Dune, di Frank Herbert & Foundation, di Isaac Asimov

La questio sull’impatto letterario de IL SIGNORE DEGLI ANELLI per il Fantasy e di DUNE per la SCIENCE FICTION sollevata recentemente da Dario Janese (che a proposito del romanzo di Herbert ha scritto cose che condivido in pieno) mi interessa fino a un certo punto, mentre mi sollecitano qualche riflessione i post che l’hanno seguita, dove, more solito, sono saltati fuori i paragoni e le preferenze fra i DUNE e i FOUNDATION.

Lungi da me la voglia di arroventare la discussione (ognuno ha il diritto di pensarla come vuole, i gusti son gusti, ecc. ecc.), faccio solo presente che mentre Asimov e i suoi FOUNDATION hanno dominato la Golden Age o era Campbell che dir si voglia (ma fino a un certo punto… personalmente preferivo la STORIA FUTURA di Heinlein – l’Orson Welles della SF, concordo con Dario Janese – e avevo un debole per gli ISHER e i NON-A vanVogtiani), per il periodo successivo a me pare che il ciclo di DUNE sia da considerare una pietra miliare insuperata (a mio avviso solo Iain M. Banks dopo di lui ha detto e proposto qualcosa di nuovo con la sua CULTURA).

Insomma, com’è giusto, ogni opera va letta e legata alla sua epoca e al suo contesto, e, se proprio si vuole (premesso che personalmente quando leggo un libro vado anche alla ricerca di cose scritte bene), confrontando le opere si potrà/dovrà semmai discutere di caratura di stile, di linguaggio.

Spiego meglio con un rimando ad una METODOLOGIA CRITICA (chiamiamola così) di cui lessi quando ero molto più giovane ma che mi convinse e che ancora utilizzo nel giudicare i libri che leggo: e cioè che la “storia” (l’interesse della vicenda raccontata) è indiscutibilmente la “protagonista”, il fattore cardine, l’elemento portante di un romanzo (o racconto), ma l’ “abito” indossato dal “protagonista/storia”, ovvero lo “stile” in cui è scritta, non è in secondo piano se si vuole che un romanzo funzioni. Insomma, alla fine è l’intersecarsi di entrambi gli elementi, “storia” e “abito”, a rendere veramente grande un libro (e la stessa cosa, se ci pensate bene, si può dire di un film).

Geniali entrambi Asimov ed Herbert, ma qui (sempre parere mio) Herbert la vince alla grande rispetto ad Asimov ed alla sua prosa semplice, facile (senz’altro funzionale, per carità, ma ad esempio Ray Bradbury e Theodore Sturgeon erano altra cosa, spero converrete) e, letterariamente (nel senso appunto dello stile), DUNE è un capolavoro, FOUNDATION no e non credo di essere l’unico a pensarlo.

Perché in DUNE, oltre a inventare una trama potente e per me senza eguali, Herbert scrive e descrive come pochi: Arrakis, Castel Caladan, le caverne dei Fremen (i Sietch), la cupezza di ambienti, macchine (gli ornitotteri, le mietitrici di mélange, le tute distillanti) e forme bestiali (i vermi) escono vividi dalla sua prosa e i suoi personaggi appaiono veri, li senti e te li raffiguri, sia i protagonisti che i comprimari (Duncan Idaho, Gurney Halleck, Thufir Hawat, Stilgar, Chani… ah, quei nomi, all’altezza dell’inventiva di Jack Vance, oserei dire). E ci sono il dramma e l’azione (i duelli) che si sviluppano e non dànno tregua incollandoti alla pagina (epperò Malaguti definì DUNE “romanzaccio di cappa e spada” e all’epoca gliene dissi di tutte, una polemica durata anni, ma, recentemente, un po’ il mio amico Ugo ha cambiato idea).

Ovviamente sto parlando di DUNE e dei due seguiti successivi (DUNE MESSIAH e CHILDREN OF DUNE), poi gli altri tre titoli prendono strade diverse (portandole avanti) nel ritrarre un affresco epocale (16.000 anni) per me senza eguali, e creando uno degli universi immaginari più complessi, coerenti e dettagliati della fantascienza.

