Einstein Perduto… Una Favolosa Tenebra Informe, di Samuel R. Delany

Samuel Ray DelanyVincitore del Nebula Award come miglior romanzo nel 1967 e nominato per l’Hugo Award nel 1968, il romanzo di Samuel R. Delany è noto ai più come Einstein Perduto, ma l’edizione Solaria ha scelto di restituirgli quel titolo (Una Favolosa Tenebra Informe) che l’autore fu costretto a cambiare sotto pressione dell’editore.

Credo ci sia ben poco da poter aggiungere all’introduzione di Neil Gaiman all’edizione Fanucci (Collezione Immaginario. Solaria n. 11, Fanucci, 2004, ISBN 88-347-0927-6), ma proverò comunque. A differenza di Babel-17 e per ammissione dello stesso Delany, Una Favolosa Tenebra Informe è un romanzo “astratto” e descrive una realtà post-umana al punto da essere quasi fantasy, nella quale la nuova umanità trisessuata e popolata dai “diversi” si è ritrovata ad ereditare la Terra a distanza di decine di migliaia di anni da oggi.

Ma di cosa parla il romanzo di Delany? Del mito, né più né meno, con il protagonista, Lo Lobey, che a suo modo riprende quello di Orfeo.
Ne Una Favolosa Tenebra Informe, Delany ci dice che i nuovi miti non sono altro che “nuovi nomi” per vecchi archetipi; modelli che l’uomo interpreta e re-interpreta dalla notte dei tempi. Infatti, proprio grazie alla spinta dei desideri, dell’amore e dell’odio, tutti noi nelle nostre vite interpretiamo dei ruoli che ricalcano dei miti: delle storie archetipiche, dei modelli ancestrali, che chiamiamo con i nomi di Orfeo, di Giuda o, come nel romanzo, con nuovi nomi quali Ringo o Elvis Presley, o quello della sex symbol di turno, a loro volta remake di miti più antichi o nuovi modelli archetipici.

Proprio per questo, si potrebbe dire che Una Favolosa Tenebra Informe non è che una rivisitazione del mito di Orfeo che contemporaneamente vive all’ombra dei nuovi miti nati dalle ceneri del XX secolo. Quello del protagonista Lo Lobey è infatti un viaggio alla ricerca della morte per riportare indietro l’amata, un viaggio dell’eroe, un rito di passaggio, alla scoperta di se stessi e delle proprie capacità.

Delany LibriAd una prima lettura, l’opera potrebbe quasi stonare il fantascientista, ma forse perché si tende a sottovalutare una dote che lo stesso Gaiman conosce bene: la capacità d’immaginazione. In Delany (come in Gaiman) è forte, libera, quasi onirica e forse si trova a cozzare con alcuni elementi più strettamente tecnologici della storia, come quando vengono menzionati i temi genetici, momento nel quale sembra quasi ci sia un gap tra la realtà descritta e le conoscenze menzionate e il tutto stride un po’.

Nell’insieme, il romanzo è breve, scorre, ma proprio per l’assenza di un elemento più tecnologico (al contrario di quanto accaduto per Babel-17) consiglio di leggerlo più come una favola della buona notte o, appunto, la storia di un mito, altrimenti potrebbe esserci il rischio di rimanere delusi.

Buona lettura dal vostro Welder