Women & Sorcery

I. LA DEFINIZIONE DI… QUELLO CHE MANCA.

Quando pensiamo allo Sword&Sorcery immaginiamo barbari possenti, piccoli ladri astuti, mostri feroci e stregoni malvagi. La definizione che balza in mente è quella famosissima e stracitata di Lyon Sprague De Camp:

Una storia di questo tipo unisce il colore del romanzo storico con le emozioni ataviche e sovrannaturali dei racconti di magia, dell’orrore e dell’occulto. Se è fatto bene, ci dà il maggior divertimento che qualsiasi tipo di narrativa ci possa dare. È narrativa d’evasione, dove si evade per qualche momento dal mondo reale e si entra in un mondo dove tutti gli uomini sono forti, tutte le donne sono bellissime, la vita è sempre avventurosa, ogni problema ha una soluzione semplice, e nessuno parla mai delle imposte sul reddito, del disadattamento o delle assicurazioni sociali.”

Fritz R. Leiber Jr.

Fritz Leiber contribuisce a sua volta a inquadrare lo Sword&Sorcery coniandone il nome e con una riflessione più generica ma pur sempre appropriata:

“Sono più certo che mai che questo campo dovrebbe essere chiamato storie di sword and sorcery. Questo termine descrive accuratamente i punti di livello culturale ed elementi sovrannaturali e inoltre lo distingue immediatamente dai romanzi di cappa-e-spada (avventure storiche) e (incidentalmente) anche dai romanzi di cappa-e-pugnale (spionaggio storico)”

Molti altri autori e studiosi si sono espressi nel tentativo di definire la natura di un sottogenere tanto poliedrico da rientrare con difficoltà in una definizione completa e universalmente accettabile. I risultati di questi sforzi possono essere condivisibili o meno ma non possiamo negare che abbiano racchiuso in queste considerazioni tutti gli aspetti degni di nota. Insomma, hanno raggiunto lo scopo… Oppure no? Che cosa manca in una definizione di Sword&Sorcery che si rispetti?

Ricapitoliamo: abbiamo eroi e antieroi possenti, spregiudicati, forzuti; ladri furbi, avidi, rubacuori; mostri e demoni vari; stregoni cattivissimi e assetati di potere ma… Ehi! Le donne dove sono?

 

II. LA DAMSEL IN DISTRESS, LA WITCHY WOMAN, L’AMAZZONE: ARCHETIPI DELL’IMMAGINARIO MASCHILE.

Quello che manca in ogni definizione di Sword&Sorcery sono le donne. Forse che le donne manchino nello Sword&Sorcery? Affatto. Ma è rilevante notare in che modo queste risultino coinvolte nelle storie.

Nella quasi totalità dei casi, in questi romanzi e racconti le donne si trovano nella condizione di damsel in distress: incatenate sull’altare sacrificale; legate alla pira; in cima alla scogliera; intrappolate nelle segrete; nelle mani di creature primitive che le vogliono per arricchire il patrimonio genetico della loro razza; fra le grinfie di brutali villains che le sottopongono alle peggiori umiliazioni; nelle tane di mostri e demoni perversi e via cantando… In attesa, ogni volta, dell’intervento salvifico e risolutore dell’eroe/antieroe macho che – per amore, per interesse, per ghiribizzo –, non può accettare che la fanciulla venga ingiustamente vilipesa. Dopodiché, la tappa successiva della donna è, spesso, il letto dell’eroe, per “ringraziarlo” del servigio resole. Qui, talvolta, viene introdotta una variante: l’eroe rifiuta il “premio”, poiché non è suo costume accettare prestazioni sessuali elargite per riconoscenza. Altre volte, invece, la fanciulla salvata si invaghisce del suo salvatore e gli offre il proprio cuore, insieme alle proprie ricchezze. Purtroppo, l’eroe è un cane sciolto e non può tollerare di rinunciare al proprio stile di vita per l’amore di una fanciulla, per quanto bella, ricca e riconoscente.

