “operazione nostalgia” non poteva essere e non è stata un fallimento.

In VALERIAN ci sono, è vero, in buona dozzina, derive da altri film dello stesso filone space opera: ci sono i debiti (inevitabili) agli STAR WARS, ai film di STAR TREK e anche ad AVATAR come molti critici (saccenti e mal informati) hanno fatto notare accusandolo di mancanza di originalità, dimenticando però una cosa basilare: e cioè che è proprio il cinema ad essersi impadronito in molti casi dell’iconografia dei fumetti (potrei citare molti esempi ma lo evito perché la lista sarebbe troppo lunga) e delle trame/tematiche dei libri SF (un esempio: DUNE per STAR WARS su tutti).

Besson di questo era perfettamente consapevole e non poteva tradire il fumetto che l’aveva fatto sognare. Lui voleva farlo diventare “cinema cinema” e per questo il suo film, se ha dei debiti, li ha solo con quella bellissima graphic novel che era da sempre la sua preferita (come da sue dichiarazioni).

Nel suo intento Besson è riuscito in pieno perché VALERIAN film prende di petto i tanti spunti e temi della lunga serie concepita da Christin/Mézièrs e soprattutto ne esalta l’incredibile visionarietà già riversata a piene mani sulla carta, realizzando il suo sogno con:

– scenografie da urlo (all’altezza di quelle di AVATAR in molti punti, cosa che avrei ritenuta difficile se non impossibile),

– con sequenze che sono uno spettacolo di immagini che generano altre immagini in maniera potenzialmente infinita (tanto ormai le nuove tecnologie permettono di tutto, vedi INCEPTION di Nolan e l’AVATAR di Cameron),

– con alieni perfetti e credibili anche nella loro stranezza, molto più di quelli di STAR WARS e altri epigoni (lo so, per qualcuno dirò un’ eresia, ma è incontestabile che gli uomini blu di Pandora/AVATAR perdono il confronto, dal punto di vista espressivo, con gli androgini Mul che sono i motori del film di Besson)

– infine con tematiche che sono patrimonio della FANTASCIENZA, quella più “intelligente”.

L’incipit narrativo del film di Besson è semplicemente strepitoso: lo pervade (e commenta) la ipnotica meravigliosa “Space Oddity” di David Bowie (insieme a “Heroes” la mia preferita del Duca) che, all’insegna della “pace e della fratellanza dei popoli”, accompagna una bella successione di immagini “vere” (la stretta di mano tra sovietici e americani del 17 luglio 1975 nella missione congiunta Apollo-Soyuz), e altre successive (pura fiction nella loro inventiva) che presentano in sequenza i progressi dell’interazione degli esseri umani nello spazio con la parata del gesto simbolico della stretta di mano moltiplicato “con e per” le varie specie aliene che si avvicendano.

Da quel momento in poi Besson ci schiaffeggia con un’orgia figurativa, un fantasmagorico caleidoscopio, un’esplosione di luci e di colori, a cominciare fin da subito da quel luogo dove il protagonista si desta di soprassalto, in apparenza una bella spiaggia “terrestre” (polinesiana), un panorama che è sequenza/trama di immagini, sabbia e mare, gialli e blu in forte e armonico contrasto, un Eden tropicale cromaticamente abbagliante dove ci sono i nostri “metafisici” (De Chirico), ma soprattutto un Dalì solare e suggestivo, e poi ancora Ernst, Magritte ecc. ecc.

E di seguito, per poco meno di due ore, un grand tour interplanetario sublimemente kitsch: pianeti, stazioni spaziali, astronavi, salti nell’iperspazio e viaggi in dimensioni alternative, in una successione/tripudio di colori e di invenzioni grafiche stupefacenti che sono una festa per gli occhi e che si ispirano magnificamente all’affascinante teoria dell’universo frattale.

Vedere per credere: si passa (si viaggia) dal Big Market del pianeta Kirian (un milione di negozi al cui confronto impallidirebbe di vergogna ogni outlet che oggi si possa visitare) ad Alpha, il pianeta che è una stazione spaziale, e cioè la città capitale dei mille pianeti abitata da un’infinità di razze extraterrestri (ivi inclusi noi umani che della Terra non sappiamo più niente) per immergersi in un racconto su un futuro multirazziale, abnorme, caotico e multidimensionale (un coacervo che per molti aspetti mi ha fatto venire a mente la TRANTOR asimoviana di PARIA DEI CIELI e CORRENTI NELLO SPAZIO).

La trama ovviamente non la racconto: è avventura quasi western narrata veloce e frenetica (forse troppo, a momenti fa girar la testa e ti vien voglia di chiedergli moins vite, s’il te plait, Luc) come nel fumetto cui si ispira (la vignetta di più non consente e Besson questo lo tiene ben presente e vi s’immedesima), un pretesto tuttavia per trattare temi “alti” come nella migliore e più intelligente Science Fiction.