La trilogia galattica di Asimov sotto il profilo della complessità non gli è sicuramente da meno ma non condivide la visionarietà della saga Duniana, tocca meno temi, ha meno ritmo (pagine e pagine infarcite di dialoghi) e racconta personaggi monocordi (diciamo senz’anima, poca profondità psicologica/spessore umano) che si muovono in scenari che restano al più intuitivi (mi perdonino i fans sfegatati di FOUNDATION se esprimo un’opinione del tutto personale).

Credo sia significativo che tutti quelli cui ho fatto leggere DUNE (e sono tanti, soprattutto amici/conoscenti che non amavano affatto la SF) mi abbiano detto GRAZIE, cosa che in precedenza, nella mia opera di proselitismo, mi era successo solo con CRONACHE MARZIANE (ma era impresa “facile” visto che quel Bradbury l’aveva pubblicato Monicelli ne LA MEDUSA e nessuno poteva storcere il naso).

Ecco, sono convinto che quel coro di GRAZIE non ci sarebbe stato se avessi fatto leggere la trilogia Asimoviana ai miei amici/conoscenti poco amanti della SF (ma lettori “colti” e lo virgoletto), e posso anche raccontare che uno dei pochi che la conosceva (e questo era un appassionato doc) a suo tempo mi chiarì una cosa (che mi fece riflettere) e cioè che riscrivere DECLINO E CADUTA DELL’IMPERO ROMANO di Gibbons in chiave SF non bastava per considerare la sua trilogia un top assoluto, e se poi ci marci sopra con infiniti e noiosissimi seguiti e preludi, bè… qualcosa non torna (è ben noto che “the good doctor” dedicava gran parte del suo tempo ad autoincensarsi ed a promuovere le proprie opere). Parzialmente d’accordo, lo contestai, salvo che per la debolezza dei seguiti/preludi che condividevo in pieno: prendere Gibbons come fonte d’ispirazione e condirla con l’invenzione della “psicostoria” era comunque una genialata e ad esempio il mio pur amatissimo van Vogt non era riuscito a fare di altrettanto convincente con L’IMPERO DELL’ATOMO e LO STREGONE DI LINN, dove gli spunti erano ancora la storia romana (l’imperatore Claudio) e i Medici.

Che Asimov sia stato un grande narratore (e un eccezionale divulgatore) e che molti suoi racconti (ad es. NIGHTFALL, NOVE VOLTE SETTE) e quelli sui ROBOT (stravedo per CONSOLAZIONE GARANTITA) siano fra le cose più belle e imperdibili che la SF ci ha regalato non sarò certo io a negarlo, inoltre confesso un debole da idolatria per LA FINE DELL’ETERNITA’, sempre a parer mio la cosa migliore da lui partorita e per me ultimativa sulle tematiche e i paradossi flusso temporali (a proposito dell’eccellenza di THE END OF ETHERNITY nella produzione Asimoviana, andate a rileggervi l’eccellente recensione del libro fatta da Giovanni Di Matteo e pubblicata nel 2005 su Fantascienza.com, peraltro in linea con ciò che ne pensava Giuseppe Lippi). E va da sé che ho anche apprezzato moltissimo NEANCHE GLI DEI, per me il suo canto del cigno.

Sì, di Asimov ho letto tutto, anche la sua autobiografia (pubblicata molti anni fa da ARMENIA), di recente ho anche riletto PARIA DEI CIELI e, confesso, non mi ha ridestato le emozioni della prima volta (avevo 16 anni), anzi, per finirlo, ho dovuto saltare pagine e pagine tanto mi è parso scritto in maniera sciatta e ripetitiva. Eppure fu proprio quel romanzo (primo libro SF ad apparire in rilegato presso DOUBLEDAY, era il 1950) a far nascere la leggenda di Asimov, e di “leggenda” si può proprio parlare perché trasformò in un mito un bravo romanziere, certamente geniale, ricco di idee, ma che non reggeva il confronto sul piano stilistico con gli altri che ho nominato (Sturgeon, Bradbury, Heinlein e ci metto anche Simak – letti tutti, anche quelli).