A questo topos dello Sword&Sorcery se ne aggiunge un altro, altrettanto diffuso del primo: la donna è l’antagonista principale dell’eroe/antieroe nelle vesti di una strega, di un demonio femmina o di una dea. Sono sempre malvagie oltre ogni dire, dalla spiccata bellezza e armate di un fascino ammaliatore che esercitano non solamente con la magia, allo scopo di sottomettere l’eroe per prosciugarne la virilità e la volontà.

Sia la damsel in distress che la “witchy woman” (se così posso chiamarla, in omaggio all’omonima canzone degli Eagles, la famosa band country rock) sono figure estremamente emblematiche della letteratura, sulle quali occorrono un’attenta riflessione e alcune digressioni.

Si tratta di cliché antichissimi, dei quali esistono innumerevoli esempi non solo nella mitologia ma persino nei testi cardine della religione (Lilith, Eva, Circe, Medea, Medusa e mille altre), nell’affascinante filone delle canzoni di gesta (le guerriere Bradamante e Marfisa, la maga Melissa) e nel coevo ciclo bretone (Ginevra, Morgana, Viviana)… Fino ad arrivare ai casi più moderni dei racconti avventurosi e fantastici di epoca Vittoriana (una su tutte la maestosa Ayesha di Rider Haggard), i quali ispirarono direttamente le opere apparse successivamente sui pulp americani ed europei.

Accanto alla figura della “witchy woman” si pone l’amazzone, archetipo della donna che si ribella con inusitata violenza alla supremazia patriarcale.

Da diverso tempo è stata sfatata qualsiasi pretesa di veridicità storica riguardante l’esistenza delle amazzoni dimostrando come anch’esse siano, in realtà, un prodotto dell’immaginazione tanto quanto altre figure mitologiche di origine assai lontana nel tempo. Diversi studiosi hanno persino fatto notare che la leggenda delle amazzoni non è stata inventata dalle donne.

Abby Kleinbaum dice: “né nella tradizione greca né in quella romana l’immagine dell’amazzone aveva lo scopo di glorificare le donne. Invece veniva usata da artisti, autori e capi politici di sesso maschile“.

Nelle leggende che le riguardano, le amazzoni esistono solo per essere sconfitte dagli uomini e di solito anche violentate ed umiliate sessualmente. L’amazzone viene inventata per essere convertita in una moglie obbediente oppure conquistata e uccisa.

La Kleinbaum fa notare che “tutto quello che ci si aspetta di ascoltare o di leggere è la storia della bellissima Regina delle Amazzoni il cui odio per gli uomini si spegne davanti al vigore sessuale e guerriero di un vero eroe“. I Greci, secondo la studiosa, inventarono le amazzoni per provare che erano in grado di conquistare le donne: non solo quelle già sottomesse ma anche la teorica “donna forte”.

La damsel in distress, la “witchy woman” e l’amazzone rappresentano gli estremi di due modi differenti di concepire la donna, a loro volta relativi al modo in cui l’uomo percepisce se stesso e si afferma all’interno della società. Da un lato sono la realizzazione di un desiderio recondito, dall’altro incarnano timori segreti.

I ruoli di queste donne sono riducibili a due archetipi: la donna sottomessa e la donna “forte”.

È curioso notare come quest’ultima figura si traduca sempre in una minaccia alla stabilità del ruolo maschile nella società. L’uomo ha solo due modi per avere la meglio sulla donna “forte”: sposarla (e dunque sottometterla a un vincolo gerarchico di tipo patriarcale) o ucciderla (liberando se stesso e la società civile da questa sobillatrice dell’equilibrio prestabilito).

Si capisce come la letteratura sia stata, per un tempo incredibilmente lungo, un rifugio del tutto maschile, un luogo di esaltazione della materia virile dell’immaginazione.

Le donne potevano accostarvisi da osservatrici esterne, a patto di accettare in modo passivo il ruolo loro riservato: comparse di subordine, tutt’al più da proteggere e, nei casi peggiori, da sfruttare a piacimento. Un ruolo incarnato nella vita reale per secoli. A fare da monito per chi osasse ribattere, il destino della “witchy woman” e quello dell’amazzone fungono da eloquente parabola.

