Xandulu, di Jack Williamson

Questo volume e il suo gemello dedicato ad Edmond Hamilton sono un omaggio esplicito alla fantascienza degli anni d’oro e al senso del meraviglioso che la contriddistingueva, quel decantato «sense of wonder» che tanto ci ha fatto sognare durante la nostra fanciullezza. Chi di noi non ha provato uno strano brivido alla schiena divorando opere come Guerra nella galassia di Edmond Hamilton, La legge dei Varda di Leigh Brackett, La gemma della stella verde di Jack Williamson, John Carter di Marte di Edgar Rice Burroughs, Gli abitatori del miraggio e Il pozzo della Luna di Abraham Merritt? Chi di noi non ha sognato almeno un po’ di vivere le eroiche gesta dei protagonisti di questi classici della fantascienza avventurosa di tanti anni fa?

«La meraviglia è l’opposto del cinismo e della noia; essa indica che una persona è dotata di grande vivacità, che è interessata, piena di aspettativa. È essenzialmente un’attitudine di “apertura” verso la vita… una coscienza che c’è di più nella vita di quanto sia logico attendersi, un’esperienza di nuove “prospettive” della vita da esplorare.» Così si esprime un grande studioso americano della psicologia umana e noi non possiamo non essere d’accordo con lui. Il senso del meraviglioso è proprio la qualità di queste storie che permette al lettore, anzi lo incita, a sospendere momentaneamente la sua razionalità, che risveglia il suo entusiasmo, la sua capacità di abbandonare per qualche istante la noiosa realtà che lo circonda per avventurarsi in dimensioni nuove e fantastiche dove l’immaginazione può spaziare a suo piacimento, svincolata dai limiti dello scetticismo della maturità.

E in effetti questa era proprio la qualità preponderante della prima fantascienza, della narrativa di Edgar Rice Burroughs e del suo mitico Barsoom, un Marte romantico e inverosimile che poteva esistere solo nella fantasia di un grande scrittore, della fantascienza di Herbert George Wells e dei suoi Eloi e Morlock, favolosi popoli di un lontanissimo futuro della Terra, a loro modo altrettanto inverosimili delle razze guerriere marziane di Burroughs. Inverosimili, certo: ma quanto fascino, quanto romanticismo in John Carter e nel suo coraggioso lottare contro mostri e guerrieri alieni per la conquista del cuore di una stupenda principessa marziana!

Da Wells e da Burroughs in poi (ma in fondo anche da Verne, perché chi potrebbe mai negare il «sense of wonder» di opere come Ventimila leghe sotto i mari o Viaggio al centro della Terra, del suo Nautilus e del Capitano Nemo?) la fantascienza è vissuta per trent’anni in una sorta di magico fulgore fantastico dove tutto era possibile, un’epoca di sfrenato romanticismo e di grandiosa immaginazione piena di storie che facevano sognare o lasciavano sbalorditi per la magnificenza delle idee. Poi l’avvento di John W. Campbell alla guida di Astounding, un Campbell ormai maturo, ben diverso dal Campbell che aveva scritto fino a qualche anno prima eccezionali storie di «superscienza», portò pian piano una visione nuova in questo genere letterario: una visione forse più matura, più razionale, più attenta ai problemi tecnici, scientifici e sociali, forse anche più valida letterariamente, ma certo anche meno spontanea, meno sognante.

Tra i tanti autori di quell’epoca favolosa, ricordata ancor oggi con molta nostalgia, un posto di spicco spetta di sicuro a Jack Williamson. Originario di Portales, nel Nuovo Messico, Williamson è stato uno dei padri fondatori della space opera, assieme a Edmond Hamilton e Edward Elmer «Doc» Smith. Dopo un primo periodo di chiara ispirazione merrittiana, Williamson sviluppò infatti uno stile altamente personale e produsse alcune delle avventure galattiche più memorabili di tutta la fantascienza, tra cui il ciclo della «Legione dello Spazio» e il romanzo Gli umanoidi. Penso che, assieme all’amico Hamilton, Jack Williamson sia l’autore che più ha contribuito a sviluppare nelle sue opere quel «senso del meraviglioso» di cui parlavamo prima.

Per questo volume abbiamo scelto (io e l’amico Luigi, che ha voluto la mia collaborazione per questo libro e per il suo gemello di Edmond Hamilton) due romanzi brevi ancora inediti nel nostro paese, che rispecchiano chiaramente lo stile dell’autore in quel periodo socialmente difficile (si era negli anni della Grande Depressione) ma narrativamente assai fecondo.

Xandulu rientra nel genere di storie dedicate alle razze e ai mondi perduti, che andavano molto in quegli anni, sotto l’influenza delle opere di H.Rider Haggard e Abraham Merritt. Il romanzo più importante di questo tipo scritto da Williamson rimane Golden Blood, pubblicato nel 1933 su Weird Tales, ma questo Xandulu, apparso nel 1934 in tre puntate su Wonder stories, non ci sembra inferiore come fascino e potenza narrativa. Qui incontrerete, tra le montagne africane dei Berberi, le forze inesplicabili di un’intelligenza aliena incomparabilmente più avanzata della nostra e vi troverete trasportati in una strana parte del mondo, dove antiche creature pianificano cose terribili con l’ausilio di potenti cognizioni scientifiche.

Entropia liberata (Entropy Reversed), apparso su Astounding nel 1937, fu scritto proprio in un periodo in cui Williamson ed Hamilton si frequentavano spesso (Jack ricorda anche un viaggio nel Nuovo Messico fatto assieme all’amico fraterno e finanziato proprio con i soldi venuti da questa novella), e ci riporta invece alla fantascienza in grande scala dell’epoca, quella degli imperi o federazioni galattiche e della supersicenza, capace di modificare le leggi della fisica e dell’universo. Per inciso, il titolo originale dell’opera era appunto Reverted Entropy, che ha molto più senso dal punto di vista scientifico di quel Released Entropy che F.Orlin Tremaine, l’editore di Astounding, scelse per dare un tocco forse più efficace e drammatico ma meno corretto scientificamente.