Ci sono infatti la protervia del potere, le manovre politiche e gli olocausti che ne derivano, il militarismo e la nefande decisioni che ne conseguono, e soprattutto c’è in questo film (proprio come nel fumetto) un attestato “umanista” di scoperta e valorizzazione della “differenza”, un rifiuto della xenofobia, un altruismo e una curiosità nei confronti del “diverso”, dispensati a piene mani come in tutta la saga omonima (la graphic novel conta oltre 22 capitoli, se non ricordo male), perché qui gli extraterrestri, e cioè l’ “altro”, colui che non si comprende necessariamente a priori, che può ingannare sul suo aspetto (antropomorfo o meno) e per il suo modo di vivere, ha anch’esso diritto al rispetto e all’autodeterminazione.

Per inciso: è vero, lo Spielberg di INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO, di E.T. L’EXTRATERRESTRE e di MINORITY REPORT, il Cameron di AVATAR, anche il Ridley Scott di BLADE RUNNER con i suoi magnifici “replicanti” che hanno “visto cose che voi umani mai potreste immaginarvi…”, hanno affrontato ieri (una trentina d’anni fa) lo stesso tipo di dinamiche con film meno rutilanti e forse per questo meglio accolti da una critica che si sdilinque solo per opere “alte”, ma Besson reintroduce oggi quegli stessi concetti espressi da un fumetto che – non dimentichiamocelo – Christin e Mézièrs avevano messo sulla carta molti anni prima che uscissero quei film, incluso, ovviamente, questo VALERIAN film che è un grande, “sentito” e sontuoso omaggio (lo ripeto per chiudere l’inciso) in chiave pop al VALERIAN bande dessinée altrettanto pop che lo aveva entusiasmato in gioventù.

Infine, per completare il discorso sul film di Besson, ci sono anche sprazzi d’ironia nel battibeccare (secco, non verboso) di Valerian e la sua partner Laureline (bellissima la Delevingne), con quest’ultima che del femminismo fa il suo vessillo, così come, della sua alienità, si fa portabandiera una ipersexy e stupenda Rihanna, condannata dal suo destino di “transmutante” a essere soggetto/oggetto di soddisfazione per tutti i gusti per colpa di una sorta di metamorfismo compulsivo (il suo siparietto “song & dance”, che ne disvela le forme sontuose e ridondanti scoperte ad ogni cambio d’abito prima di rivelarsi un viscidoso “bubble”, è assolutamente da vedere e rivedere e vale da solo il prezzo del biglietto – se vi ho incuriosito, cliccate su You Tube “Rihanna Gives the Performance in Valerian”, così vi rendete conto).

Sta di fatto che, a dispetto di una stampa e di media alquanto neghittosi nel promozionarlo, il film ha avuto una “tenuta” di due settimane almeno qui a Firenze dov’era proiettato fra l’altro in diverse sale (abitualmente una pellicola qui da noi “tiene” per max una settimana, quando va bene), il che significa che il “passaparola” ha finito per sconfiggere le critiche malevole dei recensori.

Un’altra cosa devo dirla: e cioè che sul piano letterario in VALERIAN film e nel resto della saga/fumetto mi è parso di cogliere precise assonanze con il “paesaggismo” e l’ “inventiva” del mio diletto Jack Vance che non mi stupirei l’avesse conosciuta e amata (o forse è il contrario oppure c’è una reciprocità, e comunque a guardar bene le date di produzione quasi coincidono: la saga a strisce inizia nel 1967, quella di TSCHAI nel 1968 e a pochi anni prima risale il primo de I PRINCIPI DEMONI).

Per chiudere davvero: VALERIAN è uno di quei film che vanno visti al cinema in prima visione per essere apprezzati come si deve; poi, purtroppo, si potranno rivedere solo in TV (cosa che spesso faccio, ma non è la stessa cosa) perché non esistono più le seconde e terze visioni che amavamo tanto.

Cari amici, appassionati di cinema, mi accusate spesso di essere uno che si lascia troppo spesso andare agli entusiasmi, e probabilmente è vero, ma credo di avere tutte le ragioni dalla mia se mi entusiasmo per l’INTERSTELLAR di Nolan, per l’ARRIVAL di Denis Villeneuve (tratto dal racconto di Ted Chiang, molto bello come il film), per l’AVATAR di Cameron, per il VALERIAN di Besson recensito qui sopra e per il già visto BLADE RUNNER 2049 ancora di Villeneuve (giovedì scorso, appena uscito, primo spettacolo pomeridiano) al quale, stando ai rumors, verrà presto affidato il compito di rifare DUNE (e l’attesa è grande e direi giusta e plausibile).