 

III. Ospiti dell’immaginario maschile e mai protagoniste.

Nonostante la sua evidente impostazione “maschiocentrica” (definirla maschilista mi appare forzato) lo Sword&Sorcery che, più di tutti gli altri generi, raccoglie l’eredità di questa donna–ospite della letteratura avventurosa, rimane una lettura piacevole ed esaltante anche per le lettrici, le quali si accostano ai migliori esempi di questo genere con lo stesso divertito entusiasmo degli uomini, immedesimandosi (strano ma vero) nell’eroe villoso e mai nella damsel in distress o nella witchy woman.

È impossibile anche per noi non sorridere delle disavventure di Fafhrd e del Gray Mouser, lo scapestrato duo sprizzato fuori dalla penna di Fritz Leiber. E come non farsi ribollire il sangue nella mischia selvaggia, senza esclusione di colpi, nella quale ci trascina il superbo Cimmero di Robert E. Howard? Non si resiste al richiamo selvaggio di Conan né al fascino ferino di Re Kull; non ci si trae indietro come pudiche donzellette innanzi alla bramosia sanguinaria e vendicativa di Bran Mak Morn, il mitico ultimo sovrano dei Pitti. Non possiamo esimerci dal provare compassione e intimo turbamento per il dramma del Principe Elric di Melniboné, l’antieroe albino di Micheal Moorcock.

Gli eroi dello Sword&Sorcery scorrono sotto la nostra pelle tanto quanto sotto quella degli uomini.

Marion Zimmer Bradley

Purtuttavia Marion Zimmer Bradley dice, a ragione:

Anche le donne leggono fantasy, e si sono stufate di doversi sempre identificare con un eroe di sesso maschile”.

Non solamente le lettrici si sono stancate di leggere storie di questo tipo ma persino le autrici si sono stancate di dover narrare le vicende di eroi in mondi a misura di eroe.

Catherine Lucille Moore fu la prima a regalare una voce femminile allo Sword&Sorcery.

Firmandosi con le sole iniziali C.L. Moore in un periodo in cui anche per scrivere era necessario essere uomini, convinse gli editori di esserlo e nel 1934 pubblicò Black God’s Kiss, un racconto vibrante e avvincente, il primo del ciclo di Jirel di Joiry.

La prima protagonista femminile del genere fantastico fu subito un successo! Jirel, la regina guerriera di Joiry, un regno immaginario della Francia medievale, è una donna forte, orgogliosa, feroce e indomita tanto quanto Conan. Ma non è priva di quelle caratteristiche femminili che solamente un’autrice saprebbe conferire al personaggio, le quali si rivelano nelle sottigliezze psicologiche che rendono Jirel un essere umano a tutto tondo.

Catherine L. Moore

Catherine Moore ha sfondato un muro, insieme a Jirel: introducendo il punto di vista di una donna alle prese con “cose da uomini” e vestendo le sue storie con uno stile ricco, barocco, elegantissimo come non si era mai visto fino ad allora nella narrativa pulp – caratterizzata da una prosa sbrigativa e allegra –, ha dato nuovo impulso al genere dimostrando che le donne sono ben più di insignificanti comparse messe lì per l’intensità dei loro strilli, e sanno fare ben altro che lasciarsi rapire, sacrificare, salvare.

Nello stesso periodo in cui Jirel di Joiry faceva la sua gloriosa apparizione fra le pagine di Weird Tales, Robert E. Howard immaginava l’agguerrita Dark Agnes de Chastillon, anche conosciuta come Agnes di La Fère, di cui ci restano tre racconti (più uno basato su una sinossi) pubblicati postumi.

 

 

IV. UN BARBARO PROTOFEMMINISTA.

Nel racconto Al di là del Fiume Nero, Howard fa pronunciare a un personaggio delle parole emblematiche della sua filosofia:

La barbarie è lo stato naturale dell’umanità”, disse l’uomo della frontiera guardando ancora seriamente il cimmero. “La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare.”