Resta il fatto che Asimov e i FOUNDATION, soprattutto dal punto di vista dell’impatto massmediatico, restano dei capisaldi del dopo Wells: infatti tutti conoscono Isaac, il suo ciclo della Galassia e i Robot e, quando si parla di fantascienza, il primo nome di autore che viene in mente (me compreso) è indiscutibilmente il suo.

Ma lasciamo in pace Asimov e i suoi FOUNDATION nella speranza di aver chiarito che la mia non è una critica (ancorché tenera) messa lì apposta pour épater chi mi legge, bensì dettata dal voler stimolare un confronto/discussione/riflessione.

E ora torniamo ad Herbert.

Personalmente, grazie a DUNE, in un momento in cui avevo smesso di leggere la “solita” fantascienza (che aveva finito per annoiarmi), ritrovai entusiasmi perduti, gli stessi che continuo a provare tutte le volte che lo rileggo (tutto il ciclo, ad oggi almeno quattro).

Sì, lo so, sono di parte, Duniano ed Herbertiano convinto, e lo sono da quando lo divorai la prima volta (era l’estate del 1973).

Poi vennero le conferme e cioè che non ero il solo a essere stato conquistato da DUNE, che altri l’avevano apprezzato quanto e più di me dedicandogli l’attenzione critica che meritava (la mia era solo emozionale) e sto parlando dell’eccellente prefazione di Sandro Pergameno alla riedizione di Fanucci, nonché dell’articolo di Eliseo Martini, RILEGGENDO DUNE TRENT’ANNI DOPO – UN VIAGGIO INIZIATICO IN SEI VOLUMI, che ho avuto la fortuna di trovare recentemente pubblicato nel gruppo dei fan di DUNE.

Rileggeteli anche voi, per favore… meritano la vostra attenzione e un minimo di riflessione da parte di chi prende le distanze dal libro (e/o dall’intero ciclo, che – parere mio – va letto tutto).

Ecco: a me succede di cambiare opinione a distanza di anni a una rilettura (e a una rivisitazione di film), e insomma di trovar spesso certi libri (e film) non all’altezza degli entusiasmi che avevano accompagnato la prima volta, ma con i DUNE questo non mi è finora successo.

Infine, ci sarà pure una ragione se:

– due sondaggi di LOCUS, il primo del 1970 e il secondo replicato nel 2000 (*), hanno visto entrambi votato DUNE come “the all-time best science-fiction novel”

– DUNE ha venduto più copie di qualsiasi altro romanzo di fantascienza (e continua a venderne…)

– personaggi (artisti) come David Lynch e Alexander Jodorowsky hanno voluto o hanno cercato di tradurlo in film (e presto ne vedremo il reboot diretto da Denis Villeneuve)

– Isaac Asimov ha scritto: «Il puro piacere dell’invenzione e della narrazione ad altissimo livello»

– James Cameron ha detto: «Un mondo che nessuno ha ancora saputo ricreare con tale perfezione»

– Stephen King ha ribadito: «Il meglio. Oltre ogni genere letterario e ogni epoca»

– George Lucas ha confessato: «Senza Dune, Guerre stellari non sarebbe mai esistito»

– Steven Spielberg ha dichiarato: «Dune è parte integrante del mio universo fantastico»

– Sandro Pergameno (ipse dixit) ha scritto: «non c’è solo l’attenzione ai temi dell’ecologia né il complesso studio scientifico/ antropologico a rendere Dune il massimo capolavoro della fantascienza» (vedasi la già citata prefazione alla ristampa di DUNE per Fanucci).

Vabbè, come sempre è questione di gusti, ci sono anche quelli cui DUNE non piace e lo accetto, ma per me DUNE è e resterà sempre il VIA COL VENTO della fantascienza (come dire: DUNE sta alla SCIENCE FICTION come GONE WITH THE WIND sta al MAINSTREAM).

 

(*) Nel 2010 la rivista Locus chiese ai suoi utenti di votare i 10 migliori romanzi di fantascienza. Alla fine il risultato della votazione fu questo:

  1. Dune
  2. Ender’s Game
  3. The Foundation Trilogy
  4. Hyperion
  5. The Left Hand of Darkness
  6. The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy
  7. Nineteen Eighty-Four
  8. Neuromancer
  9. The Stars My Destination
  10. Fahrenheit 451