Uno di voi n particolare (fan dei vecchi URANIA che però purtroppo si è fermato a quelli) mi ha contestato, quando l’ho invitato (con un whatsapp inviatogli appena uscito dal cinema) a non perdersi VALERIAN, scrivendomi un messaggio dove diceva testualmente: “non so se ci vado perché dopo AVATAR tutti gli altri film SF, passati a futuri, mi sembrano ormai solo dei videogiochi.”

Sì, il mio amico non ha tutti i torti, e VALERIAN si presta a entusiasmi e/o denigrazioni soprattutto se non si conosce il background che l’ha ispirato a Besson e che l’ha fatto amare a me.

Sia come sia, lo sapete, io scrivo per me stesso, per diletto, per una sorta di narcisismo egocentrico connaturato fin dalle elementari e dalle medie quando mettevo su carta raccontini western a fumetti (disegnavo molto bene), ispirati a L’ULTIMO DEI MOHICANI di James Fenimore Cooper, che vendevo ai compagni di classe i quali, sì, li compravano, e io col ricavato correvo a comprarmi gli albummini con TEX WILLER, CAPITAN MIKI e Il GRANDE BLEK (che era il mio prediletto) ecc. ecc. (TOPOLINO no perché costava troppo e mio padre mi regalava l’abbonamento a Natale).

Tanto meglio se poi, pezzi come questo, ve li riciclo più che volentieri perché, bontà vostra, me li richiedete trovandoli divertenti.

Quello che ho scritto più sopra a proposito di VALERIAN e degli altri film di Fantascienza sopracitati mi spinge a una riflessione.

Che un tempo chi leggeva SF non si perdeva per tutto l’oro del mondo nessuna delle poche pellicole che uscivano al cinema: da LA GUERRA DEI MONDI (Byron Haskin, George Pal) a LA CONQUISTA DELLO SPAZIO (ancora Byron Haskin), da QUANDO I MONDI SI SCONTRANO (Rudolph Maté) a IL PIANETA PROIBITO (Fred M. Wilcox), da ULTIMATUM ALLA TERRA (Robert Wise) a LA COSA DA UN ALTRO MONDO (Christian Nyby/Howard Hawks), da GLI INVASORI SPAZIALI (William Cameron Menzies) a L’ASTRONAVE ATOMICA DEL DR. QUATERMASS (Val Guest), da l’INVASIONE DEGLI ULTRACORPI (Don Siegel) a CITTADINO DELLO SPAZIO (Joseph F. Newmann), da FLUIDO MORTALE (Irvin S. Yeaworth Jr.) a ASSALTO ALLA TERRA (Gordon Douglas), da TARANTULA al MOSTRO DELLA LAGUNA NERA (Jack Arnold per entrambi), da L’ESPERIMENTO DEL DR. K (Kurt Neumann) fino ai GODZILLA di Inoshiro Honda, e dìtemelo, per favore, se ce ne perdevamo uno? (io dico di no).

Erano gli anni ’50, si usciva dal cinema e a chi amava il genere per averlo letto veniva ancora più voglia di leggere e si correva in edicola affamati di SF, inesausti, vogliosi di immergersi ancora e ancora in quelle storie che comunque superavano (e di gran lunga, mica c’erano i trucchi con i supporti tecnologici di oggi) quello che avevamo visto sugli schermi.

Quei film avevano l’effetto non solo di richiamare gli appassionati ma anche di conquistare al genere nuovi lettori e difatti le edicole in quegli anni registrarono il boom delle riviste, da URANIA a GALAXY a GALASSIA a OLTRE IL CIELO a CRONACHE DEL FUTURO ecc. ecc.

Di questa interconnessione/interattività fra FANTASCIENZA LETTERARIA e FANTASCIENZA CINEMATOGRAFICA beneficiavano entrambi i fronti e Dino De Laurentiis l’aveva ben compreso quando chiamò David Lynch a dirigere DUNE.

Il calcolo era facile: il romanzo di Herbert letto da milioni di persone avrebbe fatto da traino alla versione filmica e bastava che solo la metà dei lettori di DUNE andassero a vedere il film per ottenere un incasso epocale.

Non andò così.

Il film risultò ostico ai fan di GUERRE STELLARI e non convinse i fan del libro di Herbert (in molti preferirono non andare a vederlo per paura di sentirsi “traditi”).

Io, naturalmente, il film andai a vederlo subito, trascinandovi mia moglie (lei di SF ne legge poca, ma su DUNE è d’accordo con me, “gran libro”, così come tutti quelli, parecchi, che in questi anni ho convinto a comprarlo), entrambi abbastanza timorosi di andare incontro ad una delusione (anche allora la stampa non era stata tenera e comunque da sempre preferiamo i romanzi ai film che ne sono tratti).