Ne Gli dei di Bal Sagoth un altro grande personaggio Howardiano, Turlogh O’Brien, assistendo alla scomparsa del suo regno, riflette con amarezza:

Sono Re Turlogh di Bal–Sagoth e il mio regno si sta dissolvendo nel cielo del mattino, simile in questo a tutti gli altri imperi del mondo… sogni e fantasmi e fumo.”

Robert E. Howard

Howard nutriva sfiducia e un deciso disprezzo per la società e le sue forme di civilizzazione. Egli sosteneva che la condizione naturale dell’uomo fosse la barbarie, uno stato dal quale l’essere umano era destinato ad affrancarsi in certi momenti della storia solamente per ricadervi poi più a fondo di prima. Questa visione ciclica dell’evoluzione lascia poco spazio alle successive fantasie New Age sull’elevazione spirituale dell’umanità. È tanto più sorprendente, perciò, osservare lo sforzo creativo e all’avanguardia compiuto da Howard il quale, calandosi nel punto di vista di Agnes – senza dubbio con l’intento di entrare in sintonia con l’essenza di donna del personaggio – lo offre ai lettori con tutta la sua umanità e femminilità intatte. Si tratta di uno sforzo unico nel suo genere, che ci dimostra quanto Howard fosse in anticipo sui suoi tempi e favorevole a una rivalutazione della donna in chiave egualitaria.

Dark Agnes è una giovane donna che si ribella all’autorità paterna, la quale la vorrebbe sposata a un uomo brutale, e fugge da un destino di umiliazione e prevaricazione per andare incontro alla promessa di una vita esaltante, pregna di sanguinose avventure.

Udivo il rullare di tamburi lontani che mi chiamava di giorno e di notte.

Verso strade su cui cavalcano cavalieri in armatura, rivestiti d’acciaio e di rose decorati.

Con stendardi tinti di carminio che sventolano… sul mondo lontano!” (Tamburi nei miei orecchi, in Sword Woman)

Anche la donna, secondo Howard, aveva il diritto di essere libera e selvaggia!

 

V. DA LETTERATURA DI IDEALI A LETTERATURA DI UMANITA’.

Robert E. Howard e Catherine L. Moore furono i principali trasformatori della narrativa popolare da genere–contenitore di fantasie anacronistiche e superomistiche a letteratura di passioni, di sentimenti vivi, di valenze forti e incisive. Grazie ai loro personaggi, dotati di tutti gli istinti positivi come il coraggio, la lealtà, la generosità verso gli amici ma, per il resto, rozzi, violenti e dissacratori, hanno arricchito di intensa umanità la Fantasia Eroica, prima di allora piatta e asettica.

Risalgono a questo periodo i primi significativi risultati ottenuti dai movimenti per il riconoscimento dei diritti delle donne, emersi per la prima volta in seno alla Rivoluzione Francese e diffusisi a partire dalla metà dell’Ottocento in Inghilterra e Stati Uniti. Si tratta di un fenomeno di considerevole importanza e la narrativa popolare, in quanto testimone e strumento promotore del mutamento sociale, non poteva non restarne influenzata.

H. Rider Haggard

Nel 1886 la figura della donna “forte” nella narrativa fantastica era incagliata nel ruolo della deità ostile così come fu splendidamente tratteggiata da Rider Haggard in She. In questo racconto dalle atmosfere fortemente misteriche la vera protagonista è Ayesha, la strega dalla pelle bianca che regna sull’Africa nera adoperando le proprie arti per esercitare il predominio sugli uomini. In questa creatura, ricorrente in molta letteratura del secolo, si ravvisano condensati i timori e le forti aspettative della società che si avvede del cambiamento al quale sta andando incontro: le donne hanno preso coscienza del loro valore e invocano l’uguaglianza. Un’uguaglianza avvertita con timore da molti uomini che temono di vedersi strappare di mano il mondo.

 

 

VI. UNA NARRATIVA NUOVA PER UNA SOCIETA’ NUOVA.

Il Primo Conflitto Mondiale offre un’opportunità unica per le donne che invocano l’emancipazione, mettendo la società di fronte all’evidenza delle loro potenzialità. Con la partenza degli uomini, richiamati al fronte, e per evitare il collasso economico, le comunità si sono viste costrette ad affidare alle donne le posizioni che prima erano appannaggio esclusivo degli uomini. La donna diventa “potente” (nell’accezione di “colei che può”). La società è irrimediabilmente cambiata e non si può tornare indietro.

Come esorcizzare la paura della donna “forte” ormai affermata e allo stesso tempo proclamare il suo debutto sul palcoscenico dell’età contemporanea?

La Jirel di Joiry di Catherine Moore, insieme alle creature howardiane Red Sonya di Rogatine, Valeria della Fratellanza Rossa, Belit della Costa Nera, Helen Tavrel e Dark Agnes de Chastillon dichiarano che il momento è giunto: la damsel in distress, la witchy woman e l’amazzone si trasformano da trofei di caccia a coprotagoniste attivamente impegnate al fianco dell’eroe. Socie alla pari nella spartizione dei bottini e complici nella nobile pratica del mozzar teste.

Valeria combatteva al suo fianco, il sorriso sulle labbra e gli occhi accesi. Era più forte della media degli uomini e molto più veloce e feroce.” (Chiodi rossi, di R.E. Howard)[1]

Nessuna di loro è meno di Solomon Kane, il puritano monomaniaco mosso più dal fanatismo religioso che dal senso della giustizia, o del licantropo De Montour, o di Steve Costigan, oppiomane all’ultimo stadio, o di Northwest Smith, l’avventuriero spaziale freddo come il ghiaccio.

Mentre le donne “reali” forgiano, di fatto, una nuova società, le eroine letterarie inaugurano una nuova era della narrativa fantastica.

Tuttavia bisogna aspettare gli anni Ottanta del Novecento perché la donna “forte” si affermi definitivamente nella narrativa di genere ritagliandosi il suo spazio in libreria con proposte editoriali appositamente studiate.

È questo il caso della collana Sword&Sorceress curata dalla “Regina del Fantasy” Marion Zimmer Bradley, esordita nel 1984 con Sword&Sorceress I (da noi Storie fantastiche di spada e magia), il primo di ben trenta volumi che hanno riscosso un grande successo di pubblico nel corso di trentun anni.

La Bradley racconta:

Quando ho iniziato a curare la pubblicazione delle antologie, non c’era spazio né mercato per storie di questo tipo, a parte quello che offrivo e proponevo io. I lettori non si erano ancora abituati alle eroine femminili; in pratica ho dovuto creare il genere e gettare le basi di un mercato. Ricordo che alcuni di quei primi racconti erano terribili e allo stesso tempo meravigliosi.

La produzione della stessa Marion Zimmer Bradley è estremamente ricca di figure femminili forti, tragiche, indimenticabili: oltre al già citato ciclo science–fantasy di Darkover, ricchissimo di personaggi femminili affascinanti e drammatici, è opportuno citare le orgogliose sacerdotesse del ciclo di Avalon (1983), che hanno lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo di generazioni di lettori e lettrici, ispirando film, album musicali e serie televisive.

Nonostante avesse più volte affermato di non sentirsi una femminista – la Bradley avversava ogni forma di estremismo ideologico – fu una vera pioniera e attivista nel campo del riconoscimento dei diritti delle donne e degli omosessuali (l’amore omosessuale è una tematica, assai presente nella sua letteratura, che tratta con una delicatezza ammirevole).

A proposito delle Libere Amazzoni di Darkover ci sarebbe moltissimo da dire ma mi limiterò a raccontare che, all’epoca della sua uscita, fu un evento tale da suscitare profluvi di commenti entusiasti e aspre critiche da parte del fandom. Le associazioni femministe arrivarono addirittura a farne il proprio stendardo e fondarono, in diverse città statunitensi, delle “Case della Lega” ispirate all’omonimo ordine Darkovano, nelle quali le donne si riunivano per vivere secondo la loro versione del Giuramento delle Amazzoni. Alcune di esse cambiarono il proprio nome nello stile delle Libere Amazzoni.