Devo dire invece che i timori si rivelarono infondati: la trascrizione filmica era riuscita a centrare in buona misura atmosfera e climax del romanzo (la prima parte del film era senz’altro molto buona) e Lynch aveva saputo ricreare una galassia che si faceva apprezzare per grossi meriti visivi, connotandola di inedite cadenze retrò, funerarie, folli e sanguinarie (in questo senso la figura del barone Harkonnen era a parer mio riuscitissima).

Il merito era da ascrivere sicuramente a Lynch che aveva saputo trasferire in questo kolossal il talento visionario già espresso (e la sua cifra grottesca) nei suoi precedenti film d’autore (e in TWIN PEAKS), riuscendo ad andare al di là di quella che poteva risultare solo una piatta illustrazione di un’opera per tanti versi difficile e tanto complessa. Direi che già l’aver saputo far questo non è roba da poco. E’ chiaro che il tanto e di più che c’era nel romanzo di Herbert restava in buona parte escluso e talvolta un po’ troppo ai margini (il tema ecologico così importante in DUNE rimaneva appena accennato) e certamente lo spettatore che non aveva letto il libro non si raccapezzava molto in una trama spesso incoerente e farraginosa (critica questa che in molti muovono alla stessa opera letteraria e che è certamente abbastanza vera per i seguiti del ciclo, questo devo riconoscerlo, senza però che nessuno mi convinca a non leggerli).

Qualcuno, ad esempio Tullio Kezich (che con Grazzini del CORRIERE DELLA SERA era uno dei pochi critici che leggevo volentieri), parlò di film sofisticato, tetro e noiosissimo, di racconto che non aveva presa, di ritmo fiacco e di storia che non andava avanti: critiche tutte quante condivisibili, a guardar bene, epperò lo spettacolo aveva una sua grandiosità e riservava sorprese (anche a chi conosceva il libro) per la resa immaginifica, visionaria, di ambienti e macchine, di uomini e forme bestiali, e la materia (il narrato) pur caotica e incoerente sobbalzava e si animava in molti passi e il ridicolo (sfiorato a volte per colpa di un attore poco carismatico e non all’altezza come il pur bravo Kyle McLachlan, nel ruolo di Paul Atreides/Muad’Dibb ci sarebbe voluto il Keanu Reeves di MATRIX) non si avvertiva più, solo il tragico.

Il film in qualche modo seppe comunque catturare parte del fascino del libro (la sua epicità) e oggi nessuno si stupisce che si guardi ad esso come a un cultmovie (in fondo DUNE libro non è forse il cult-book per eccellenza della Fantascienza?) e che si rimpianga il fatto che non si sia mai potuta vedere la versione integrale girata da Lynch che durava quasi il doppio.

Per il fascino che sa sprigionare ancora oggi ad ogni visione, DUNE film è veramente un mezzo capolavoro.

Come al solito mi son dilungato fin troppo

Era il 1984 quando DUNE uscì nelle sale e prima c’erano stati 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO (1968), STAR WARS e INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO (1977), ALIEN (1979), E.T. L’EXTRATERRESTRE e BLADE RUNNER (1982): ho messo le date e vedrete che coincidono (dal 1968 al 1984) con gli anni in cui la Fantascienza ebbe i suoi boom in libreria e al botteghino.

Credo che all’epoca sia stato il cinema SF a far da traino, cioè a “portare spettatori in libreria” (si pensi a Dick che grazie a BLADE RUNNER diventò l’autore “postmoderno” più letto), ma poi qualcosa è cambiato: al cinema la Fantascienza ha continuato e continua a far sfracelli, fra i primi dieci incassi di tutti i tempi ci sono AVATAR in testa a tutti, poi STAR WARS, E.T. L’EXTRATERRESTRE e JURASSIC WORLD; e in libreria? in libreria la Fantascienza ha smesso di vendere e sugli scaffali intristiscono i soliti FOUNDATION di Asimov, l’opera omnia di Dick, i DUNE di Herbert, qualche Dan Simmons (HYPERION, ENDIMYON), un po’ di Bradbury e Ballard, tutt’al più Richard Matheson e (l’ho notato con piacere) Herbert G. Wells che è sempre da riscoprire (forse perché il più grande di tutti sotto molti punti di vista).

Il fatto che al cinema la fantascienza continui a funzionare alla grande e che l’ultimo AVATAR di Cameron (cui già si dovevano i TERMINATOR e il secondo ALIENS) ne abbia addirittura ampliato gli orizzonti sembrerebbe contraddire la crisi della sua letteratura, che tuttavia c’è e non accenna a finire.

Sul perché di questo, da testimone della vicenda, ho fatto qualche riflessione e forse ho qualche risposta (ma non certo soluzioni).

Ma queste ve le risparmio.

Sarà, forse (perché la vedo dura…), per una prossima puntata.

 

Giancarlo Fallai