Dalla quarta di copertina dell’antologia Le Donne di Darkover (Renunciates of Darkover, 1991):

“Già protagoniste di alcuni romanzi classici, le Rinunciatarie sono un fenomeno peculiare nella società Darkovana, fondata sulla predominanza maschile. Il profondo anelito alla libertà e all’indipendenza che caratterizza queste donne le ha rese tra i personaggi più popolari della saga, specialmente presso le lettrici, che si sono subito immedesimate nella loro forza, nel loro coraggio e nella loro determinazione, tutte caratteristiche sancite dal giuramento in cui le Rinunciatarie proclamano la loro insofferenza per qualsiasi forma di schiavitù, sia quella determinata dalla devozione “alla famiglia, al clan, al casato, al tutore o al sovrano” sia quella basata sui vincoli sociali che impongono la sottomissione all’uomo. E queste donne animate da una vitalità colma di audacia, benché spesso segnata dal dolore, trovano nelle autrici dei racconti qui presentati la loro voce più pura e convincente, modulata attraverso storie d’amore, scoperte sconcertanti e duelli magici che fanno brillare di luce ancora più intensa quel monumento della letteratura fantastica che si chiama Darkover.”

La Bradley ci racconta, nell’introduzione all’antologia Le Libere Amazzoni di Darkover (Free Amazon of Darkover, 1985):

“Quando creai per la prima volta una storia sulle Libere Amazzoni di Darkover, ispirata da un sogno, non avevo idea che le Amazzoni sarebbero diventate le mie creature più famose e controverse, generando una valanga di lettere da parte dei fan, più di quante me ne fossero mai arrivate per tutto il resto che avevo scritto o messo insieme. […] Da quando, più o meno intorno al 1962, creai Kyla, la mia prima Amazzone, guida alpina in Le foreste di Darkover, le Libere Amazzoni hanno subito notevoli cambiamenti.

Io stessa stento a riconoscere in Kyla n’ha Raineach il personaggio che ha dato inizio a tutto.”

Riguardo all’opera che ha ispirato in parte il background delle sue Amazzoni, Marion cita un libro su una spedizione di sole donne sull’Himalaya, intitolato Annapurna: a womarís place (che in seguito sarebbe diventato fonte di ispirazione per un altro romanzo delle Libere Amazzoni: La città della magia). In quest’opera, l’autrice Arlene Blum descrive il tipico sciovinismo maschile delle spedizioni alpinistiche: a una delle scalatrici – e parliamo del 1977! – venne detto che non poteva unirsi alla spedizione a meno che non fosse disposta ad andare a letto con tutti gli uomini della squadra mentre, durante una delle spedizioni sull’Everest, alle donne che chiedevano di partecipare venne risposto che si sarebbero potute unire come cuoche e responsabili di campo ma non sarebbe stato permesso loro di salire oltre il Campo Base.

Per fortuna, i tempi sono cambiati. Se oggigiorno qualcuno avesse l’assurdo ardire di avanzare simili pretese sarebbe colpito dal biasimo collettivo e, cosa probabile, si beccherebbe un pugno dalla fanciulla a cui avesse rivolto tali parole. Perlomeno, io glielo darei.

Da allora, e grazie al lavoro propulsivo della Bradley, le eroine hanno conquistato – con il cuore e con la spada[2], è proprio il caso di dirlo! – il loro posto accanto agli eroi. Nella narrativa sono andati affermandosi nuovi archetipi della femminilità, alcuni di poco migliori dei precedenti ma altri, ah, che meraviglia!

Tanith Lee

Fra tutte le eroine dotate di una vitalità audace e dai sentimenti intensamente femminili nati a partire dagli anni Settanta è obbligatorio ricordare la Morgaine di Carolyn Cherryh, con la Saga di Morgaine (1976) nonché la misteriosa Karrakaz di Tanith Lee, destinata a un cammino di tormenti alla ricerca del suo stesso nome, apparsa nel primo romanzo della trilogia The Birthgrave (1975, nota in Italia con il titolo Nata dal Vulcano, 1° ed. 1978 per i tipi di Libra).

 

VII. “FU COSI’ CHE ABBANDONAI I CEPPI E DIVENTAI ME STESSA, NELLA STELLA D’ARGENTO, NEL VUOTO E NEL NERO DELLO SPAZIO”.

(Cit. Nata dal Vulcano)

Se la figura dell’eroina si è ormai ampiamente affermata nelle varie categorie del Fantasy (con una presenza predominante nei filoni più di moda come il Paranormal Romance e lo Young Adult) si avverte la sua mancanza nello Sword&Sorcery, ancora legato ai canoni tradizionali.

L’esempio che più vi si discosta, quantunque vi resti ben ancorato, è Amazon, il primo romanzo Sword&Sorcery italiano – udite, udite! –, di Gianluigi Zuddas (1978).

Si tratta di un romanzo allegro e scanzonato che strizza l’occhio a una certa tradizione di storie, inaugurata da pilastri del fantastico come Fritz Leiber, Lyon Sprague De Camp e Fletcher Pratt, dove personaggi irriverenti e sopra le righe si ritrovano invischiati in situazioni paradossali, dalle quali riescono a uscire grazie a trovate spassose e rocambolesche.

L’unica ambizione di questi racconti è l’intrattenimento, missione nella quale Amazon riesce assai bene. Come si intuisce dal titolo, le protagoniste sono tre Amazzoni, rissose e sboccate come marinai, che sembrano più una parodia al contrario degli stereotipi femminili che personaggi a tutto tondo. Ma se Amazon pecca di una caratterizzazione poco accurata ha, tuttavia, il pregio di offrire dei personaggi femminili simpatici e accattivanti che fanno dimenticare, almeno per un po’, le loro colleghe “ugola d’oro” dallo svenimento facile, se non altro rimpiazzando un vecchio, becero cliché, con un divertente ribaltamento di ruoli.

 

VIII. L’AVVENTO DELLO WOMEN&SORCERY.

Lo Sword&Sorcery è un genere amatissimo e tutt’ora seguito, ma legato a stilemi ormai anacronistici che hanno perso il proprio ruolo nella società.

Il mio timore è che venga dimenticato, superato in corsia preferenziale da generi più attenti alle richieste del pubblico attuale, di cui il sesso femminile costituisce una cospicua parte.

Non esiste fine peggiore dell’essere dimenticati. Lo Sword&Sorcery, che dobbiamo ringraziare per averci insegnato a sognare sin dagli albori del tempo, non merita una morte tanto ingloriosa. Merita di combattere e di vincere, merita protagoniste che lo esaltino con nuova linfa vitale!

È per questo che chi scrive si augura (e si aspetta, altrimenti: attenti a voi!) una nuova era dello Sword&Sorcery che coinvolga in egual misura i lettori e le lettrici. Potremmo persino auspicarci un’era di Women&Sorcery, dove eroine moderne e carismatiche arrivino a svecchiare il genere trascinandoci in avventure entusiasmanti ma senza essere niente di più e niente di meno di quello che sono: donne, con tutti i loro magnifici pregi e gli adorabili difetti.

Viviamo in un mondo in continuo mutamento e non smetteremo mai di aver bisogno di eroi che rispondano al nostro richiamo, che ci prendano per mano indicandoci la via del sogno, che schiudano per noi le porte dell’immaginazione. E, perché no, che ci mettano una spada in mano per esortarci a combattere per ciò in cui crediamo.

Ogni uomo ha bisogno dei suoi eroi. Ogni donna delle sue eroine.

 

[1] Ringrazio Giuseppe Lippi per avermi suggerito questa significativa citazione.

[2] Titolo dell’edizione italiana di Sword&Sorceress XII, 1995.